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ClanDESTINI (ventottesima puntata)

Pubblicato il: 19/09/2011 15:07:17 - e


“Didier sapeva il porto dove quel disgraziato affare avrebbe dovuto trovare il suo epilogo, e il Generale stava mettendo in campo i suoi informatori per trovare i due clandestini”. Prosegue il giallo a puntate di Education 2.0 ambientato nella scuola in ospedale. La storia di Didier, bambino soldato sfuggito alla guerra e alla morte.
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La sua cabina nel peschereccio era poco più grande di uno sgabuzzino e il letto lungo la parete poteva ospitare un uomo a patto che dormisse rannicchiato.

Eppure, dato che era la cabina del capitano, il tavolo dove stendere una carta nautica erano riusciti a farcelo entrare, ma per una sedia il posto non c’era.

Così, seduto sul letto, l’uomo aveva sistemato il pc sul tavolo e aperto un file. Guardò lo schermo azzurrino dove c’era scritto “Diario di bordo. Viaggio di sei pescherecci verso le coste somale.”

Aveva già scritto poche righe con l’uscita della flottiglia da pesca dal porto di Ancona, quando si rese conto che il suo diario sarebbe stato necessariamente sintetico e impreciso. Doveva infatti solo contenere le informazioni relative alla rotta del traffico, tutto il resto non importava a nessuno, neanche a lui, ma il Generale lo aveva pregato di spedire rapporti periodici e così era ricorso al vecchio strumento del diario di bordo. Per fortuna, pensò, la rotta di navigazione ha una parentela lontana con i piani di volo, così sarebbe stato un po’ più a suo agio: era stato un aviatore e nei suoi incarichi gli era capitato più spesso di pilotare piccoli aerei, mentre questa volta aveva il comando di una flottiglia di vecchi pescherecci.

La navigazione prevedeva un primo scalo in Sicilia, nel Golfo di Gela, per il rifornimento di carburante, probabilmente, non solo del carburante, ma nessuno gli aveva comunicato il porto d’arrivo, la misteriosa e segreta destinazione finale, dove quei pescherecci avrebbero trovato la loro tomba in mare.

Lui, dopo quello che era riuscito a ricostruire dell’incontro all’aeroporto di Kigali, era certo che si trattasse della costa somala. Didier poi sapeva il porto dove quel disgraziato affare avrebbe dovuto trovare il suo epilogo, e il Generale stava mettendo in campo i suoi informatori per trovare i due clandestini.

Aggiunse qualche riga sull’equipaggio, formato tutto da pescatori tunisini, libici e una sparuta minoranza di siciliani. Di Marina di Girgenti era il suo secondo, un marinaio esperto, per fortuna, per questo poteva aver fiducia, per il resto sarebbe stato meglio non voltargli le spalle durante tutto il viaggio.

Sentì raspare alla porta.

“Vieni, Diavolo.”

Un grosso cane lupo entrò nella stanzetta e si sistemò ai suoi piedi.

“Prima del mio arrivo” continuò a scrivere “nelle stive sono stati caricati i barili di rifiuti radioattivi, provenienti dal Nord Est…”

S’interruppe, sentiva che le bende con cui aveva fasciato il viso si erano allentate, aprì il cassetto del tavolo e prese una scheggia di specchio. Si sistemò le bende e inforcò un paio di occhiali scuri, sotto lo sguardo attento del suo lupo.

***

C’era luna piena nel cielo stellato. Il secondo di bordo si avvicinò al capitano appoggiato alla murata, notò la vistosa fasciatura che gli copriva la testa e gli inutili occhiali da sole. Cominciò a parlargli.

“Capitano, parliamo un po’.”

“E di che dobbiamo parlare?”

“Meglio conoscersi, io dico, dato che dobbiamo fare questo servizio insieme… non so tu, ma io nella vita ne ho fatte tante e questa spedizione non è peggio delle altre. E poi di notte si parla bene.”

“Non mi pare una buona idea, io di me parlo il meno possibile e tu sei qui per tenermi d’occhio. Che ci dobbiamo dire?”

Il secondo di bordo storse la bocca “Per adesso lavoriamo d’accordo, se mi fai parlare lavoreremo meglio, e anche tu potrai meglio tenermi d’occhio, no?”

“Un chiacchierone. Eppure sei siciliano…”

“Di Marina di Girgenti.”

“E dovresti conoscere il rispetto delle regole, della segretezza.”

“Per me l’unica legge da rispettare è la legge del mare che dice che si devono aiutare quelli che stanno in difficoltà, io, a parte tutto faccio il pescatore… non è più la miseria di una volta ma la tecnologia mica toglie di mezzo la fatica… per esempio col peschereccio incontro le carrette in mari e qualche volta sono le motovedette della guardia costiera che ci chiedono di intervenire, perché le nostre barche sono più spaziose e si trasborda meglio. Non è la sola volta che collaboro con la legge… e anche adesso non ti pare strano che non abbiamo incontrato nessuno e che navighiamo in perfetta solitudine? Certo ogni tanto dovremo pure far finta di pescare.”

Il capitano che sembrava ascoltare più lo sciabordio delle onde sulla chiglia che le parole dell’altro si riscosse. “Collabori con le istituzioni? Che vuoi dire? Tu parli troppo.”

“Che siamo coperti, e tu pure lo sai che siamo coperti. E allora cerchiamo di andare d’accordo.”

“Che vuol dire che rispetti la legge del mare?” gli chiese l’uomo col viso nascosto dalle bende.

“È l’unica, guarda, l’unica che rispetto sempre… alle volte ce lo dicono e altre volte ce li troviamo davanti alla prora. E facciamo quel che si deve. E perdiamo la giornata ma, che ci posso fare, io non riesco a guardare dall’altra parte. Proteggono tante specie di pisci, ma dovrebbero proteggere i piscatori, dico io… siamo sempre di meno…comunque… una legge che è una, nella vita la devi pure rispettare.”

“Anche due o tre, se è per questo” il capitano guardò il secondo peschereccio che s’era avvicinato e si toccò gli occhiali da sole. “Io per esempio non tradisco gli amici. Andiamo sul ponte di coperta.”

“Come ti pare… c’è una brezza fresca che ci sveglia e ci fumiamo una sigaretta.” il secondo tirò fuori un pacchetto di Camel, l’altro ne accettò una e l’accese con lo zippo.

“Giusto, quella è un’altra, ma meno forte di quella del mari, che io qualche amico l’ho tradito… una storia di sesso, che ora non ti dico, con la moglie. Avevamo studiato assieme al Tecnico Nautico di Montelusa… come si dice? A tempu di uva e ficu nun c’è né compari, né amicu. Il mari no, è tutto più semplice e pulito. Mi ricordo un barcone con centinaia di migranti in difficoltà. Buio e mari forza 8 e le luci spente… gli scafisti vogliono le luci spente, hanno paura d’esser presi e arrestati, con questo, capisci, ci vuole poco ad arrivare fino ad una grossa tragedia.”

“Anche noi ora andiamo a luci spente.”

“È diverso. Tu le potresti pure far accendere, che tanto siamo invisibili, non è così? Nessuno ci può vedere di giorno e di notte. Ma gli scafisti no. A volte basta trovarla, la barcaccia, raggiungerla e avvicinarla alla costa. Lo faccio. E a volte le onde fanno su e giù con la nostra barca e la loro e saltano all’arrembaggio, in tanti e noi li acchiappiamo come si acchiappano i tonni alla tonnarella.”

Il capitano lo guardò un poco sorpreso.“Mi vuoi dire che, tutto sommato,sei una brava persona!?”

“Per niente. Sai quanta gente…” si interruppe “no, non sono una brava persona, tu magari, ma io no. Ognuno sa le cose sue… Solo che la legge del mari la rispetto. Lavoro per il Ragioniere, lo sai, no? Ma anche se don Gerlando mi ordinasse di… basta!” si interruppe ancora “Tutti devono rispettare la legge del mari! E costa lavoro e ci si perde parecchio… E poi dargli da bere, da mangiare, vestiti e biancheria arrivati al porto di Montelusa. Sai una cosa, capitano? Non ci si crede… Ci vuole l’autorizzazione per effettuare un salvataggio in mari, altrimenti ti possono accusare di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e rischi fino a 24 anni di carcere, oltre alla perdita dell’attività economica di pesca che è quella che dà da mangiare a me e ai miei quattro carusi, oltre ai lavori che faccio per don Gerlando, che sono il contorno. L’autorizzazione… ormai con la burocrazia siamo fregati peggio che coi carabinieri.”

Il cane lupo si era acquattato in un cono d’ombra, a poca distanza da due uomini, quando il faro della luna piena lo illuminò.

“Certo siete strani forte… tu mascherato con le bende e gli occhiali da sole di notte e il tuo cane che mi dà i brividi solo a vederlo.”

“Non ci pensare e continuami a raccontare dei tuoi incontri con i clandestini.”

“Una volta li ho dovuti rimandare indietro. Erano libici al confine tra le acque territoriali di Libia e Tunisia. Lì si pesca bene, anche se sarebbero acque loro… Che poi dicono che son tutti carcerati e questo me li fa sentire pure amici! Ma non sarà vero, non tutti… Rimandarli indietro! Imbarcavano acqua, la carretta affondava, ma ci hanno detto di prenderli a bordo e poi di riconsegnarli ad una motovedetta libica, che era una di quelle che gli abbiamo dato noi! È venuta a prenderli e son tornati nelle carceri di Gheddafi.”

“Capisco che ti sarà seccato! Anch’io sono stato prigioniero, in Africa.”

“Io solo da giovane, all’Ucciardone, poi mi son fatto furbo. Ma allora, se sei stato dentro, mi puoi chiamare Cola!”

“Davvero? Tu chiamami Kit.”

“Kit, un nome finto, da fumetto. Ma ti dicevo… Ho visto scene che mi sono rimaste in testa e non me le scordo: una barcaccia china china, piena piena, in modo incredibile di persone, due o trecento, penso, che urlavano e volevano salvarsi perché c’era la morte tra le onde. La morte li guardava e loro guardavano lei. E per acchianare a bordo si spostavano tutti da una parte, volevano tutti acchianare insieme, spinci tu che meno io… si sono affollati tutti nello stesso momento. Troppo! E la barca si è capovolta. Figurati, naturale, molti non sapevano nuotare, rimani di merda… erano attimi. Un po’ li abbiamo presi, ma tanti no. Non li abbiamo presi. Fu come il primo uomo che ho ammazzato, tanto tempo fa…”

“Non è la stessa cosa.” disse l’uomo avviandosi verso il ponte di coperta, mentre il secondo di bordo continuava il suo racconto.

“Ricordo la paura che mi scappassero dalle braccia. C’erano donne coi capelli lunghi, le ho viste affondare con i capelli neri che si allargavano nell’acqua e poi venivano tirati giù. Non ho potuto buttarmi per salvarle perché c’erano almeno altri 50 uomini in mari, da tirare a bordo e dovevo rimanere lì a tirarli. Alla fine ne abbiamo portati a riva tanti ma per quelle poveracce con quei bei capelli non c’è stato niente da fare. Anche questa è la legge del mari. L’unica che rispetto sempre, e dire che ho fatto a vutti e lignati, a botte con molte altre leggi, come quella che ti impedisce di ammazzare le spie.”

Il lupo seguì a distanza l’ombra del padrone che camminava lentamente.

(continua)

(La storia di ClanDESTINI è frutto della fantasia degli autori: qualsiasi riferimento con la realtà, fatti, luoghi e persone vive o scomparse, è puramente casuale).

Calcerano e Fiori: il viaggio di Didier, un video riassunto che svela scenari inediti sulla storia di Clandestini

È in libreria “Teoria e pratica del giallo“, la nuova fatica di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori per le stampe di Edizioni Conoscenza.

Qui le modalità per l’acquisto del libro.

Le puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Sesta puntata

Settima puntata

Ottava puntata

Nona puntata

Decima puntata

Undicesima puntata

Dodicesima puntata

Tredicesima puntata

Quattordicesima puntata

Quindicesima puntata

Sedicesima puntata

Diciassettesima puntata

Diciottesima puntata

Diciannovesima puntata

Ventesima puntata

Ventunesima puntata

Ventiduesima puntata

Ventitreesima puntata

Ventiquattresima puntata

Venticinquesima puntata

Ventiseiesima puntata

Ventisettesima puntata

L’intervista agli autori, Il giallo d’appendice


La video presentazione di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, Un giallo prezioso: ClanDESTINI


Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, narratori e saggisti, vivono e lavorano a Roma. Hanno scritto insieme numerosi romanzi polizieschi. Per ulteriori informazioni si possono consultare:
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Calcerano

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Fiori_(narratore)

http://www.luigicalcerano.com

http://www.giuseppefiori.com

Calcerano e Fiori

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