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L’arcivernice: La barzelletta di Spinoza (cinquantaduesima puntata)

Pubblicato il: 08/03/2013 11:25:03 -


“Maestro, ma il tuo Dio, allora, non è 'persona'?”. Ramon parla con Spinoza.
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“Sì, è vero, non sappiamo quasi nulla, meglio, nulla di quanto c’è là fuori. Ma, anche in condizioni di scarsa conoscenza, non è forse opportuno concepire un modello razionale, e attenervisi il più possibile?”.

A Spinoza Ramon rispose: “Forse sì, maestro… È un po’ come la seconda regola della morale provvisoria di Cartesio: una volta che hai deciso, sii coerente. Tuttavia, un conto è basare la propria visione su dati, ancorché difettivi, un altro non avere alcun puntello, alcuna certezza da cui prendere le mosse”.

La figura ieratica, secca e ascetica di Spinoza si irrigidì in un pensiero, si capiva bene che tutto il complesso di nervi, di muscoli, di fisicità corporale quasi si fermava, poneva uno iato all’essere, nel momento del raziocinio. Ma dopo pochi secondi di intensa riflessione, Spinoza parlò:

“Caro Ramon, tu da me ti aspetteresti tutto, fuorché quel che sto per porgerti. Ebbene sì, un puntello te lo voglio dare, ma a modo mio. Ti racconto una barzelletta. Ci sono tre filosofi, un dogmatista, cioè a dire, più o meno, un aristotelico, un analitico, e un empirista, i quali per la prima volta sono in viaggio, in treno, attraverso la Scozia. Ad un certo punto del viaggio, dal finestrino, si vede una pecora. Allora il dogmatico parla per primo, e dice: ‘Oh vedi, anche in Scozia le pecore sono bianche’. Passa qualche minuto di imbarazzato silenzio, e l’analitico ribatte: ‘Scusa, illustre collega, ma mi pare che tu abbia fatto una generalizzazione indebita; tutto quello che noi possiamo constatare, allo stato attuale, è che in Scozia alcune pecore sono bianche, poiché ne abbiamo vista almeno una. E ciò basta per concludere quanto sopra’. Dopo pochi, silenziosi altri minuti, parla infine l’empirista: ‘Scusate illustri colleghi, ma sono costretto, a contraddirvi: entrambi avete fatto delle generalizzazioni indebite. Tutto quanto possiamo dire, al momento, è che in Scozia c’è una pecora, ed essa ha un lato bianco’. Qual è il senso, o, come si usa dire, la morale? Non c’è limite a farsi del male. Distruggiamo pure, aspiriamo ad avere le macerie del pensiero, e di certo per questa via le avremo”.

“E allora invece, maestro?”.

“Allora per prima cosa dobbiamo liberarci degli idola, dei pregiudizi sovraimposti al reale; e prendere il reale tutto intero, come un solo ente, l’essere appunto, il “mondo”, il nostro Dio, Deus sive natura. Ci siamo dentro, capisci? Non va posta la domanda ‘ma cosa c’è là fuori’, ma piuttosto quella ‘dentro a cosa noi siamo’. Non va confuso quanto noi, quel poco di noi, possiamo “vedere”, come ha fatto Cartesio: res cogitans e res extensa, va bene; ma perché solo quello? Noi siamo in un tutt’uno, che ci mostra a volte qualcosa, i suoi “modi”, pensiero ed estensione. Ma quanti infiniti altri modi avrà, quanti terrà per sé, quanti non dovranno disvelarsi? La sostanza, per sua natura, è unica. È il mondo”, ed è indivisibile. Altrimenti vi sarebbero più sostanze, contro quanto abbiamo assunto del “mondo” come un tutt’uno. Ecco allora che bisogna evitare il circolo vizioso, cogito, dimostro Dio, Dio poi crea il mondo come altro da sé, dal mondo in cui io sono ritorno a Dio. Questo è lo schema consolidato. Ma il punto è che l’edificio traballa, barcolla come un ubriaco. Dio è causa sui e dunque causa di ogni cosa, e dunque di quel mondo che abbiamo assunto come un tutt’uno: Dio è il mondo, Dio è le cose”.

“Maestro, ma il tuo Dio, allora, non è ‘persona’?”.

“E perché dovrebbe esserlo? Non ti accorgi, Ramon, di quanto sia antropomorfica questa visione? Abbiamo concepito un Dio fatto come noi, intelletto, volontà, sentimenti, ragione…

Un giorno, diceva un padre santo, a sua immagine Dio l’uomo compose; l’uomo, un tal gli rispose, immaginando Dio, fece altrettanto.

Noi concepiamo l’essere ‘persona’ come la forma più elevata dell’esistere. Ma Dio non è esistenza, è essenza. La sua stessa definizione, l”idea’, ne comporta l’esistenza, qui hanno ragione Anselmo e Cartesio. Ma che senso ha questa via antropomorfica? Dio è Dio cioè è tutto ciò che è, il mondo, le cose, persino, oserei dire, le ‘non-cose’. Tutto il resto è modalità, è variazione, è quello che Aristotele direbbe il ‘ta pros ti’. Allora prima ne prendiamo coscienza, meglio è. Che cosa potrebbe essere fuori di Dio, senza costituirne una limitazione? Ed ecco, l’impersonalità di Dio”.

“Maestro, sono confuso. Ma allora non potremmo neanche pregare…”.

Purtroppo la già esile, minuta figura del filosofo si era ridotta ad un tratto indistinto del mondo, anzi, di Dio.

***
Immagine in testata di Leonk / commons.wikimedia (licenza free to share)

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Maurizio Matteuzzi

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