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L’arcivernice: La filosofia di Carlo e alcuni dubbi teologici (trentatreesima puntata)

Pubblicato il: 02/08/2012 15:54:31 -


“Ramon cercava di sfruttare al massimo il grande privilegio di essere coinvolto in una riforma epocale dell’università. Cercava di capire la situazione, e seguiva attento tutti i provvedimenti di legge, pur nel loro incalzare quasi quotidiano; e tuttavia, per quanto dominasse molto bene la lingua italiana, il gergo giuridico dei decreti che si susseguivano incalzanti gli era ostico”.
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Giulia aveva un cane, un carlino. Un carlino di nome Carlo. Ora, un carlino è un cane per modo di dire; Ramon se ne era reso conto subito. Per prima cosa, un carlino non si autocomprende come cane, ma come essere umano. Per quanto non capisca bene la differenza, è abbastanza disinteressato ai cani e perfino alle cagne. Di fatto pensa di essere umano, anche se con qualche perdonabile lacuna. Il carlino è un cane snob, non ha molto l’istinto alla riproduzione: come quel famoso dandy, forse direbbe: “la fatica è tanta, la soddisfazione effimera, la posizione ridicola”…

Ramon aveva un buon rapporto con Carlo. Gli parlava spesso di filosofia, e gradiva molto il fatto che Carlo non gli facesse delle domande cretine. Carlo guardava, con quegli occhi estremamente espressivi, e così comunicava.

Ramon doveva studiare la Fenomenologia dello spirito di Hegel, e si intrattenne a lungo sulla dialettica servo-padrone. (Herrschaft und Knechtschaft). L’autocoscienza, per Hegel, nasce da qui, dalla lotta e non dall’amore (come aveva pensato in un primo tempo). Da qui l’importanza del rapporto signoria/servitù, che tanto influenzerà Marx nella concezione della “lotta di classe”. La lotta vede prevalere il padrone, mentre il servo si assoggetta pur di sopravvivere. Ma poi, senza che vengano meno i ruoli originari, accanto a questi si instaura il loro capovolgimento: il padrone si rende conto di dovere il suo status al servo, e persino il suo mantenimento, dato che il servo lavora per lui; e dunque rimane ingabbiato nel suo essere servo dell’essere padrone. Così il padrone, per essere se stesso, diventa servo, in quanto condizionato, del servo che diventa padrone. E quello, nella comprensione del suo ruolo e del suo lavoro il servo, non coinvolto in modo affettivo in quanto lavora su ciò che non gli appartiene, domina i suoi desideri. Qui sta la radice dell’autocoscienza, che non è più semplicemente in Hegel un pensiero autoriflessivo, ma si colloca, al solito, in una situazione dialettica.

Ramon riassunse tutto ciò a Carlo, che lo guardava con occhi allucinati. Poi Carlo disse: “Qui bisogna spiegare” non è che Carlo parlasse davvero, ma i suoi occhi così espressivi comunicavano molto bene con Ramon. Così, appunto, disse: “Tu mi mantieni, mi dai da magiare, mi porti a passeggio almeno due volte a giorno, mi porti dal veterinario se sto male, e paghi tu. Mentre io me ne sto tranquillo tutto il giorno a fare quello che mi pare. E tu saresti il “padrone”? Ecco una banalizzazione della dialettica servo-padrone illuminante. Carlo capiva bene Hegel, pensò Ramon, forse meglio di lui.

Poi pensò che il carlino non è propriamente un cane; ha diversi tratti del gatto. In primo luogo, graffia. Non avendo le unghie retrattili come i gatti, non graffia solo quando vuole, ma anche quando non vuole. Pazienza. In secondo luogo, un carlino fa le fusa. Chi non ne ha avuto esperienza farà fatica a crederci, ma è così: dai a un carlino un cibo che gli piace molto, e comincerà a praticare quella strana, indescrivibile attività propria dei gatti. Infine, il carlino si toeletta con la lingua, almeno due volte a giorno, come i gatti.

Ramon non poté esimersi dal pensare che, millanta anni fa, qualche gattina in calore possa avere ceduto le sue grazie a un qualche cane, disperato dalle sue scariche di adrenalina. Chissà. O forse viceversa. Darwin considera il concetto di specie in base al fatto che la riproduzione avviene all’interno della stessa. Così il concetto di “razza” sarebbe spurio, in quanto privo di una definizione funzionale: da ogni accoppiamento vien fuori qualcosa, che non è un “ibrido” in senso biologico, ma un essere vivente a sua volta in grado di riprodursi. Ma Ramon pensò: chissà poi… È già un casino accoppiarsi con individui della propria specie, chi ha mai provato con tutte le altre?

Ramon volle ancora parlare con Carlo di filosofia. E gli occhi vivissimi del cane ne proclamarono i principi basilari, si vedevano benissimo negli occhi vivaci, ben noti e condivisi da tutta la sua specie: “Di fronte al nuovo, devi prima di tutto cercare di conoscerlo, di annusarlo”. Qui Ramon capì che la visione era tipicamente canina. Anziché all’olfatto, un uomo si poteva affidare ad altre modalità, la vista, la lettura, l’analisi; ma questo poco importava rispetto alla teoria filosofica di fondo.

Carlo continuò: “Dopo averlo fiutato, devi vedere 1) se ci si può fare l’amore; 2) se si può mangiare; se 1) e 2) falliscono, devi alzare la gamba e…”.

Era una filosofia ragionevole, malgrado tutto, pensò Ramon. Forse non troppo sofisticata, ma sicuramente chiara ed efficiente, come vuole la mentalità aziendalistica imperante.

Ramon cercava di sfruttare al massimo il grande privilegio di essere coinvolto in una riforma epocale dell’università. Cercava di capire la situazione, e seguiva attento tutti i provvedimenti di legge, pur nel loro incalzare quasi quotidiano; e tuttavia, per quanto dominasse molto bene la lingua italiana, il gergo giuridico dei decreti che si susseguivano incalzanti gli era ostico.

Aveva sul tavolo la stampa del DL 76, con i criteri per le abilitazioni da professore; il suo professore di filosofia del linguaggio, l’esame che stava preparando il quel periodo, gliene aveva parlato, accennando a una mediana una e trina; e aveva aggiunto che lui, in sede statistica, aderiva alla eresia monofisita; Ramon non era tanto sicuro di capire bene. Pensò di cercare di indagare su come la pensava Carlo: gli porse la stampa, che aveva diligentemente ottenuto dal sito del MIUR, e la porse a Carlo. Lui la fiutò a lungo, l’odore tipico della stampa densa di toner. Carlo stabilì subito che non era commestibile. Si rese anche conto ben presto che non ci si poteva fare l’amore; e, giocoforza, ne dovette trarre, operativamente, le ineluttabili conclusioni.

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