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L’arcivernice: Ramon conosce Giulia (sedicesima puntata)

Pubblicato il: 09/03/2012 17:09:15 -


“Inutile mentire, gli mancava Giulia. Che strano languore. Non era infelicità, anzi, quasi tutt’altro; e tuttavia era vuoto, assenza, con la minaccia della privazione eterna e definitiva. Il vuoto, la morte senza Giulia”. Dalla filosofia all’amore.
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Dopo il Sofista, Ramon si era appassionato ai dialoghi di Platone. In una bancarella di libri usati, che aveva scoperto sotto il “portico della morte”, aveva trovato vari piccoli libretti, li aveva comprati, e li stava leggendo con avidità.

Proprio con Gorgia, con il grande Gorgia, retore sopraffino, avrebbe voluto che Socrate si cimentasse. E invece, quasi anche Socrate nutrisse una forma di sacro rispetto, nel momento in cui l’interlocutore era portato a contraddizione con se stesso, Polo, l’allievo di Gorgia, prendeva il posto del Maestro. Era Polo a essere portato a contraddizione, non il grande Gorgia.

Perché? Perché tanto rispetto per Gorgia? Non poteva, non doveva anche Gorgia essere messo alla berlina dalla ironia, e dalla maieutica?

Strana festa davvero, quella cui l’avevano invitato. Ramon aveva il cervello intriso dei dialoghi che aveva letto, prevalentemente quelli del ciclo contro i sofisti. Marcello, suo compagno di corso, gli si porse come contrapposto antitetico, quando cominciò a sentenziare sul soggettivismo assoluto e sulla relatività del tutto. Che il “bello” fosse opinabile, ancora ancora lo poteva seguire; ma il “vero”?

“Tutto è soggettivo, chi non lo capirebbe – diceva Marcello – se ciò che è la fuori, ammesso che ci sia qualcosa là fuori, deve entrare in me, in qualche modo, allora deve per forza fare i conti con come sono fatto io”.

Laura, la padrona di casa, riccia, estroversa, saltava di qua e di là, accendendo le discussioni, provocando risposte. Ramon era seduto sul lato corto di una grande tavola in legno, con Marcello alla sua destra, e Giulia alla sua sinistra. Giulia: non aveva ancora proferito parola. Misteriosa biondina, occhi enormi, attenti, luminosi.

Che strana festa; ma se il gioco era questo, bisognava pur giocarlo. A Ramon venne in mente la scena del Teeteto. Ma se ti si parasse di fronte il grande Protagora, ed egli ti dicesse che la conoscenza non c’è? E qui l’intuizione geniale: questa affermazione si autodistrugge. Protagora, grande Protagora, tu che vuoi che il discorso, il logo, divenga “orthòs”, corretto, tu Protagora, che neghi la conoscenza, come fai tu a conoscere? Tu, che neghi la conoscenza, non ti proponi dunque, tu stesso, come colui che conosce? E non ti sei, così, contraddetto? Se non c’è il sapere, come fai tu a saperlo?

Ramon aveva scoperto la “consequentia mirabilis”. E, malgrado qualche problema di lingua, ebbe buon gioco di Marcello.

“Se la verità non c’è, questo sarebbe il vero, che la verità non c’è”.

Ramon, senza conoscere gli anapodittici degli Stoici, o il famoso passo di Euclide, senza la conoscenza formale del principio di Clavius, aveva tuttavia capito una cosa importante.
Sentiva addosso il suo trionfo; ma più che altro guardava Giulia, sperava in un suo luminoso assenso. E invece tutto rimaneva lì, come pietra. Giulia, bella, impenetrabile, indifferente. Difficile coinvolgerla; la sua risposta standard: “dipende”.

Ramon le chiese di riaccompagnarla a casa. Preso, curioso, con una lieve sofferenza nell’animo. Ottenne il suo telefono. Poi tornò a casa, e, sul letto, cercò di rilassarsi. Ma un vago languore, d’animo e non di pancia, lo assaliva a ondate. Gli mancava qualcosa, non poteva rilassarsi. Quegli occhi grandi, quelle mani piccole, quei movimenti felini. Inutile mentire, gli mancava Giulia. Che strano languore. Non era infelicità, anzi, quasi tutt’altro; e tuttavia era vuoto, assenza, con la minaccia della privazione eterna e definitiva. Il vuoto, la morte senza Giulia.

Ramon capì che si era innamorato. E da lì si decise: Giulia doveva essere sua. Qualche incontro di tono intellettuale, qualche allusione, la scoperta dei suoi interessi per l’arte e la psicologia, qualche sguardo di complicità. E infine il successo.

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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.

Maurizio Matteuzzi

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