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L’insostenibile rigidità dell’orario scolastico (1 parte)

Pubblicato il: 19/02/2016 08:26:47 -


Quale ruolo per i docenti dell’organico potenziato? Questo chiedeva L. Berlinguer, ponendo con forza la questione della necessità di rendere flessibile l’orario scolastico.
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Tra tutte le questioni sollevate dalle discussioni relative alla buona scuola non è emerso un aspetto che è uno degli elementi portanti della struttura gerarchico/organizzativa di qualsiasi istituto secondario: il potere che dipende dalla responsabilità della predisposizione dell’orario delle lezioni.

Si tratta di un potere molto forte sui docenti e sulla adeguatezza della offerta formativa della scuola, è fonte di pressioni, richieste, discussioni, talora molto accese, scambi di favori e piccoli dispetti, invidie, gelosie ecc.., che si catalizzano poi intorno alla scelta del giorno libero. “Io, punti buchi…” usava tuonare un simpatico docente toscano, mentre si scatenavano lotte all’ultimo sangue per avere libero il sabato, per carità non il lunedì (giornata evidentemente molto meno appetibile!).

In tutto questo non trova spazio il problema culturale, prima che didattico, del carico giornaliero di studio, l’articolazione degli argomenti, la costruzione di percorsi concreti, al di là del rapporto tra scansione oraria delle singole discipline; se le caselle in cui si indicano le materie corrispondono alla somma delle ore che spettano a ciascun docente, il gioco è fatto.

Queste acrobazie formali, sommate ai ritardi nelle nomine dei docenti, provocano un’anomalia della scuola italiana, che gli studenti che frequentano un anno di scuola all’estero riportano con stupore: “abbiamo cominciato subito a orario pieno” – e aggiungono – “da noi è diverso, si fanno due, tre ore al massimo nelle prime settimane così ci si abitua ecc.”.

Del resto, tra le richieste che le organizzazioni studentesche hanno avanzato in relazione alla buona scuola, si trova anche quella di stabilire la possibilità di “ingresso e uscita libera” del singolo studente nel corso della giornata, richiesta che ipotizza un orario parallelo a quello ufficiale per singolo studente!

Per dirla in breve: tutti, docenti e studenti, cercano di garantirsi piccole vie di fuga dall’orario, una gabbia non sopportabile. Che il tempo e la sua misurazione siano un nodo essenziale nella lunga durata della storia del lavoro, lo ha insegnato Le Goff (Tempo della chiesa e tempo del mercante, Einaudi) quando ha evidenziato, nel medioevo, l’incontro/scontro tra città e campagna, tra coscienza e regola, di cui è metafora il campanile, strumento della misura del tempo, ed ancora lo hanno ripetuto le grandi lotte operaie e contadine per la conquista delle “otto ore”, troppo poche per il padrone, un miraggio per molti ancora oggi.

È importante quindi non sottovalutare mai il problema del punto di vista dei lavoratori della scuola – che giustamente difendono spazi, tempi e strumenti di salvaguardia nell’esercizio della professione – e quello degli studenti, che pretendono di non annoiarsi. Tuttavia, che dentro l’orario scolastico si celino molte più cose di quante siano direttamente standardizzabili per tutti i pubblici dipendenti, lo riconosce la stessa normativa (D.Lgs 66/2003 “Riforma della disciplina in materia di orario di lavoro in attuazione delle direttive 93/104/Ce e 2000/34/Ce”): la nuova disciplina oraria viene applicata in tutti i settori di attività, sia pubblici che privati, ma prevede alcune eccezioni, tra le quali la scuola.

Il D.Lgs 297/1994, che norma la funzione docente, complica le cose, perché ribadisce un orario di insegnamento, cui aggiunge l’espletamento di molte e diverse funzioni che richiamano le finalità della scuola, ma che sicuramente non possono misurare il tempo di realizzazione e la necessità di costruire in concreto una cornice in cui inserire una offerta di efficace formazione. Anche la più rigida burocrazia registra che il problema non è semplicemente riducibile al conto di ore e minuti, ma si limita a fare una lista di compiti e funzioni e ribadisce lo stretto ed univoco rapporto tra prestazione del lavoratore, singola materia e ore di insegnamento a questo dedicate.

Il nodo sta tutto qui: l’orario scolastico è lo strumento attraverso il quale si mantiene nel tempo la rigidità del sistema scolastico italiano che, finora, sebbene l’autonomia delle scuole sia, almeno sulla carta, una legge dello Stato (DPR 275/1999), non viene scalfita in alcun modo e contribuisce a perpetuare un modello di lavoro in cui il sapere viene trasmesso per rigide sequenze di contenuti, segmentati in quote orarie, che nulla hanno a che vedere con i tempi di apprendimento, con la specificità delle discipline, con il necessario adeguamento di modalità di studio alle caratteristiche dei singoli studenti e del gruppo classe, con l’attenzione alla necessità di suscitare motivazione, interesse, e desiderio di misurarsi con esperienze culturali importanti e significative ed anche con la fragilità dei confini tra le singole discipline, le fruttuose intersezioni e sovrapposizioni di queste ecc.

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Vittoria Gallina

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