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Quale cultura per la società contemporanea? parte 1

Pubblicato il: 23/11/2022 06:53:06 - e


La scomparsa di Piero Angela è stata occasione per riflettere sul ruolo dei media nell’educazione scientifica e tecnologica della cittadinanza. Giuseppe Cappello, docente di filosofia nel liceo ci ha proposto un suo punto di vista sugli effetti di talune semplificazioni divulgative sulla formazione dei giovani nel sistema scolastico. Education2.0 ha ritenuto importante approfondire la questione posta da Cappello innescando un dialogo con Mario Fierli. Pubblichiamo in questo numero il primo Botta e Risposta a cui farà seguito nel prossimo numero una seconda parte ugualmente sviluppata a due mani.
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PIERO ANGELA E IL PASCOLO DEI QUARK

Giuseppe Cappello

Il saluto è stato giustamente celebrato e così ora si dovrebbero poter dire alcune cose su cui un rispettoso esercizio del dubbio va esercitato e probabilmente lo stesso Piero Angela e la sua mentalità scientifica avrebbero salutato con favore. 

In particolare sulla scuola. 

Quale docente di filosofia, devo dire che mi lascia molto perplesso un’idea che della scuola aveva il Nostro e che, espressa al tempo in un’intervista, è rimbalzata di sito in sito durante le giornate agostane che hanno seguito alla sua morte. L’idea espressa nei termini per cui «la matematica e la fisica possono emozionare se le si impara costruendo un robot in classe, con i propri compagni». Mi sembra, questa, una concezione che partecipa dell’ormai professionalizzazione degli studi liceali che sempre di più invece perdono la loro quintessenza speculativa. Esangue del resto, attraverso la scuola, in tutto il tessuto della società.

Come esangue è in generale, da un capo all’altro, tutto il sapere umanistico che, attraverso lo studio de L’Infinito di Leopardi, il Trentatreesimo Canto del Paradiso e così andando indietro a Sofocle per riandare avanti a Montale come a un puro teorema matematico, pensa alla costruzione (vale bene qui il termine tedesco – Bildung – di educazione) innanzitutto di uomini e donne prima che di robot. 

Il bello è che le stesse persone, fra cui diversi colleghi e colleghe, che in questi giorni celebrano, in una sorta di ordalia del necrologio che satura sempre più i social media, spesso si spendono invece per far rimbalzare fra le loro bacheche un istruttivo passo di Agnes Heller in cui la filosofa ungherese scrive: «Se qualcuno dovesse chiedermi, come filosofa, che cosa si dovrebbe imparare al liceo, risponderei: “prima di tutto, solo cose “inutili”, greco antico, latino, matematica pura e filosofia. Tutto quello che è inutile nella vita». Peraltro eco di un passaggio del Primo Libro della Metafisica di Aristotele dove «il maestro di color che sanno» scrive, quanto alla filosofia, che: «tutte le altre scienze sono più utili, nessuna superiore». E non perché in Aristotele ci sia una concezione snobbistica del sapere pratico. Gli studi di Jaeger hanno mostrato quanto lo sguardo di Aristotele sul mondo fenomenico debba all’influenza dell’esercizio professione medica di entrambi si suoi genitori.

Il punto è che l’idea di Aristotele (così come della sua scuola che fu lui a chiamare Liceo) è quella di costruire uomini e non robot. Il termine greco paideia, che fa il paio nel segno di un più lucente bagliore di luce mediterranea con il tedesco Bildung, è quello che allude alla formazione di uomini e non di robot. In ispecie, alla lettera, di fanciulli (pais-paidos in greco appunto fanciullo). E di costruire uomini che siano cittadini. 

Qui il nostro ragionamento incrocia l’idea di una scuola che abbia tematizzato la costruzione di robot come fiamma del processo di apprendimento con la crisi della democrazia e della politica in generale; nella scuola della paideia l’idea è che il processo di apprendimento abbia il suo centro piretico nella costruzione delle relazioni umane. Non è un caso che Aristotele indichi l’uomo con due espressioni che sono tanto complementari quanto indicative: “animale razionale” e “animale politico”. Dove non c’è razionalità che si possa costruire al di fuori della vita associata, la politeia, e non c’è vita associata che si possa costruire al di fuori della razionalità (logos). 

Ludendo docere (in latino!) era il motto protrettico con cui Piero Angela si esprimeva in una delle sue osservazioni sul processo di apprendimento. Ma chi dice che non ci sia gioco sul concetto? Che il gioco sia solo intorno alla meccanica di un computer o di un robot? Mi ricordo quanto avessimo giocato, e quanto ci si possa giocare in classe con gli studenti, con divertimento e ilarità proprio sulle figure dei sillogismi aristotelici. Che peraltro, nella formalizzazione prima logica del pensiero medievale e poi aritmetica del pensiero moderno, sono proprio alla base del linguaggio dei software dei nostri computer che ‘animano’ i robot fino ai cellulari. 

E del resto chi di noi non ha mai ascoltato Mind Games di John Lennon … Mind Gamesforever. Il punto è proprio questo: che in eterno si può giocare solo con l’eterno; e noi, uomini e donne, di questo eterno partecipiamo con la mente e con la passione della mente (il genitivo è soggettivo e oggettivo). 

La ricaduta pratica o meglio fabbricatrice temporalizza, spazializza; ed è cosa sacrosanta a essere fatta. Ma sacrosanto e vitale per il genere umano è il gioco per il gioco … il cui prodotto non è un robot ma ciò che ci riconduce alla scaturigine della nostra esistenza. C’è chi la chiama Dio e c’è chi la chiama Natura, non importa. Ciò che importa è il ritorno, il nostos, del nostro essere a se stesso … che, amicus Piero sed magis amica veritas, non è un robot nemmeno nella sua versione platonica di un demiurgo celeste. Pure questo (non diremo questi come non lo potremmo mai dire di un robot), per fabbricare, doveva guardare (theorein) a quella «pianura della verità in cui si trova il pascolo congeniale migliore dell’anima e che di questo si nutre». Il pascolo dei quark, di quei superquark «senza colore, privi di figura e non visibili» che da un questo ci fa diventare un questi. 

 

ALCUNE OSSERVAZIONI SULL’ARTICOLO DI GIUSEPPE CAPPELLO.

Mario Fierli

Utile/inutile

Ricorre spesso l’orgogliosa rivendicazione della inutilità della vera cultura, assegnata da Agnes Heller ad alcune discipline. Quelle che si dovrebbero insegnare in un liceo. Ma l’inutilità è una rivendicazione ovviamente paradossale, specie se presa alla lettera e senza le provvidenziali virgolette. Entra per esempio in contraddizione con l’affermazione che quella cultura è fondamentale per la formazione dei cittadini. Forse è migliore la formulazione della Nussbaum “Not for profit”.

Ma anche l’elenco delle discipline della Heller, probabilmente solo esemplificativo, è da discutere. Manca per esempio la fisica che è duro escludere dalla cultura di un cittadino, anche se è difficile separarla totalmente dalle sue applicazioni e quindi dalla tecnica. La matematica è accettata, perché “pura”. Se si vuole privilegiarne l’aspetto speculativo e criticare la sua riduzione al solo calcolo, come avviene nella didattica prevalente, non si può che essere d’accordo. Ma come si fa a rinunciare alla utilissima funzione della matematica come strumento di comprensione del mondo fisico e persino sociale? 

Va infine osservato che anche la tecnica, pur essendo sempre diretta a uno scopo,  può anche non produrre un “valore di  scambio”. Succede per esempio nel gioco, nello sport e nel bricolage. Ma può succedere anche nelle imprese sociali. La Torre Eiffel è la quintessenza della tecnicità eppure è priva di uno scopo pratico. Roland Barthes nel saggio La Tour Eiffel spiega che per assumere la sua natura onirica e di grande simbolo: “…è necessario che la Torre si sottragga alla ragione. La prima condizione di questa fuga vittoriosa è che la Torre sia un monumento inutile.”

Uomini/robot

E’ evidente che “costruire uomini e non robot” è una figura retorica. E’ ovvio che chi costruisce un robot non è un robot! Esattamente come gli intagliatori di pietre non erano pietre. Anzi, come ci insegna l’antropologia, l’aver imparato a costruire utensili di pietra è la prova che erano uomini. Per la semplice ragione che l’invenzione  o la costruzione di un qualsiasi oggetto richiede il possesso della facoltà fondamentale che distingue l’uomo: l’immaginazione. 

Progettare e costruire, oltre all’immaginazione, richiede una certa forma di pensiero o capacità (diciamo una technè) che include, fra l’altro, la capacità di astrarre, farsi domande e trovare soluzioni, usare linguaggi. Che questa forma di pensiero sia diversa dalla meditazione è ovvio. Ma può invece includere una sua forma di speculazione. “Largo campo di filosofare a gl’intelletti specolativi parmi che porga la frequente pratica del famoso arsenale di voi, Signori Veneziani, ed in particolare quella parte che mecanica si domanda….” dice Salviati all’inizio di Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze di Galileo.

L’informatica e la robotica hanno in modo particolare queste proprietà cognitive e SymourPapert, sulla scorta di Piaget, ne ha spiegato, nel suo Mindstorms,la funzione nella formazione dei concetti.

Vale la pena ricordare che la costruzione non è la sola pratica della tecnica. C’è anche il suo simmetrico: l’analisi. Cioè la comprensione del modo in cui gli oggetti tecnici sono fatti e del come funzionano o non funzionano. Questo procedimento, come ci ha spiegato Robert Pirsig nel suo libro di filosofia-pop Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, è simile all’indagine scientifica. Anzi ne è una parte.

Tecnica e scuola

Il problema, in ultima analisi, è quello di stabilire se e a quale livello scolastico deve essere introdotto lo studio e la pratica della tecnica. E’ consolidato, in ogni paese del mondo, che lo si debba fare nella formazione di base. Anche se occorre ammettere che spesso ciò avviene in modo assurdo, rinunciando al suo valore cognitivo e riconducendola a insegnamento puramente nozionistico.

Nella scuola secondaria superiore, abbandonato il progetto degli anni ’70 e ‘80 di unire cultura e professione, è ovvio che la tecnica sia destinata alla formazione tecnico-professione. Ma in essa spesso si rinuncia ai suoi valori cognitivi più forti.

Nei percorsi liceali sorge un problema che andrebbe trattato a parte. La storia e la filosofia si occupano di tecnica. Anche l’arte non può dissociarsi del tutto da quella con cui nel passato costituiva un unico ambito. E questo richiede una certa comprensione e di capacità di analisi del “mondo fatto dall’uomo”. Speculare, per esempio, sulla natura dell’intelligenza artificiale e sui suoi problemi etici senza avere un certo livello di comprensione del suo funzionamento può portare ad esiti a volte privi di senso.

 

Giuseppe Cappello Docente di filosofia e storia al Liceo Augusto Righi di Roma, Mario Fierli della redazione di Education2.0

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