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Compiti per le vacanze, riflessioni in corso

Pubblicato il: 20/08/2014 13:24:04 -


“Compiti per le vacanze sì o compiti per le vacanze no?” Alcune riflessioni su una concezione vecchista della scuola.
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Contribuito sul tema dei compiti per le vacanze, con uno stile narrativo e con un tono leggero, a partire da una situazione di vita estiva usata come pretesto per mettere a fuoco i due orientamenti rispetto al tema. La propria tesi sostenuta in quattro “pensieri”, pausa riflessiva rispetto alla narrazione.

1. I compiti per le vacanze sarebbero uno di quei “vecchismi” che riprendono lo schema dei compiti per casa.

2. Un “vecchismo” se non da abolire, almeno da riformare, proponendo, compiti autentici per le vacanze.

3. Un vecchismo – è il dubbio provocatorio – forse, utilizzato come uno dei soliti modi all’italiana di affrontare i problemi (“vacanze-troppo-lunghe”) con soluzioni-tampone (compiti per le vacanze).

4. S’ipotizza che i compiti per le vacanze si collochino in quella concezione moralistica dello studio (“prima il dovere e poi il piacere”) che scinde crono-logicamente apprendimento e gioco. In barba a tutte le teorie sulla motivazione e sulle alle metodologie attive. Ma è l’idea di fondo se l’imparare diventa un gioco, allora è più coinvolgente e appassionante. Così come per gli adulti, se il lavoro è un gioco è meno faticoso.

La scuola è la proposta e la speranza, deve fare un salto culturale, antropologico, formativo: costruire una concezione motivante dello studio. Non si tratta, quindi, di scegliere se essere a favore o contrari ai compiti per le vacanze, ma chiederci con quale senso li stiamo assegnando.

E, affidando la conclusione alla raccomandazione di H. Arendt, si sostiene che i metodi educativi sono molti. Tutti legittimi nella misura in cui producono gli esiti attesi. Vanno scelti nella consapevolezza delle finalità che si vogliono perseguire. È il richiamo alla dimensione della riflessività, bussola della professione docente: pensare a ciò che si fa, perché si fa qualifica e (re)indirizza la nostra condotta. Ma richiede una fatica, superabile solo se svolgiamo il nostro lavoro con “piacere” e non solo per “dovere”.

Leggi il testo completo dell’articolo di Elisabetta Dell’Atti

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Immagine in testata di Nazario Melchionda / Fotocommunity (licenza free to share)

Elisabetta Dell'Atti

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