L’occasione del nuovo apprendistato
L’accordo del luglio scorso offre un’occasione da non perdere per affrontare il dramma sociale della disoccupazione giovanile e per contrastare la crescente diffusione del precariato. L’analisi dello scenario italiano.
In Italia il tasso di disoccupazione giovanile (18-24 anni) è pari al 27,8 per cento (in Francia è il 13,7 e in Gran Bretagna il 19,6). Secondo il rapporto Istat 2010, nel 2009 in Italia i giovani che non studiano e non lavorano, denominati NEET (Not in Education, Employment or Training), nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni erano circa 2 milioni (il 21,2 per cento), mentre sono 3 milioni i giovani tra 20 e 34 anni con un livello di istruzione pari o inferiore alla licenza media.
L’accordo raggiunto lo scorso luglio unitariamente dalle organizzazioni sindacali con le parti datoriali, il Governo e la Conferenza delle Regioni, ha dato luogo a un nuovo Testo Unico che mette ordine a una situazione confusa e conflittuale (dal 1997 a oggi si sono succeduti 4 interventi normativi e 2 sentenze della Corte Costituzionale) e pone le condizioni per un rilancio del contratto di apprendistato con l’obiettivo di farlo diventare la principale forma di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
Queste le principali novità positive:
• l’apprendistato è un contratto a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione, al termine del periodo di formazione, se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso, prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato; per favorire la stabilità dei rapporti di lavoro al termine dell’apprendistato, si demanda ai contratti nazionali la previsione di percentuali di stabilizzazione propedeutiche a nuove assunzioni;
• la finalità formativa è rafforzata, i percorsi formativi sono finalizzati a conseguire qualifiche e diplomi professionali nelle prima tipologia di apprendistato, diplomi di istruzione secondaria superiore o titoli di studio tecnici superiori, universitari, dottorati in ricerca nella terza tipologia, mentre nell’apprendistato professionalizzante (seconda tipologia) si conseguono qualifiche professionali ai fini contrattuali e si garantisce un monte ore complessivo di 120 ore in tre anni per l’acquisizione di competenze di base e trasversali; inoltre è confermato l’obbligo del tutor aziendale;
• si definiscono con chiarezza le competenze: le Regioni regolamentano gli aspetti formativi della prima e terza tipologia (profili formativi, monte ore di formazione, modalità di erogazione della formazione aziendale) e disciplinano le 120 ore di formazione di base e trasversale nell’apprendistato professionalizzante, mentre il contratto nazionale di lavoro – sono esclusi i livelli contrattuali decentrati inizialmente inseriti dal governo – stabilisce durata e modalità di erogazione della formazione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche;
• la durata massima del contratto di apprendistato passa da sei a tre anni (cinque per le figure professionali dell’artigianato), mentre quella minima verrà definita dalla contrattazione nazionale; è confermato il divieto di retribuzione a cottimo e l’impossibilità di sommare il sottoinquadramento alla percentualizzazione della retribuzione;
• le competenze acquisite saranno certificate secondo modalità pubbliche definite dalle Regioni e sulla base di standard professionali e formativi definiti a livello nazionale; saranno inoltre registrate nel libretto formativo del cittadino ai fini della loro spendibilità nel rapporto di lavoro e nei rientri nei percorsi di istruzione e formazione; è confermata l’istituzione del repertorio delle professioni per armonizzare le diverse qualifiche professionali e consentire la correlazione tra standard formativi e standard professionali.
Nella versione finale del Testo Unico permangono ancora aspetti negativi come la possibilità di intermediare apprendisti con lo staff leasing e di assumere come apprendisti lavoratori in mobilità. Rimane anche la possibilità di avviare i percorsi di apprendistato a 15 anni, nonostante l’obbligo di istruzione si concluda a 16 anni e solo successivamente sia possibile l’accesso al lavoro.
Queste perduranti criticità, nei confronti delle quali occorre mantenere una forte azione di contrasto, non oscurano le opportunità di rilancio dell’apprendistato che il nuovo quadro normativo pone in essere. Occorre però risolvere positivamente alcune questioni rimaste aperte e attivare politiche per la crescita e l’occupazione giovanile.
Innanzi tutto l’apprendistato non deve tornare a essere una forma di finanziamento alle imprese: prima di questa riforma l’apprendistato poteva durare fino a sei anni e nell’80 per cento dei casi la formazione non era attivata. Qualche rischio di conservazione di questa situazione dequalificata perdura perché cinque associazioni imprenditoriali (Confcommercio, Confesercenti, Abi, Ania, Confetra) non hanno sottoscritto l’accordo, considerando eccessiva la concessione per il settore dell’artigianato di una durata massima di cinque anni, nonostante sia limitata ad alcune figure specifiche da individuare nella contrattazione collettiva.
A parte la situazione specifica dell’artigianato, l’apprendistato non deve, invece, durare più di tre anni e deve garantire sempre la formazione. Per questo è di grande rilevanza l’attribuzione alle Regioni della certificazione delle competenze acquisite anche attraverso la formazione aziendale e l’obbligo di registrarle nel libretto formativo. Ed è importante la possibilità di finanziare i percorsi formativi anche attraverso i fondi interprofessionali per la formazione continua perché contribuisce ad affrontare il problema delle risorse per la formazione degli apprendisti.
Una particolare attenzione deve essere inoltre rivolta alla novità introdotta nell’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale che ora si rivolge alla popolazione 16-25 anni (prima era 16-18). Si tratta di valorizzare questa innovazione per far entrare i giovani nel mondo del lavoro e per fare acquisire almeno una qualifica professionale a quel 20 per cento di giovani tra 20 e 24 anni in possesso della sola licenza media. A questo fine, nell’ambito di un piano straordinario per l’occupazione giovanile, occorre finanziare un incentivo diretto di natura straordinaria per l’inserimento lavorativo dei giovani con il contratto di apprendistato. Le risorse necessarie per finanziare il piano per l’occupazione giovanile, come ad esempio proposto dalla Cgil, si possono trovare attraverso l’aumento della tassa di successione, modificandone i criteri attualmente in vigore e cancellandone l’esclusione dei patrimoni redditizi (maggiori entrate previste 1 miliardo nel 2012 e 2 miliardi dal 2013).
Un’altra opportunità da non sottovalutare è rappresentata dall’apprendistato per l’alta formazione, fin qui attivato solo per 1500 lavoratori, che può favorire l’assunzione di giovani qualificati da parte di un sistema produttivo che deve riposizionarsi sulle filiere alte dell’innovazione e della ricerca. L’innovazione, infatti, presuppone crescita delle competenze dei lavoratori e stabilità del rapporto di lavoro.
Infine, il rilancio dell’apprendistato sarà possibile solo se la moneta cattiva della concorrenza impropria delle tipologie contrattuali atipiche non continuerà a scacciare la buona. Molte imprese continuano a trovare più conveniente ricorrere a stage, tirocini e falsi contratti di collaborazione a progetto perché meno costosi e meno tutelati. Per questo l’intesa prevede tavoli specifici tra Governo, Regioni e Parti Sociali per ricondurre questi istituti entro i limiti delle loro specifiche finalità.
Fabrizio Dacrema