Home » Politiche educative » Le STEM e il PNRR. Una complessità ingovernabile?

Le STEM e il PNRR. Una complessità ingovernabile?

Pubblicato il: 10/01/2024 05:15:46 -


Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Il ministro Valditara ha  inviato recentemente alle scuole le Linee guida per le discipline STEM[1]. E’ un “atto preliminare” per l’attuazione di una delle azioni del PNRR: l’investimento 3.1 Nuove competenze e nuovi linguaggi del Piano Scuola 4.0  al quale sono destinati 1,10 miliardi di euro. Il documento ha per oggetto le discipline STEM, ma l’investimento 3.1, secondo la formulazione del Piano, coinvolge ha anche altri obiettivi, per esempio il multilinguismo. Il focus è sempre comunque il rapporto con le tecnologie digitali.

Va ricordato che le tecnologie digitali sono al centro di altri due investimenti previsti dal Piano[2]

Perché  incentivare le STEM. Due punti di vista.

La promozione delle discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics)[3] è un tema costante  delle politiche educative ovunque nel mondo. L’acronimo non è solo un elenco, in realtà vuole indicare un blocco culturale di contenuti e di metodi in cui le discipline non solo convivono, ma in qualche modo si integrano. L’origine della richiesta di un maggiore impegno nelle STEM è socio-economica: l’innovazione dei sistemi di produzione e dei servizi e la capacità di competere nel mercato globale richiede forti e diffuse competenze tecnico-scientifiche. Quindi si chiede un più alto numero di laureati nelle STEM e, di conseguenza, un forte orientamento in questa direzione nella scuola. Le imprese, in particolare quelle impegnate in settori di avanguardia, e i loro organismi sono ovviamente fra i principali stakeholders e sono presenti in molte iniziative di supporto, incluse le pratiche di scuola-lavoro.

I governi e gli organismi internazionali hanno generalmente una visione più ampia e associano alla dimensione economica quella dei diritti di cittadinanza. Un obiettivo è migliorare le competenze necessarie per la comprensione di realtà complesse nella società, nella natura e nel mondo tecnologico. Questo chiama in causa ovviamente la qualità della formazione e, fra l’altro, la necessità, proprio per comprendere tali realtà, di puntare a un più ampio livello di integrazione associando alla scienza il sapere umanistico: si pensi ad esempio ai problemi etici che sorgono nell’uso delle nuove tecnologie dell’informazione. Non dimentichiamo tutta una corrente culturale che si batte contro ogni forma di finalizzazione economica dell’educazione (il “Non per profitto” della Naussbaum) o contro ogni finalizzazione pratica, fino a contestare il concetto di competenza. Strada facendo, quindi, l’acronimo ha acquisito  una nuova lettera diventando STEAM, dove la A sta per Art e indica genericamente le scienze umane. Un altro obiettivo è quello della parità di genere. La partecipazione delle donne alle carriere basate sulle scienze e le tecnologie è inferiore a quella degli uomini. Salvo che per la medicina. E questo dipende non tanto dalla minore capacità delle donne quanto dagli stereotipi di genere: come rivelano le indagini OCSE solo una minoranza di ragazze, anche se raggiungono a scuola risultati pari o superiori a quelle dei ragazzi, prevedono per loro stesse una carriera in ambito scientifico-tecnologico.

Le Linee Guida del Ministero argomentano l’importanza di un rafforzamento delle STEM per le finalità economico-produttive, ma aprono alla più ampia visione della cittadinanza. Lo dimostrano le SoftSkill proposte: pensiero critico, comunicazione, collaborazione, creatività.

Il testo esordisce con un elogio del valore culturale della matematica. Seguono una lunga premessa sul valore formativo delle discipline scientifiche, le indicazioni generali per un insegnamento efficace e le indicazioni metodologiche specifiche per i diversi livelli: ZeroSei, primo ciclo, secondo ciclo, educazione degli adulti. Le indicazioni raccolgono tutto quanto viene raccomandato da tempo: apprendimento attivo, problem solving, centralità della pratica di laboratorio, percorsi basati sul metodo dell’indagine, lavoro per progetti per favorire complessità, interdisciplinarità e trasversalità.

Come si promuovono le STEM?

Come si promuovono le innovazioni educative in generale e le STEM in particolare? Dare linee guida e finanziamenti alle scuole per le loro azioni e sperimentazioni è necessario ma non sufficiente. Occorrono politiche, azioni e strumenti di supporto che possono essere molto varie: da quelle fluide/aperte a quelle strutturate/concentrate.

  • Sul primo versante si collocano le reti di scambio di esperienze, coprogettazione, messa in comune di materiali didattici e risorse. Sono in genere lo strumento di alleanze o comunità.  StemAlliance è dedicata al rapporto fra formazione e lavoro ed è sostenuta grandi imprese. SCIENTIX-The community for science education in europe è una rete di insegnanti, ricercatori, decisori, professionisti supportata dall’UE. Più episodiche sono le premiazioni e il sostegno per le migliori esperienze. Un esempio è Women in STEM di Confindustria. Le tradizionali competizioni ( Olimpiadi di Matematica, robotica ecc) hanno più lo scopo di selezionare le eccellenze.
  • Sul secondo versante ci sono i così detti Project, creati dalle comunità scientifiche, in particolare nel mondo anglosassone e oramai gestiti in rete, che forniscono materiali per studenti e guide per gli insegnanti (Standard formativi, struttura curricolare, linee guida, schede, compiti, risorse di laboratorio) inspirati a metodi/modelli formativi specifici.

All’estremo della strutturazione ci sono i curricoli “chiavi in mano” che coprono per intero, per una data disciplina, uno o più livelli scolastici e aggiungono alle risorse anche la certificazione. E’ tipico di alcuni corsi tecnologici, e di lingue. Un esempio per le scienze è il corso di Chimica, del Cambridge Assessment International Education, adottato anche nei licei italiani.

La formazione dei docenti è naturalmente fondamentale, soprattutto se si tratta di una pratica stabile e non episodica.

Dalle Linee Guida alla pratica.

Dei 1,10 miliardi di questo investimento il decreto del Ministro dell’istruzione e del merito 12 aprile 2023, n. 65, ha già destinato  a tutte le scuole 600 milioni di euro per percorsi formativi STEM, digitali e di lingue degli studenti e 150 milioni per percorsi annuali di lingua e metodologia per i docenti. Il criterio è quello adottato anche per gli altri investimenti: proporzionalità rispetto al numero degli iscritti (circa 65-175 mila per scuola).

Le Linee Guida danno qualche indicazione sui tipi di attività:

“Le azioni didattiche possono ricomprendere, a titolo esemplificativo e non esaustivo, lo svolgimento di percorsi formativi di tipo laboratoriale e attività di orientamento sulle STEM, la creazione di reti di scuole e di alleanze educative … la realizzazione di iniziative, anche extrascolastiche, per gli alunni della scuola primaria e della scuola secondaria … azioni di informazione, sensibilizzazione in particolare in occasione della celebrazione nelle istituzioni scolastiche della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza. Per la formazione dei docenti le istituzioni scolastiche hanno la possibilità di organizzare percorsi formativi sull’utilizzo delle metodologie didattiche innovative per l’apprendimento delle STEM, …”

Si conta quindi sulle iniziative delle scuole. Ed è giusto, in linea di principio, salvo il rischio di alimentare la corrente che si oppone alla scuola “progettificio”. Una parte delle somme non è distribuita e si accenna al fatto che la gestione di questo investimento sarà gestita, oltre che dal Ministero, anche dal dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’INDIRE”. Forse per gli eventi nazionali? O altre iniziative di supporto in rete.

Tradizionalmente l’unica forma di supporto sistematico al curricolo è il libro di testo. In molti casi questo strumento è insufficiente o addirittura contraddittorio per certe discipline: si pensi alla Tecnologia insegnata nella scuola secondaria di primo grado. L’editoria scolastica si è evoluta strutturando alcuni testi su modelli di apprendimento ed è arrivata talvolta alla produzione di libri-progetto (Si pensi, in ambito umanistico, all’ormai mitico Il Materiale e l’immaginario). I fornitori di attrezzature, oramai in gran parte digitali, si spingono fino a proporre mini-progetti didattici o corsi. Ma solo forti gruppi di progetto legati alla ricerca educativa delle varie discipline e delle tecnologie didattiche può alimentare Project, di cui abbiamo parlato, che offrano standard formativi, modelli curricolari, linee guida, risorse di laboratorio inspirati a metodi/modelli formativi specifici. Di fatto questa situazione non si verifica da noi, perché richiede un associazionismo disciplinare molto potente e un sistema di ricerca educativa nelle università. Due condizioni mancanti per noi, salvo in qualche misura per la matematica. Anche la ricerca educativa sulle tecnologie didattiche, che pure esiste, con un Istituto del CNR  (ITD) e con qualche cattedra universitaria, ma nei corsi di pedagogia, non sembra convergere su progetti importanti. Per quanto riguarda la formazione dei docenti, una parte degli obiettivi relativi alle STEM dovrebbero essere parte del “sistema multidimensionale e strategico” previsti dal finanziamento 2.1 (vedi nota 2).

Il PNRR non prevede riassetti curricolari che riguardino le discipline scientifiche. E tuttavia proprio le strutture curricolari presentano problemi, che esistono da tempo, in particolare per le scuole secondarie di primo e secondo grado. Vediamone uno sicuramente cruciale. La divisione disciplinare, molto marcata e rigida nelle superiori, ma in parte anche nella secondaria di primo grado, non favorisce certo la invocata interdisciplinarità e le competenze trasversali. La soluzione, nella secondaria superiore, è quella di ricavare uno spazio orario annuale dedicato al metodo dei progetti (antica proposta Deweiana). Dagli anni ’80 si è cercato di dare forma alla così detta “area di progetto” e le sperimentazioni hanno dato risultati molto incoraggianti, ma si è rimasti nell’ambito dell’impegno volontaristico. L’attuale soluzione dei PCTO, che persegue più scopi e assorbe la tematica scuola-lavoro, può anche essere utile in questo senso, a patto che non si limiti a fare esplorazioni extrascolastiche,  ma impegni gli studenti su progetti complessi.

Ci sono poi altri problemi sulla ripartizione e sulla collocazione delle discipline scientifiche nel curricolo. Vediamo solo qualche esempio.

  • La rigidità dei percorsi soprattutto nei licei. Una soluzione sarebbe organizzare percorsi opzionali, che permettono di scegliere, per alcune discipline, fra versione forte e versione debole e, al limite, di abbandonare una disciplina. Questo richiede flessibilità organizzativa a tutti i livelli, che non è la nostra specialità. E non è comunque semplice, come mostra la recente vicenda della scuola francese dove il permesso di abbandonare del tutto la matematica dopo alcuni anni di corso, ha creato seri problemi.
  • Negli Istituti Tecnici la tradizionale distribuzione di scienze generali, in funzione puramente propedeutica, nel solo biennio e di sole tecnologie specializzate nel triennio non favorisce la capacità di comprendere la crescente complessità dell’evoluzione tecnico-scientifica. Sono sperimentabili soluzioni più fluide e del resto, se il ruolo degli Istituti Tecnici Superiori deve diventare strategico, non c’è ragione di comprimere negli Istituti Tecnici alti livelli di specializzazione tecnica spesso irrealizzabili.
  • Nella secondaria di primo grado si dibatte da tempo sia sul livello sia sul modo di demarcazione delle discipline. C’è il caso di Tecnica che è nello stesso tempo tanto carica di obiettivi (panoramica di tante tecnologie, rapporti con il contesto sociale, coding, robotica ecc.) quanto povera di risultati. Si potrebbe studiare una diversa soluzione che stabilisca un migliore rapporto fra scienze e tecnologia, forse anche una fusione, saldamente basato sulla pratica dell’indagine e del progetto. Magari liberando la matematica. Ma ogni soluzione si deve confrontare con le classi di concorso e i titoli di studio dei docenti.

Un grosso problema è quello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Le competenze di uso di queste tecnologie dovrebbero essere saldamente radicate in tutte discipline. Bisogna dire che Il PNRR punta decisamente a questo obiettivo. Ma forse il forte investimento in nuove aule attrezzate, reti stabili,  potenti strumenti (diciamo, metaforicamente, l’hardware della scuola) non bastano se non si sviluppano le competenze educative e didattiche (sempre metaforicamente il software della scuola). E la formazione non funziona se non si basa su idee operative, esperienze significative e ricerca.

Sull’altro versante c’è il problema dell’informatica come disciplina che è un pellegrino che cerca spazio. Ne ha trovato nell’indirizzo specifico degli Istituti Tecnici e nel Liceo delle scienze applicate. Ma non è entrata nel canone delle scienze di base. La stessa matematica, designata con il Piano Nazionale di Informatica degli anni ’80 come disciplina “ospitante”, non è stata generosa in questo senso. Recentemente tutto è stato semplificato con il brutto termine di coding, che anche il PNRR cita come caposaldo. Niente da dire sullo scrivere programmi in LOGO o Scratch, nella scuola primaria o secondaria di primo grado, per guidare robot, disegnare, produrre musica ecc. E’ un modo per inventare, costruire e imparare a esprimersi attivamente (vecchia idea pedagogica della scuola attiva) con le tecnologie moderne. Il problema è che il così detto computational thinking è un modo di pensare complesso, nel quale usare un linguaggio di programmazione è solo una parte. Basta pensare alla scienza dei dati che è ne più ne meno il modo per creare modelli di ogni tipo di mondo, naturale, sociale, artificiale e su questa base progettare potenti sistemi artificiali. A questo punto si affaccia l’Intelligenza Artificiale, sulla quale fin ora, a parte le paure e gli anatemi, l’unica idea sensata è che bisogna “addomesticare la bestia” sia sul piano socio-culturale sia su quello intellettuale, e quindi educativo, riducendo l’automa a utensile.  Ma il come è tutto da costruire.

[1] https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Linee+guida+STEM.pdf/2aa0b11f-7609-66ac-3fd8-2c6a03c80f77?version=1.0&t=1698173043586

[2] 3.2 Scuola 4.0 destina  2,10 miliardi alla creazione di  scuole innovative, cablaggio, nuovi ambienti di apprendimento e laboratori. Questo investimento è stato a suo tempo definito con un Decreto del ministro Bianchi e le scuole sono già impegnate nella sua attuazione, che meriterà un’analisi specifica. 2.1 Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico destina 0,80 miliardi di euro per alla realizzazione di un “sistema, multidimensionale e strategico, di formazione continua degli insegnanti e del personale scolastico … e la creazione di un quadro di riferimento nazionale per l’insegnamento digitale integrato, per promuovere l’adozione di curricoli sulle competenze digitali in tutte le scuole.

[3] L’acronimo STEM è stato coniato negli USA. Engineering non è solo un ramo dell’istruzione universitaria, ma si applica a tutti i livelli e corrisponde quindi anche alla nostra educazione tecnica di base e all’Istruzione Tecnica. Questa per altro è una novità negli Stati Uniti, dove recentemente si stanno attivando corsi secondari di questo tipo ed è nata anche una associazione specifica (American Society for Engineering Education)

Mario Fierli

916 recommended

Rispondi

0 notes
2146 views
bookmark icon

Rispondi