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Assunzioni: il piano straordinario e l’organico delle scuole

Pubblicato il: 06/10/2014 13:41:21 -


La leva dell’organico è stata sempre utilizzata in funzione della sostenibilità della spesa per l’istruzione e della stabilizzazione del personale della scuola. Criticità e riflessioni propositive.
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I fattori che negli anni hanno determinato un numero così elevato di precariato scolastico sono, in gran parte, noti.
Da un lato la sporadicità dei concorsi (mediamente uno ogni dieci anni) e la lentezza delle procedure non hanno certo assicurato il turn over nella scuola e, dall’altro, le annuali immissioni in ruolo in misura spesso esigua (con l’eccezione del contingente elevato, 50.000 docenti, dell’a.s. 2007/08) non hanno potuto contenere l’inesorabile lievitazione del precariato collocato in graduatorie ad esaurimento e d’idonei.

Un altro fattore è dato, ovviamente, dal quadro organico di ogni singola scuola – che si contrae o si espande a seconda dell’andamento della popolazione scolastica – con i suoi due volti: quello dell’organico di diritto che consiste nella previsione, effettuata prima dell’inizio dell’anno scolastico, delle docenze necessarie in base alle classi e agli insegnamenti e quello dell’organico di fatto che è la determinazione del reale fabbisogno di docenti, riscontrata all’inizio e nel corso di ogni anno scolastico.

Il primo è lo strumento che consente la mobilità del personale e le c.d. nuove immissioni in ruolo (rectius i nuovi contratti a tempo indeterminato), mentre il secondo configura la spesa effettiva, inclusa quella assai rilevante per i contratti a tempo determinato.
La leva dell’organico è stata quindi sempre manovrata in funzione della sostenibilità della spesa complessiva per l’istruzione e delle periodiche revisioni e manutenzioni dell’ordinamento scolastico italiano, sia nei suoi profili organizzativi che in quelli didattici, dalla scuola primaria alla secondaria superiore.

Come si è detto sinteticamente il precariato non è, però, solo figlio dell’organico di fatto ma dell’insieme di tutti i fattori in questione ed è necessaria una manovra complessiva ed equilibrata per raggiungere progressivamente il traguardo del riassorbimento del precariato e l’atteso reclutamento di giovani laureati. La manovra, appunto, disegnata nel piano straordinario che dovrebbe portare già nel prossimo anno a una massiccia assunzione di 150.000 docenti tra precari storici e idonei e il contemporaneo bando di concorso per 40.000 abilitati.

Il personale della scuola è circa un terzo del pubblico impiego in Italia, e come tutti gli altri dipendenti pubblici soffre di un eterno confronto con il privato: un confronto impari tra posto garantito e posto aleatorio. Ma se è vero che quanto a flessibilità in uscita la garanzia del posto pubblico è inossidabile, per quella in entrata c’è però il macigno della durata media (quindici anni) del precariato scolastico. È proprio tale macigno che questo piano intende disintegrare. La riuscita dell’operazione è legata a due condizioni fondamentali: la sostenibilità economica del piano e il pieno utilizzo delle risorse professionali neo-assunte.

Di nuovo l’organico delle scuole ridiventa l’anello di congiunzione di queste due condizioni, infatti un intervento finanziario di tale entità (nel piano si parla di circa 3 miliardi di euro) ha assolutamente bisogno di tutte le possibili e immaginabili economie interne.
E le uniche economie interne significative sono le spese per le supplenze, che andrebbero azzerate. Per cogliere il dato essenziale di questa strategia bisogna considerare che finora le annuali immissioni in ruolo venivano effettuate esclusivamente per ricoprire, in tutto o in parte, cattedre rimaste senza titolare, quindi in organico di diritto. Tali contingenti di nomine lasciavano inevitabilmente scoperte le altre cattedre in organico di fatto, destinate per lo più ai docenti precari.

L’assunzione dei centocinquantamila andrà a saturare l’intero quadro organico delle scuole italiane nel suo fabbisogno complessivo nel breve periodo e fino all’arrivo dei vincitori di concorso, quindi generalizzando i contratti a tempo indeterminato e sostituendo l’organico di fatto con l’organico funzionale. Quest’ultima è una figura già presente nell’ordinamento italiano dal 2012 (alla fine degli anni novanta fu introdotta in via sperimentale), ma finora non ha mai superato la prova del fuoco, ovvero quella di realizzare significative economie.
Infatti, le risorse professionali dell’organico funzionale o dell’autonomia (in gran parte i neo-assunti) saranno impiegate, come prevede il piano, per il potenziamento dell’offerta formativa, per l’estensione del tempo pieno, e per le tante e importanti attività complementari all’attività didattica, ma saranno principalmente a disposizione della singola scuola o di una rete di scuole per supplire i colleghi assenti a vario titolo.

La scommessa è spostata, quindi, sull’operatività funzionale di questo nuovo (o quasi) organico che vede un’applicazione più agevole nella scuola primaria e molto meno agevole nella secondaria superiore per la molteplicità delle classi di concorso relative agli insegnamenti dei vari indirizzi, tralasciando gli aspetti complessi del funzionamento organizzativo delle reti di scuole nell’uno e nell’altro caso.
E così se le supplenze uscite dalla porta rientrassero dalla finestra l’intervento potrebbe rivelarsi sovradimensionato; invece un’accorta articolazione e utilizzazione delle risorse, a tutti i livelli decisionali e organizzativi del sistema istruzione, potrebbe riassestare gli attuali squilibri. Altrimenti i futuri idonei del concorso andranno ad affollare la platea del precariato prossimo venturo.

Come si vede la scacchiera dell’organico delle scuole e la correlata politica del personale sono ancora una volta destinate a giocare un ruolo determinante nelle innovazioni ordinamentali di cui ha bisogno la scuola italiana.
Rimane la consapevolezza che una tale strategia sia in gran parte stata dettata dall’emergenza congiunturale del precariato scolastico e che rimanga irrisolto il nodo ordinamentale più importante: quello della durata dei cicli scolastici.
L’auspicio di molti, infatti, è che, come un fiume carsico, la legge Berlinguer del 2000, abrogata dal centro-destra l’anno successivo, possa tornare alla luce per una “buona Scuola”: la riduzione di un anno del percorso della scuola primaria e secondaria di primo grado, oltre ad essere coerente a un contesto educativo dinamico come quello attuale, costituisce lo strumento migliore per qualificare la spesa per l’istruzione.

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Immagine in testata di Rocksee/Flickr (licenza free to share)

Giuseppe Fiori

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