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Scuola e successo formativo

Pubblicato il: 22/09/2014 13:33:07 -


Prevenire la dispersione scolastica attraverso la peer education. L’esperienza della scuola secondaria di primo grado “Maffucci” di Milano.
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L’emergenza educativa che interessa il nostro Paese non può più attendere: i dati allarmanti dell’ abbandono prematuro della scuola da parte di molti giovani ha indotto anche il legislatore a correre ai ripari. La Direttiva 27 dicembre 2012 richiama infatti la scuola con fermezza al suo compito di “cura educativa” nei confronti di quegli alunni che, per cause diverse, faticano a fronteggiare il curricolo scolastico senza una “speciale” mediazione.
La dispersione scolastica non è identificabile esclusivamente con la prassi “dell’abbandono scolastico”, ma implica anche pratiche quali “l’irregolarità delle frequenze”, le “non ammissioni”, i “ritardi scolastici”, le “interruzioni” e tutte le altre circostanze che rendono i ragazzi candidati al fallimento formativo. A queste si aggiunge, anche, la “promozione ai minimi termini” o in presenza di “competenze o saperi insufficienti” rispetto a un pieno esercizio dei diritti di cittadinanza.

Nel nostro Paese la politica che è stata realizzata per combattere la dispersione scolastica e migliorare i livelli d’istruzione ha riguardato innanzitutto la progressiva estensione dell’obbligo scolastico. Tale estensione, soprattutto a partire dal 1963 (scuola media unificata) ha prodotto conseguenze positive sotto un duplice punto di vista:
1) da un lato ha fatto sì che un numero maggiore di ragazzi e ragazzi proseguissero la scuola in virtù di un obbligo più prolungato;
2) in secondo luogo ha determinato un effetto positivo anche sul segmento di scuola precedente, aumentando il numero di giovani che almeno riuscivano a completare i primi cinque anni di scuola. Attualmente l’obbligo scolastico è stato riportato al biennio della secondaria di II grado con la legge 27 dicembre 2006. Nonostante che queste politiche e misure abbiano visibilmente ottenuto effetti positivi, non siamo ancora riusciti ad abbattere la dispersione scolastica in modo sufficiente.

Tra le ragioni del fenomeno, una variabile riconosciuta importante è rappresentata dai “contesti di disagio socio- culturale”, che interessano in misura rilevante gli alunni “immigrati”.
L’efficacia dell’”orientamento scolastico e formativo” al termine della scuola secondaria di primo grado è certamente un altro fattore determinante: quanto più è efficace l’orientamento, tanto più la dispersione viene contenuta. Infatti il nodo di maggiore criticità è rappresentato proprio dal passaggio tra la scuola secondaria di primo e di secondo grado, momento in cui vengono al pettine i nodi di un difficile adattamento alla scuola da parte di molti ragazzi, che si scontrano con un sistema tendenzialmente sempre più rigido man mano che si avanza nei gradi di scolarità.

Per comprendere il fenomeno va certamente tenuta in conto l’età degli alunni, quel passaggio pre-adolescenziale che si accompagna a un cambiamento di ambiente scolastico, spesso più lontano, a una riorganizzazione della rete delle amicizie, uniti a un desiderio d’indipendenza fisiologico; tuttavia il fatto che nel primo anno delle superiori il tasso di ripetenza salga al 18% – contro un 3% della scuola di base – ci deve far pensare.
Il ritardo scolastico penalizza i ragazzi, allunga l’età di conclusione degli studi, comporta sofferenze familiari e aggravio di spesa per lo Stato. Eppure costituisce spesso la forma più semplice per aggiustare i tempi formativi necessari ai singoli, una compensazione alle difficoltà in mancanza di provvedimenti organici e di soluzioni alternative efficaci.
A fianco di compagni in ritardo nella scolarità, si presentano forti rischi di contaminazione tra pari, in un’età delicata in cui si emulano facilmente i leader negativi.
Si possono umanamente comprendere quegli insegnanti che nel biennio “gettano la spugna”, oppure senza neanche rendersene conto, fanno “mobbing”, cercano di convincere gli alunni in difficoltà a trasferirsi ad altre scuole…

Se l’insuccesso scolastico è un dato “strutturale”, allora anche le risposte devono essere strutturali, vanno ricercate nell’ambito di quella flessibilità didattica e organizzativa che è presupposto di un’autonomia prevista dalla legge ma non ancora del tutto realizzata nella scuola italiana.
Considerato che una parte dei minori può essere condizionata da situazioni di disagio culturale, familiare e sociale, si tratta di intervenire al fine di impedire che un giovane sia abbandonato al proprio destino. Una delle metodologie elettive in adolescenza per realizzare interventi formativi efficaci è la peer education. La vicinanza anagrafica, l’affinità percepita, la migliore sintonia comunicativa che si realizza con un pari, facilitano la creazione di una relazione autentica ed efficace. Così un compagno più grande risulta un interlocutore più credibile e motivante, un modello con cui identificarsi più agevolmente.
A partire da questa constatazione, nella scuola secondaria di I grado “Maffucci” di Milano da tre anni si realizza un’esperienza di orientamento attraverso una strategia di “peer education”. La scuola è parte di un comprensivo del quale fanno parte anche due scuole primarie, sito nel quartiere periferico ex industriale della Bovisa, a forte flusso migratorio (oltre 1400 alunni frequentanti, di cui oltre il 50% proviene da famiglie che sono immigrate, 46 diverse etnie presenti, alto tasso di nuovi arrivi e di turn-over).

Il Progetto orientamento prevede che fin dal secondo anno della secondaria di primo grado, alcuni ex alunni, già frequentanti diverse scuole secondarie di secondo grado, tornino alla scuola media a illustrare ai compagni il funzionamento delle loro scuole. Gli “orientatori” sono in gran parte alunni di origine immigrata: rappresentano in questo caso “modelli di successo scolastico” per i compagni, possono rispondere agevolmente alle loro domande anche utilizzando la lingua madre.
Nel terzo anno, gli orientatori accompagnano gli alunni della “Maffucci” durante le giornate aperte organizzate dai singoli istituti secondari e assistono le famiglie nell’iscrizione, che si svolge attraverso procedure online. Rimangono sempre a disposizione per informazioni e chiarimenti anche nel periodo successivo.
Il tutoring continua quando i compagni cominciano la scuola e si prolunga nel corso di tutto il primo anno: in questo modo i ragazzi hanno sempre un punto di riferimento nella nuova scuola. Naturalmente i docenti, oltre a compiti organizzativi, hanno l’importante responsabilità dell’individuazione dei possibili futuri “orientatori” e della loro formazione.
Si tratta di coltivarne la motivazione, sostenerne le loro abilità sociali e relazionali. Questi ultimi a loro volta ricevono una forte carica in termini di autostima, sentono di poter essere utili ai compagni, riescono a immedesimarsi nei problemi che, poco prima, hanno a loro volta vissuto.

Dopo un triennio di esperienza, possiamo affermare che questo progetto di orientamento e affiancamento ha contenuto, fin quasi ad azzerare, l’abbandono scolastico dei nostri alunni nel primo biennio della secondaria di secondo grado.
Inoltre, ha contribuito a creare reti relazionali tra ragazzi e famiglie all’interno del quartiere, offrendo occasioni per incontri e condivisioni, ad esempio per lo svolgimento dei compiti a casa.

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Il biennio, tra ideologia e realtà, di Gian Carlo Sacchi
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Tra la valutazione e la dispersione… c’è la motivazione, di Maurizio Muraglia

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Immagine in testata di Flickr (licenza free to share)

Laura Barbirato

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