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Tra la valutazione e la dispersione… c’è la motivazione

Pubblicato il: 17/06/2013 12:05:51 -


Ripensare la valutazione dei ragazzi a rischio di abbandono come capacità di dare loro nuove motivazioni, quelle che, quando mancano, portano alla dispersione scolastica: si tratta di tre aspetti che finiscono per abitare un’area comune di significati.
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Com’è noto agli addetti ai lavori la dispersione scolastica presenta molte sfaccettature perché non è da intendere sic et simpliciter come fenomeno di abbandono degli studi che ne rappresenta l’esito estremo e irreversibile.

L’abbandono scolastico spesso è preceduto da una fase critica, costellata da frequenza irregolare, da insuccessi, talvolta da intemperanze nel comportamento, che rendono precaria la fisionomia di uno studente. Gli studenti “a rischio di abbandono” sono facilmente individuabili se si presta attenzione ad alcuni fenomeni preparatori.

In realtà, soprattutto nel secondo ciclo, appare non pienamente sviluppata tra gli insegnanti questa capacità indiziaria, che si configura come vera e propria capacità valutativa. Infatti è tale capacità a precedere e seguire il percorso che può condurre un alunno da una fase iniziale di disagio scolastico alla decisione di interrompere la frequenza degli studi.

Sarebbe opportuno quindi che la valutazione elaborata nelle scuole sapesse non soltanto “monitorare” il processo degenerativo della motivazione allo studio, ma anche gestirlo fattivamente per neutralizzarlo.

Accompagnare i processi motivazionali a sua volta presuppone una specifica competenza professionale capace di tenere sotto controllo i fattori che incidono sulla cosiddetta “voglia di studiare”, a tal punto che è possibile ritenere che motivazione, valutazione e dispersione finiscano per abitare un’area comune di significati.

Non è superfluo qui sottolineare come anche in contesti apparentemente positivi dal punto di vista degli apprendimenti (pensiamo ai licei) si possa e si debba parlare in non pochi casi di “dispersione della motivazione”, che avviene quando uno studente, che pur ottiene buoni risultati a scuola, matura in se stesso un radicale disinteresse per quanto ha dovuto studiare sulla spinta di una motivazione estrinseca.

Ora, perché lo sguardo professionale degli insegnanti sappia volgersi a quest’area concettuale comune – motivazione, valutazione e dispersione – occorre saper affiancare a una registrazione delle prestazioni un’altrettanta attendibile e sensata rilevazione dei processi in corso, rideclinando la logica del “risultato” che troppo spesso finisce per concentrarsi sulla fase conclusiva del processo di apprendimento.
In altri termini, l’allievo di cui qui si parla non è soltanto l’allievo del compito o dell’interrogazione, che va bene nei casi in cui la motivazione e l’interesse dello studio non presentano problemi, ma è soprattutto l’allievo inquieto, che si distrae, che reagisce con disinteresse alla proposta di insegnamento. È l’allievo che pone una domanda che apparentemente “non c’entra nulla” con quanto si sta spiegando.

Stiamo parlando di una logica valutativa che prende in carico tutto l’allievo finché c’è, finché è in classe e ancora mostra una pur sia timida disponibilità verso lo studio. La logica della valutazione formativa è una logica che previene la dispersione perché è capace di restituire all’alunno demotivato frammenti di positività, e questo avviene quando l’insegnante è disposto a interagire con alunni del genere anche al di fuori dell’argomento del giorno, facendo rientrare nell’ora di lezione l’istanza apparentemente eccedente posta da ragazzi che non hanno interesse per quel che si sta spiegando ma non è detto ancora che non abbiano interesse per tutto il contesto di apprendimento.

La valutazione formativa spesso è una valutazione sentita come “non ufficiale”, e infatti essa si produce per lo più in forme discorsive orali, in sala professori, nei corridoi o nei consigli di classe. Il suo nemico è il voto numerico con la sua insensata pretesa di oggettività, che fotografa le prestazioni e soprattutto le prestazioni “ufficiali” e coerenti con quanto si è spiegato in classe.

I nostri alunni a rischio di drop-out, e ci si riferisce qui soprattutto ai ripetenti delle scuole medie oppure ad alunni delle prime superiori (soprattutto negli istituti tecnici e professionali), sono alunni eccedenti la normale quotidianità della scuola, perché i loro ambienti di riferimento o la loro condizione esistenziale li portano continuamente a preferire la vita (la strada), con i suoi codici e i suoi valori di riferimento, alla scuola con la sua cultura e i suoi saperi. E una valutazione che non sappia assumere e gratificare tutto il sapere informale di cui essi sono portatori è una valutazione che rischia di restituire a questi ragazzi un responso di sostanziale fallimento.

Chiamiamo infatti “formativa” la valutazione perché non si limita a premiare o punire, ma discute con l’alunno, gli rinarra quanto ha compreso o creduto di comprendere, ritorna sul suo errore per capire a quale eventuale altra domanda poteva corrispondere la sua risposta sbagliata.
La valutazione è formativa perché valorizza tutto lo studente e gli restituisce una sensatezza della sua presenza in classe. Molto spesso infatti il processo di degenerazione motivazionale che conduce alla dispersione intesa come abbandono coincide con una crescita del senso di inadeguatezza della propria presenza nel contesto scolastico. Per questo è giusto legare motivazione, valutazione e dispersione, se si vuole affrontare quest’ultimo tema in una logica preventiva.

I caratteri di una valutazione capace di prevenire la dispersione scolastica pongono dunque una vera e propria sfida al tradizionale modo in cui gli insegnanti osservano la carriera scolastica di un alunno.
Abbiamo bisogno di incrementare forme di valutazione interlocutiva, capace di coinvolgere lo studente nella consapevolezza di sé; discorsiva, capace di narrare allo studente punti di forza e punti di criticità del suo stare a scuola; inclusiva, capace di non escludere dall’orizzonte valutativo conoscenze, abilità, talvolta vere e proprie competenze che sembrano esulare dal curricolo ordinario.
Ma queste forme di valutazione saranno impraticabili se gli insegnanti – soprattutto quelli che insegnano alla preadolescenza e all’adolescenza – non si sentiranno interpellati nella loro capacità di rendere significativi i saperi che insegnano, coinvolgenti i metodi che adottano, accoglienti le relazioni che instaurano. Nella loro capacità di costruire un curricolo formativo e inclusivo.

Per approfondire:
• G. Bagni, R. Conserva, “Insegnare a chi non vuole imparare”, EGA, 2005.
• P. Boscolo, “La fatica e il piacere di imparare”, UTET, 2012.
• Dossier di Insegnare, rivista del CIDI: “Quando la valutazione è ricerca”, CIID, 2009.
• Dossier di Insegnare, rivista del CIDI: “Per una relazione educativa contro la dispersione”, CIID, 2008.
• M. Muraglia, “La valutazione scolastica come atto formativo”, Rivista dell’istruzione, n. 4/2009.
• M. Muraglia, “Lavorare da insegnanti sulle motivazioni”, Rivista dell’istruzione, n. 1/2013.

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Immagine in testata di vic xia / Flickr (licenza free to share)

Maurizio Muraglia

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