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Dalla scuola delle conoscenze alla scuola delle competenze

Pubblicato il: 26/10/2010 11:54:00 -


Siamo alla fine della lezione frontale? Riuscirà un docente formato nell’era di Gutenberg a dialogare con i discenti? Se il modello del docente tradizionale è in crisi di fronte agli studenti di oggi, cosa succederà tra dieci anni?
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Nei professionali delineati dalla nuova riforma, l’insegnamento tradizionale fondato su apprendimenti disciplinari finalizzati all’acquisizione di date CONOSCENZE valutate con voti decimali è integrato e, per certi versi, superato da un insegnamento il più possibile pluridisciplinare e traversale finalizzato all’acquisizione di COMPETENZE veicolate dall’acquisizione delle relative CONOSCENZE e ABILITÀ, tutte opportunamente indicate e descritte nelle Linee guida del Ministero.

Occorre superare la scissione tra competenze tecnologiche/mediali (spesso non riconosciute) e le competenze scolastiche, per alcuni studiosi le incompetenze scolastiche. Secondo Guy Le Boterf la competenza è saper agire in modo pertinente in un contesto particolare, scegliendo e mobilitando un doppio equipaggiamento di risorse: risorse personali (conoscenze, saper fare, qualità, cultura, risorse emozionali) e risorse di rete (banche dati, reti documentali, reti di esperti). Altri autori sottolineano la necessità di superare l’impianto enciclopedico-nozionistico versus la centralità dell’apprendimento come il coinvolgimento e il protagonismo dell’alunno e delle sue potenzialità di acquisizione delle conoscenze.

Va anche considerato il peso che ha la dimensione affettiva e motivazionale di un alunno, opportunamente richiamata nelle Linee guida, nella misura in cui incide nella esecuzione di una performance, anche perché costituisce una dimensione importante delle stesse competenze. “Tutto ciò comporta che la lezione cattedratica e le verifiche continue costituite da esercitazioni scritte e orali siano implementate da attività didattiche meno rigide, più ricche, numerose, flessibili e partecipate. Occorre sollecitare e promuovere attività di ricerca attiva e partecipata realizzate dagli studenti, singoli e in gruppo, soprattutto mediante la strategia laboratoriale, secondo la logica del “meno lezione e più scoperta!”. “In altri termini, dovrebbe prevalere lo slogan: “no a un insegnante che parla, sì a un insegnante che fa fare” (Maurizio Tiriticco), un passaggio dalla “literacy” alla “electracy” (competenza utile a sviluppare al meglio il potenziale comunicativo dei media digitali e di rete) riqualificando, e non sostituendo la capacità d’uso della lingua scritta e di quella orale, la literacy appunto.

“È ben noto che il tempo durante il quale si può stare attenti è limitato, però si pretende che i nostri studenti stiano attenti per un minimo di cinque ore di fila per sei giorni alla settimana con brevissime interruzioni fra una lezione e l’altra. Il risultato è che per molto tempo, durante la mattinata di scuola, gli studenti fanno altro … ingannano la noia … si abituano a non ascoltare l’insegnante”. Howard Rheingold, studioso futurista americano, segnala che la risorsa più importante ma scarsa nelle scuole americane è l’ATTENZIONE, o più precisamente infotention.

Come possiamo imparare e praticare nuove forme di attenzione nell’era digitale? Con gli studenti Nativi Digitali (nati e cresciuti con le nuove tecnologie digitali), o come per altri autori con la Generation2000+ (M2Generation). Non basta più che l’insegnante sia presente e che parli, per essere indotti ad ascoltarlo occorrono strumenti innovativi.

“Ne consegue che le verifiche tradizionali (interrogazioni e compiti in classe, rigidamente computati) debbono cedere il posto a una serie di verifiche continue individuali e collettive. Discussioni guidate, individuali e di gruppo, frequenti prove aperte e prove oggettive, opportunamente esplicitate e partecipate, prodotti esiti di ricerche mirate, permetteranno un controllo in itinere continuo ed efficace delle attività didattiche che si andranno via via realizzando” (Maurizio Tiriticco).

“I docenti sono il fattore chiave della qualità di qualsiasi istituzione scolastica, come è altrettanto noto che oggi la categoria sta attraversando una grave crisi di identità professionale e di motivazione” cita l’OCSE nel documento “Teachers’ Professional Development: Europe in international comparison”, gli insegnanti sono la linfa del sistema educativo e lo sviluppo professionale degli insegnanti è un ingrediente essenziale per mantenere la qualità dell’istruzione. La relazione giunge alla conclusione che gli insegnanti EU, più di 6,25 milioni, hanno bisogno di un reale feedback sul lavoro che svolgono, in modo da poter beneficiare appieno delle opportunità di formazione, e che, per uno sviluppo professionale adeguato, sono importanti anche la varietà delle esperienze di formazione e un miglior clima lavorativo nelle scuole. Altri dati li troviamo su Talis, indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento dell’OCSE. (“Creating effective teaching and learning environments”) e su Eurydice Network, “The 2009 edition of Key Data on Education in Europe”.

Siamo alla fine della lezione frontale? Riuscirà un docente formato nell’era di Gutenberg a dialogare con i discenti? Come stupirsi allora che già alle medie i ragazzi maturino disistima e disaffezione nei confronti della scuola, disistima e disaffezione che in molti casi diventano ostilità, talvolta manifesta. Se il modello del docente tradizionale è in crisi di fronte agli studenti di oggi, cosa succederà tra dieci anni? Se la scuola resterà la stessa di oggi è facile prevedere che l’emergenza educativa esploderà.

Secondo Laurent Lafforgue “da trent’anni il discorso sociale sulla scuola consiste nel dire che i figli dei privilegiati se la caveranno sempre e che i figli degli ambienti sfavoriti mai, che non c’è dunque bisogno di fare qualcosa per i buoni allievi, obbligatoriamente privilegiati, e che bisogna dare tutto ai cattivi allievi, obbligatoriamente vittime di fronte alle quali la scuola resterà sempre colpevole. La nozione di grande cultura è stata considerata come un perverso mezzo di dominazione di certe classi sociali – aristocratici o borghesi – sulle altre, o di certi popoli sugli altri…”.

Forse è il tempo di andare oltre.

Per approfondire:
• I nuovi professionali sul sito dell’ANSAS
Guy Le Boterf

• Maurizio Tiriticco, “E sul riordino degli istituti professionali?
Electracy

Howard Rheingold

Teachers’ Professional Development: Europe in international comparison

Talis

Creating effective teaching and learning environments

Eurydice Network

The 2009 edition of Key Data on Education in Europe

Laurent Lafforgue

Daniele Pauletto

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