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Progetto La didattica e la distanza, ricordando Alberto Manzi. Conclusioni

Pubblicato il: 23/09/2020 05:00:32 -


Il presente articolo è parte dello studio: La didattica e la distanza, ricordando Alberto Manzi A cura di Tania Convertini e Roberto Farné
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Boris Cyrulnik, 82 anni, è il neuropsichiatra che ha dedicato i suoi studi al tema della resilienza, a partire da se stesso, bambino sfuggito ai rastrellamenti della Gestapo nella Francia occupata dai Nazisti, con i genitori deportati ad Auschwitz. Intervistato nel periodo di lockdown per la pandemia da Covid-19 su quali conseguenze potesse avere questa esperienza per i bambini, la sua risposta è stata che dipende da come si arriva a questa esperienza: non è la stessa cosa per chi ha o ha avuto un’infanzia sufficientemente felice e vive condizioni familiari serene, in una casa adeguata. Per queste persone, dice Cyrulnik, essere confinati «può essere triste, una scocciatura, ma non una vera aggressione». Il problema riguarda chi ha o ha avuto un’infanzia difficile, un lavoro precario o malpagato:  «ci sono famiglie come queste che a Parigi vivono con due bambini in venti metri quadrati. Sono individui che arrivano al confinamento con diversi fattori di vulnerabilità. Ecco, una volta archiviata quest’esperienza, trovare un nuovo sviluppo personale sarà più difficile»[1].

La resilienza, cioè la capacità di far fronte a eventi traumatici, di elaborarli in maniera positiva ricostruendo la propria soggettività e la propria vitalità, richiede tempo; ciò che conta è come si vive dentro l’esperienza traumatica e cosa avviene dopo quell’esperienza. L’educazione è fatta di normalità: la vita familiare, scolastica, le attività sportive e ricreative nel loro quotidiano scorrere, accompagnano la crescita del soggetto. La pedagogia è, soprattutto, fisiologia dell’educazione. Succede che un evento traumatico, personale o sociale spezzi questa normalità, crei un trauma, cioè una rottura, una ferita a cui è necessario far fronte, con i metodi e i mezzi di cui si dispone, osservandone gli effetti. L’educazione a distanza ha avuto questo scopo, nel trauma dell’improvvisa chiusura delle scuole e della reclusione domestica. Dice in proposito Cyrulnik: «Gli schermi sono strumenti magici ma sono anche molto tossici. Quando si vede fisicamente una persona parlare, il senso delle sue parole cambia, attraverso i gesti e la mimica facciale. L’assenza di empatia sviluppa la perversità. È pericoloso soprattutto per i più piccoli. […] Con la mia equipe abbiamo portato avanti degli studi sull’insegnamento a distanza. L’apprendimento è di qualità più scarsa, perché l’emozione che scaturisce da una relazione diretta stimola la memoria»[2].

Nessuna persona di buon senso si aspettava che la tele-educazione potesse sostituire la scuola, riempiendo il suo vuoto, anche laddove queste esperienze hanno funzionato. Gli eventi traumatici costituiscono delle sfide, a maggior ragione quando non si è preparati a tali eventi. Esse insegnano nel senso proprio che lasciano-il-segno, da esse cioè si dovrebbe imparare. Potremmo dire che quattro mesi di privazione della scuola ci hanno insegnato che Internet e le tecnologie della comunicazione hanno straordinarie potenzialità didattiche, e bisognava essere costretti a provare per credere, provando anche cosa succede quando le infrastrutture necessarie sono scadenti, come spesso è avvenuto. Ma ci hanno anche insegnato che la scuola, espropriata della sua fisicità, e costretta unicamente nel formato approssimativo e ridotto dello schermo di un computer e nell’isolamento domestico, diventa insopportabile, quindi inefficace. Quando negli anni Sessanta la RAI e il Ministero della Pubblica Istruzione progettarono Non è mai troppo tardi, il programma televisivo per gli adulti analfabeti condotto da Alberto Manzi, non si affidarono solo alla televisione e alla sua educazione a distanza, ma istituirono oltre 2000 Posti di Ascolto Televisivo (a cui se ne aggiunsero altri spontaneamente) dove degli insegnanti, dopo aver visto il programma con le persone che lì si ritrovavano, facevano scuola a partire dalle suggestioni di quel maestro televisivo. Affidare solo alla TV l’obiettivo di alfabetizzazione sarebbe stato un fallimento.

Chissà se la scuola, dal trauma di questa esperienza, avrà imparato qualcosa sulle potenzialità didattiche delle tecnologie della comunicazione e su come farne buon uso nella normalità. La resilienza non riguarda solo le persone, ma anche le istituzioni.

 

[1] Leonardo Martinelli, “Non sprechiamo la lezione del Covid. La nostra società deve rallentare”, intervista a Boris Cyrulnik, La Stampa, 18 aprile 2020.

[2] ibidem

 

A conclusione della serie di interventi su questo tema è possibile scaricarli tutti in una raccolta in pdf. 

Roberto Farné Università di Bologna

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