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Comunità vo cercando ch’è sì cara

Pubblicato il: 22/05/2024 06:42:15 -


costruire le condizioni per incontrarci disarmati
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Nell’era dell’empowerment l’azione sociale si rivolge con sempre più enfasi alla comunità; che si parli di educazione con la comunità educativa o di territorio si moltiplicano iniziative sia istituzionali che dal basso che mirano a risvegliare o costruire una nuova idea di comunità in cui ciascuno, a partire dalla propria ottica e condizione, è chiamato a dare il proprio contributo, dire la propria, coinvolgersi attivamente per raggiungere una migliore integrazione, superare problematiche, garantire diritti, insomma costruire bene comune.

Per dirla più cinicamente, in una situazione di definanziamento del welfare, carenza di organici nel pubblico, crescente isolamento con conseguente richiesta diffusa di sicurezza, si gioca la carta della comunità con la stessa tattica con cui si spaccia per libertà e autonomia la richiesta di connessione e competenze ai singoli cittadini per compiere operazioni amministrative postali bancarie e simili rese necessarie dal taglio degli sportelli e infrastrutturazioni di servizi sul territorio.

La retorica della comunità in qualche modo spinge a una attivazione dei cittadini per coprire la perdita di diritti sociali e spinge a ricorrere a forme di auto mutuo aiuto che ripagano con una restituzione di protagonismo la cancellazione delle tutele.

In questo clima vediamo naturalmente un proliferare di bandi e di progetti che puntano a favorire la nascita di aggregazioni territoriali comunitarie; in campo socio educativo queste iniziative sono legate al contrasto alle “povertà educative” e si rivolgono spesso a contesti in cui la coesione sociale, la capacità di interlocuzione tra soggetti, la propensione stessa a vedere come bene auspicabile il “bene comune” sono particolarmente a rischio.

La riflessione che vorrei proporre qui è su quale sia l’atteggiamento educativo più consono ad ottenere in questo tipo di contesti un’attivazione reale di comunità. Parlo da formatore legato ai metodi dell’educazione attiva, che opera da anni nel campo dell’animazione sociale. Il caso tipico di cui parlo è di un bando vinto da soggetti del terzo settore, spesso operanti con scuole, che abbia come obiettivo lo sviluppo di una comunità più o meno legata alla scuola, che sappia leggere bisogni del territorio e sappia attivare i diversi partner  in modo da farli dialogare tra loro e attivare  quello che un tempo si chiamava “sistema formativo integrato”.

Quello che è difficile realizzare  è l’aggregazione  “tra persone”: succede di solito che i vari operatori, professionisti, tecnici, amministratori si chiamino tra loro e tentino di integrare allargando ad altri componenti del corpo sociale sempre inquadrate in una stessa  categoria. Si avranno allora genitori, personale Ata, operatori culturali, bibliotecari, librerie, ludoteche a seconda delle ricchezze del territorio, ma sempre dietro lo schermo di una professionalità. La prima difficoltà che si incontra allora è quella dei tempi, degli orari (come non pensare al mitico Ufficio Tempi e orari della città curato a Roma da Mariella Gramaglia negli anni 90?) in cui convocare gli incontri: troppo tardi significa fuori dell’orario di lavoro di insegnanti o operatori pubblici, ma troppo presto impedisce la presenza di genitori e persone risorsa del territorio che entro una certa fascia d’età si suppone siano impegnate in altri contesti lavorativi.

Ma la questione centrale, quella che è necessario sciogliere per poter costruire un dialogo durevole e costruttivo è quella del ruolo: come si sente un cittadino in una assemblea di professionisti? Un genitore in una riunione di educatori titolati? Eppure per attivarlo abbiamo bisogno di metterlo a suo agio, e un modo certamente efficace è quello dell’antico esempio giapponese: se l’ospite ha un calzino bucato, sarà opportuno che anche noi se ne trovi uno da indossare.

Educarci alla comunità significa infatti saper lavorare tra diversi all’emersione delle “ragioni comuni” e perché ciò accada è necessario far nascere sguardi nuovi tra le persone presenti, che smontino le separazioni e le gerarchie con cui ciascuno di noi si è posizionato in alto o in basso di una immaginaria  scala sociale, con tutte le difese e i contrasti che questo genera, e mettano in luce le dimensioni in cui possiamo riconoscerci pari, per poi mettere al servizio di quella dimensione di “uguaglianza nella dignità” le rispettive capacità e competenze.

Accedere a una dimensione più autentica, in cui titoli e ruoli contino il giusto, ma in cui ciascuno, come auspicato, possa dare il proprio contributo, significa agire sul contesto per renderlo più funzionale a questa idea di uguaglianza, trovare i modi per fissare nello spazio e nel linguaggio quello che stiamo cercando di fare. La dignità che vogliamo riconoscere a tutti i punti di vista troverà allora nel cerchio una sua esplicitazione concreta, e la possibilità di parola per ognuno metterà in discussione le grandi assemblee dove solo i retori prendono al parola; la voglia di inclusione di culture diverse darà il ritmo alle discussioni o ci spingerà a far uso di altri linguaggi, visivi, espressivi, manuali che siano. Ma anche il desiderio di sottolineare la comune appartenenza ci porterà a essere insieme, con azioni comuni di gioco, canto, cura.  

Ecco allora che le pratiche e le metodologie dell’educazione attiva, con l’aiuto della dimensione ludica, il lavoro cooperativo e di piccolo gruppo, l’attenzione ai contesti, la ricerca espressiva e la pratica di democrazia profonda, ci aiutano a sviluppare una riflessione sulla nostra capacità di empatia, ci guidano in una capacità di esporci con autenticità, non facendoci proteggere dal ruolo, ma mettendoci in prima persona in gioco come persone, per creare quel ponte, quell’aggancio, quella fratellanza da cui può nascere un concreto senso di comunità.

Claudio Tosi Formatore, educatore, artigiano, dal 1967 attivo nei Cemea, Centri per l’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva, italiani e internazionali, segretario della Federazione italiana dei Cemea. Lavora presso il CSV Lazio sui temi del servizio civile e del volontariato giovanile

 

Claudio Tosi Formatore, educatore, artigiano, dal 1967 attivo nei Cemea, Centri per l’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva, italiani e internazionali, segretario della Federazione italiana dei Cemea. Lavora presso il CSV Lazio sui temi del servizio civile e del volontariato giovanile

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