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Ayala, lezioni di legalità e la questione morale

Pubblicato il: 23/04/2013 11:11:06 - e


All’ITIS Giovanni XXIII di Roma si approfondiscono temi di ordine sociale quali libertà, rispetto, moralità, anche attraverso l’incontro con il giudice Ayala. Riconsiderando il ruolo chiave della scuola nell’educare a una “vision democratica”.
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Si comincia sempre da un piccolo contrasto o da una ingenua lite verificatasi in classe per avere lo spunto e dire che l’uomo è un “animale sociale”, di conseguenza portato a vivere con i suoi simili e che per questo occorre stabilire delle regole che devono essere osservate.
Ed è cosi che si inizia a parlare di legalità ai nostri ragazzi che effettivamente sanno già che la propria libertà deve fare i conti con la libertà altrui, che la propria individualità deve rispettare l’altrui esigenza; in realtà i nostri giovani non si rendono conto che svolgendo delle azioni illecite vanno incontro a delle sanzioni e molto probabilmente non ritengono poi cosi gravi i propri comportamenti.
Sono tante le parole che usiamo per sensibilizzare i giovani all’osservanza delle regole, una in particolare: “rispetto”, dal latino “respectus” che vuol dire “considerazione”, quindi considerazione verso i propri simili, verso l’ambiente e verso tutto ciò che ci circonda.

Il rispetto è un valore che sta alla base della nostra vita, che dobbiamo esercitare in ogni nostro agire. Il rispetto prima deve trovare il suo terreno fertile nella famiglia, poi viene concimato nella scuola e infine si sviluppa nella società. Ma soprattutto a scuola, dove i nostri giovani trascorrono gran parte della loro vita, è necessario potenziare la cultura del rispetto e, in forma più ampia, della legalità.

Spesso si ripete ai nostri alunni che loro saranno i cittadini del domani, è importante che sviluppino un forte senso civico per garantire a se stessi e a tutti noi il rispetto dei diritti, la tutela dei più deboli, la convivenza civile e pacifica. La scuola opera quotidianamente sulla formazione civica degli studenti, coinvolti anche in progetti la cui finalità è quella di sensibilizzare i giovani verso tutti i problemi che riguardano il proprio paese, non lasciando spazio all’indifferenza verso le varie problematiche o all’intolleranza verso gli altri.
Certo, il senso di sfiducia che serpeggia tra i nostri ragazzi è molto alto, purtroppo esempi di scorrettezza civica ce ne sono tanti, ma sono proprio questi che essi devono combattere emulando invece chi si comporta correttamente e civilmente.

Le visite di istruzione organizzate per conoscere i Palazzi Istituzionali sono per loro una lezione di storia, di architettura, di diritto; suscita, a volte, tenerezza notare che alcuni ragazzi non sappiano neppure dove siano ubicati, ad esempio, la Camera dei Deputati, il Senato o il Quirinale.
Le parole della guida, che elargisce notizie di valore storico e culturale e spiega dettagliatamente cosa sono stati in passato questi palazzi e chi vi ha dimorato, sono fonti di una memoria che tiene unito il passato al presente. Le innumerevoli curiosità che spesso scaturiscono dall’etimologia dei nomi contribuiscono a formare un bagaglio culturale non indifferente. Visitare l’aula dove si riuniscono i nostri parlamentari, vedere da vicino e non, come spesso accade, in televisione o sui giornali, i banchi in cui siedono i deputati o i senatori provoca nei nostri allievi una forte emozione, nonostante i sentimenti dilaganti di antipolitica.

Entusiasmante è stata la partecipazione, per ben due volte, al progetto “L’Italia Repubblicana. Storia di una democrazia” in collaborazione con l’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica”, che ha visto gli studenti impegnati in una valida occasione di ricerca, di studio e di riflessione su tematiche di grande attualità e di alta formazione culturale con la produzione di un laboratorio didattico. Il lavoro dei ragazzi è stato pubblicato.
Gli incontri, poi, con i rappresentanti delle forze dell’ordine, come il Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanza, intervenuto per discutere sulle “frodi telematiche e informatiche”, hanno trovato i nostri allievi, cresciuti con le tecnologie digitali, preparati e attenti: essi hanno rivolto domande sui rischi in cui si può incorrere navigando in rete, sul ruolo dell’hacker, sul phishing o spoofing.
Gli incontri con un Ufficiale dei Carabinieri e con la Polizia di Stato sono stati un valido contributo alla formazione civica dei nostri alunni che, spesso, come la maggior parte dei giovani, o per goliardia o per scarsa conoscenza compiono azioni che potrebbero rientrare in comportamenti illeciti senza avvedersene.

I conflitti fra studenti si innescano, dalla fragilità delle relazioni e dell’età fino agli atti di bullismo, a causa della leggerezza umana, della superficialità con la quale si considerano i rapporti fra pari o della spregiudicata valutazione secondo la quale ci si considera superiori a un altro e quindi nel “diritto” di agire per dimostrarlo. Accade spesso fra amici, grandi amici, che dallo scherzo e dal gioco finiscono tra colluttazioni e danni fisici!

Il lavoro più travolgente e simpatico è stato mettere in scena un racconto di Andrea Camilleri “Il Giudice Surra”. Infatti, dopo aver studiato il fenomeno mafioso e dopo un incontro con un consulente della commissione parlamentare antimafia, i ragazzi, spinti dal desiderio di dare il proprio contributo alla lotta alla criminalità organizzata, hanno formato una piccola compagnia teatrale. Quanta allegria e partecipazione da parte di giovani quindicenni che hanno mandato a memoria parti complicate, da ripetere utilizzando soprattutto il dialetto e la cadenza siciliana. Però quanta bravura in questi giovani artisti che hanno recitato in modo grandioso senza nulla invidiare ai più esperti attori di teatro.
L’educazione alla legalità contribuisce, in definitiva, a formare i giovani che a scuola incontrano i rappresentanti delle istituzioni per ascoltare le storie di uomini, di eroi, di lavoratori, di gente comune che, anche a discapito della propria vita, hanno dato un valido contributo per garantirci dalla corruzione, dalla mafia, da ogni forma di criminalità.

Ed ecco che, a seguito di questa forte azione di sensibilizzazione, spesso ascolto i ragazzi che con quell’entusiasmo che li contraddistingue vorrebbero cambiare o fare qualcosa per questa società in parte malata. Costruiscono presentazioni con diapositive molto creative per far risaltare la figura di grandi giudici che hanno combattuto la mafia, e che ancora scrivono testi per gridare la loro rabbia contro quella parte di uomini che distrugge, senza pietà, la nostra società e la nostra cultura.

I nostri giovani hanno un grande desiderio di sconfiggere la criminalità organizzata, si rendono conto che la scuola è il luogo dove loro possono imparare a perseguire la legalità e un maggiore rispetto delle regole, dove possono far valere i propri diritti assolvendo prima però ai propri doveri, partecipando più attivamente alla vita democratica della scuola.
Combattere la criminalità in ogni suo aspetto, in ogni sua forma significa lottare per la libertà e per la democrazia, per un paese libero e pulito.

La nostra collaborazione con i giudici ci ha arricchito di una valenza che non potrebbe mai emergere semplicemente dall’attività didattica. Il linguaggio, la passione e la determinazione che comunicano queste persone dedite alla giustizia è un messaggio molto chiaro di come spesso noi si è presi dalle facili interpretazioni per ragioni di opportunismo e dalle possibili evasioni dalla regola per egoismo e provincialismo culturale.

In precedenza, abbiamo colto il caso di un atto di “apparente bullismo” (perché la scuola è fatta di tanti casi mai ben delineati da un punto di vista giuridico) e ne abbiamo realizzato una fiction con il magistrato Giuseppe Renato Croce.
Muniti di toghe, martello, giudice istruttore, pubblico ministero, avvocato difensore e giuria (con una piacevole deviazione americana alla Perry Mason) abbiamo introdotto le regole del gioco e affrontato il giudizio vero e proprio articolando gli interventi delle parti fino alla sentenza definitiva.
L’esperta guida del giudice e la sua gioviale simpatia – un uomo come pochi, di quelli che s’impegnano con i ragazzi e le scuole quotidianamente, tornando più giovane dei giovani – hanno reso possibile una lezione di diritto penale e delle procedure giudiziarie più efficace di ogni possibile lezione teorica.

Recentemente, poi, abbiamo invitato il Giudice Ayala. Che dire! Che persona. Intanto, la sua semplicità! Ci siamo parlati come se fossimo amici da una vita. In un’aula magna affollata da un centinaio di studenti si è assistito a due ore di silenzio tombale dove le orecchie dei ragazzi erano tutte tese ad ascoltare Giuseppe Ayala.
Un uomo speciale, con una storia speciale, una vita dedicata alla lotta alla mafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Eravamo tutti molto curiosi e lui ci ha raccontato una quantità di aneddoti di vita quotidiana con i due magistrati simbolo della lotta alla mafia. Ci ha spiegato il suo ruolo nel maxiprocesso che si concluse con la più esemplare sentenza di condanna della storia (loro i giudici istruttori e lui il pubblico ministero).
Uno scambio di amicizia fraterna e di collaborazione fattiva, giorni vissuti insieme nella gioia e nel dolore, nella minaccia costante e nella paura che potesse accadere qualcosa ai propri cari.

E poi, la scelta politica! La scelta. Ayala ci ha raccontato quanto la scelta fosse difficile e contro voglia per la loro natura di giudici.
Eppure, come ormai tutti abbiamo imparato dalle lezioni di Falcone, la mafia si è infiltrata dappertutto e la magistratura doveva avere una sua tutela politica. “Sì, devi andare” disse Giovanni a Giuseppe.
Così Giuseppe si candidò nel Partito Repubblicano.
La domenica prima delle elezioni Paolo si confidò con Giuseppe: “Con tutto il bene che ti voglio, sai bene che non potrò mai e poi mai votarti. Io faccio parte dell’altra sponda e, quindi, non ci pensare proprio”.
Si incontrarono di lunedì sera e Paolo era segnato dal dolore, soffriva e aveva un viso provato. Giuseppe si preoccupò dell’amico e cominciò a chiedere cos’avesse mangiato, cosa fosse accaduto… niente! Con il suo fare pacato e i movimenti pesati si volse verso Giuseppe e disse: “È da ieri sera che sono così. Da quando ho votato. Ero lì, pronto con la scheda tra le mani e mi sono chiesto: …e se Giuseppe non verrà eletto per un solo voto? Posso essere io a fargli questo?”.
Così, Paolo votò per il suo amico a costo di sentirsi male, un male psicofisico indotto solamente dal rigore morale con il quale aveva impostato tutta la sua vita.

In “Le Cinque chiavi per il futuro” H. Gardner introduce il “rispetto verso se stessi” e il “rispetto verso gli altri”. A coronamento delle sue analisi ritiene opportuno polarizzare l’attenzione intorno a questi due aspetti della nostra vita morale. Noi riteniamo che la questione morale oggi venga assolutamente prima della definizione delle regole. È inutile avere le regole se non si è educati a seguirle.

In un contesto democratico le regole si creano e si distruggono, si modificano, si migliorano, si correggono, insomma si adattano ai bisogni sociali.
I bisogni sociali non sono imperativi e non sono statici. La società si evolve e con essa nascono nuovi bisogni e muoiono vecchi bisogni.

Ciò che è essenziale e che i bisogni dei pochi sono altrettanto importanti dei bisogni dei molti, così com’è vero il contrario.
Quando i pochi sono quei cittadini colti da fragilità o da difficoltà, essi valgono tanto quanto quelli che sono forti e disinvolti.
Quando sono i molti a essere colti dalla fragilità indotta dalla condizione dell’analfabetismo di ritorno, dalla difficoltà di un apprendimento continuo e quindi a rischio esclusione sociale, sono i molti a esprimere un bisogno sociale. La scuola più di ogni altro organismo sociale può fare la differenza nell’educare a una “vision democratica”.

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Immagine in testata di pixabay (licenza free to share)

Patrizia Bevacqua e Arturo Marcello Allega

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