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A Luigi Berlinguer, in confidenza…

Pubblicato il: 21/05/2010 15:47:17 -


La scuola nei suoi tempi e spazi adeguati, i docenti e il loro ruolo professionale. Bruno Roscani risponde a distanza ai dibattiti maturati il 23 aprile a Firenze, nel convegno di Education 2.0. (La foto ritrae Luigi Berlinguer accolto al convegno).
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Ho seguito il tuo coraggioso e fervido intervento di apertura del Convegno a Firenze di Education 2.0 e mi sono sentito ringiovanire di oltre 36 anni… mica poco! Voglio soffermarmi su due punti del tuo intervento: quando ti sei richiamato al valore del “tempo” della scuola e dello “spazio” scolastico, del modo di configurarlo e arredarlo anche architettonicamente… perché essi mi riportano alla mia esperienza – durissima – della direzione del giovanissimo sindacato, quello che con un po’ di presunzione definivamo come Cgil/scuola (e università).

Ebbene, allora mi è stato sempre difficile far passare tra le file, sempre più numerose, di dirigenti, militanti e iscritti al sindacato anche i primi rudimentali concetti relativi alla necessità di dotarsi degli strumenti propri del mestiere del sindacato, quelli della contrattazione dell’organizzazione del lavoro. Nella particolare, prestigiosa prestazione del lavoro docente, la sua organizzazione assume un carattere “unico”, irripetibile, per la “immaterialità” del suo prezioso prodotto sociale – l’education rivolta ai bambini, ai giovani, agli adulti nella formazione permanente – non assimilabile a nessun altro lavoro.

Allora – a quei tempi in cui i sogni ci spingevano alla scalata del cielo – tutta l’attenzione e tutta la tensione della grande massa dei docenti e degli operatori della scuola (e dell’università) era concentrata sui processi di riforma degli ordinamenti, mentre veniva sospinta – senza partecipazione e per forza di inerzia – dal popolo numeroso del “pubblico impiego” a ritagliarsi un comparto specifico – della scuola e dell’università – nell’assetto innovativo che andava delineandosi nella sfera contrattuale del lavoro pubblico.

Ancora oggi, molti componenti dei gruppi dirigenti del sindacato confederale della scuola non riescono a comprendere il significato e il valore innovativo del passaggio – avvenuto nei primi anni ’70 per merito di alcuni, soltanto alcuni dirigenti, però e con quale fatica – dai “coefficienti professionali” e retributivi alle “qualifiche funzionali”, che soppiantavano almeno la vecchia “carriera per anzianità” (che si sommavano alle unilaterali “concessioni” di passaggi parametrici retributivi che avevano portato a una situazione di “giungla retributiva”) e che, soprattutto, aprivano finalmente la strada a una valutazione della professionalità dei docenti (e degli altri operatori scolastici). Ricordo personalmente che l’accordo contrattuale che introduceva le “qualifiche funzionali”, per le quali mi ero speso personalmente – malgrado non prevedesse un aumento sostanzioso delle retribuzioni, anzi contenesse una scala retributiva molto povera – fu approvato nelle assemblee numerosissime che si svolsero nelle scuole. E ricordo che grande fu il mio impegno per convincere anche i dirigenti dei sindacati dei ferrovieri. Allora i ferrovieri erano inquadrati fra il “pubblico impiego”, adottare l’inquadramento in poche “qualifiche funzionali” significava superare le oltre 96 “qualifiche di mestiere”, ormai obsolete nel comparto ferroviario. Insomma la introduzione delle “qualifiche funzionali” nel pubblico impiego o si attuava in tutti i comparti del lavoro pubblico, come punto di snodo per aprire finalmente la contrattazione “ specifica” di comparto, oppure tutto il “pubblico impiego” sarebbe rimasto nel pantano della regolazione indistinta dello “stato giuridico”.

Cominciava così la “lunga marcia” della contrattualità nella scuola e finalmente si prendeva coscienza che quella del riconoscimento contrattuale della professionalità docente (quindi della sua formazione, dell’aggiornamento continuo, della sua valutazione, sganciata dalla promozione per anzianità di servizio) doveva essere il primo fondamentale elemento sul quale cominciare a costruire un processo di innovazione nella organizzazione del lavoro nella scuola. Ma, amaramente, debbo dire che al di là di questo non si andò. Ogni tentativo a metter mano agli altri fondamentali elementi dell’organizzazione del lavoro fu frustrato, non solo per una posizione di resistenza corporativa, ma soprattutto perché sopravviveva fra i docenti una concezione della loro missione slegata dal cambiamento intervenuto nel rapporto sapere/lavoro, e nella centralità del ruolo dell’apprendimento. E quali erano gli altri fondamentali elementi – oltre quello della professionalità – sui quali agire per l’organizzazione del lavoro docente?

Oggi voglio indicarli schematicamente, come mi accadde di fare in occasione di un convegno/formazione ad Ariccia, presso la scuola sindacale, dei membri del Comitato direttivo della Cgil-scuola, alcuni anni dopo che ne avevo lasciato la direzione. E voglio sperare di non apparire, come fu in quella occasione, come colui che vuole introdurre l’uso di “vecchi ferri del mestiere” del sindacalista in un mondo magico e strano e unico come quello del lavoro docente. Tutt’altro, ciò che voglio dire è proprio che con i vecchi ferri del mestiere non si fa ciò che occorre: e ciò che occorre è proprio un sindacato che adoperi “ferri nuovi” per il fare bene il suo mestiere.

1. Il primo elemento è il tempo di lavoro. Che c’è bisogno ancora di rifarsi alla storia del movimento dei lavoratori per le “8 ore” per comprenderne l’importanza? Eppure per il lavoro scolastico c’è sempre da compiere (e continuamente da rinnovare) una scelta non facile… tra il “tempo scuola” e il “tempo di lavoro”. Sulla definizione del tempo scuola prolungato, incontrai – dopo averlo proposto – nella mia esperienza sindacale una bruciante sconfitta… che mi costò addirittura una vergognosa “autocritica”, vergognosa non per me, ma per coloro che la pretesero… Costituiva per me, nei primi anni ’70, il primo passo – attraverso il governo del tempo lungo della scuola – verso l’autonomia: la scuola che si sarebbe dovuta aprire e rapportare alle esigenze profonde dei diversi contesti social/territoriali. Non passò allora! Almeno il “famoso” e vituperato e incompreso aumento di 20 ore, non per il tempo scuola ma per la programmazione didattica, sì passò… fu ingoiato come un boccone amaro.

Soltanto successivamente si fece luce nella pratica contrattuale il rapporto tempo scuola/tempo di lavoro, per giungere – un po’ meccanicamente – alla definizione dei bisogni di “organico funzionale”, ossia dei livelli di occupazione del personale docente e non. Nella pratica contrattuale della scuola di allora non c’era posto (o era un posto improprio) per una metodologia tale che consentisse di verificare nel tempo di lavoro quali dovevano essere i contenuti e le modalità e la qualità della prestazione (ossia, l’espressione della professionalità individuale e collegiale e i suoi effetti sui processi e i livelli di apprendimento). Erano questa incapacità e questo vuoto di rappresentanza dei contenuti della professionalità l’espressione di una insufficienza strutturale e organica del sindacato. Ecco perché allora fu figliato, dolorosamente per il sindacato Cgil, il Cidi, l’organizzazione professionale dei docenti democratici, che si affiancò – dialetticamente – alle altre associazioni professionali, specie del mondo cattolico. Ma ancora oggi su questo terreno penso debbano essere fatti dei passi in avanti.

2. Ma dal “tempo di lavoro” si deve necessariamente passare al secondo elemento: alla definizione e al governo dell’intensità, del ritmo, della cadenza e dello spazio del lavoro scolastico. E non basta qui definire automatici rapporti classe/alunni/docenti, né basta individuare spazi/alunni/docenti, se non si affrontano modalità collegiali della prestazione professionale e dei suoi contenuti, oltre la rigidità delle classi e delle cattedre. Anche su ciò le insufficienze di rappresentanza aprono un enorme vuoto di fronte alle necessità di configurare un controllo sociale su questo aspetto importante della prestazione del lavoro docente.

3. E se si passa al terzo elemento, quello della tecnologia applicata al lavoro docente il buio si fa ancora più pesto. Chi valuta, chi contratta, chi governa questo elemento che in modo crescente è divenuto una indispensabile “protesi” del lavoro didattico, ma anche dei processi di apprendimento?

4. E per chiudere, con il quarto elemento, il cerchio di ciò che definisce l’organizzazione del lavoro docente, si torna al cuore del problema della scuola: alla professionalità docente (alla sua formazione, selezione, reclutamento, aggiornamento, sperimentazione, innovazione, valutazione, retribuzione, promozione ecc). Come, dove, che cosa e chi deve misurarsi con questo elemento base che raccorda gli altri tre elementi fondamentali del lavoro della scuola? Ma in modo innovativo, tale da soddisfare le esigenze, profondamente mutate e in continua mutazione, di istruzione e formazione continua… dai bambini 0-6 anni agli anziani… un po’ sconnessi come me?

Bruno Roscani

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