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Tandem:  Racconto a quattro mani da una scuola ‘fuori della scuola’

Pubblicato il: 22/04/2020 02:30:17 - e


Autoironia e passione in un momento difficile pieno di opportunità
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Noi siamo “la Megli” e “la Russo”, così almeno ci chiamano i ragazzi: condividiamo studenti e classi dell’I. C. G. Perlasca di Roma da un po’ di anni. In questo caso abbiamo provato anche a condividere un racconto, mischiando le nostre diverse voci (in corsivo e in tondo…).

E chi l’avrebbe detto che da un giorno all’altro tutto sarebbe cambiato, che la consuetudine della campanella, che segna l’inizio della giornata lavorativa per noi docenti e che scandisce le ore a seguire, si sarebbe interrotta così bruscamente? 

Già, chi l’avrebbe detto? Nessuno, nessuno l’avrebbe mai creduto.

Incredulità: sostantivo femminile, dal latino tardo incredulitas -atis, «riluttanza ad accettare per vero qualcosa». Ecco, questa è la prima parola che userei per descrivere quello che è successo e che non avremmo mai pensato potesse succedere. Non riuscire a crederci, non riuscire a pensare che una rivoluzione così totale sia potuta accadere in meno di una settimana. 

Rivoluzione: sostantivo femminile, dal latino tardo revolutio, -onis «rivolgimento». Esatto, il mondo si è rivoltato, tutto. Si è rivoltato il mondo scolastico, il mondo interiore, l’universo mondo, senza eccezioni di persona, di classe sociale, di Paese o di razza. Tutto rivoltato. Un mondo a testa in giù.

Finisco le mie ore di lezione e al ritorno a casa apprendo dalla tv che dall’indomani le scuole sarebbero rimaste chiuse. Segue messaggio del Dirigente: area Web convocata in presidenza, urge una soluzione! E così, dopo l’ormai famigerato DPCM del 4 marzo, anche il nostro Istituto si adopera con modalità di Didattica a Distanza: la DAD, questa nuova cosa sconosciuta! Nei primi giorni mi è sembrato di vivere in un film ed eravamo solo all’inizio del primo tempo…

“4 marzo” da oggi in poi non sarà più solo una bella canzone di Lucio Dalla. Riaccendo il telefono dopo l’ora di yoga: quattro chiamate senza risposta e due messaggi vocali. Vieni subito in presidenza, convocazione immediata, la scuola è chiusa, adesso, e noi ci dobbiamo organizzare. I supplì ingoiati frettolosamente tra la pizzeria e la scuola lasceranno un grande senso di amaro, e non solo in bocca. Usciamo che si è fatta sera, ognuno di noi con una borsa rimediata dove ha infilato quello che può, quello che da domani potrà servire ma che nessuno sa ancora bene a cosa. 

In quei giorni ero alle prese con l’attuazione del progetto Ambienti di apprendimento innovativi che prevede la realizzazione nel nostro Istituto di uno spazio di apprendimento innovativo e polifunzionale con strumenti di robotica educativa e per il quale mi apprestavo a frequentare, coinvolgendo anche i miei colleghi di matematica e scienze, un corso di formazione presso l’Università. Venivamo nei due anni precedenti, dal progetto Atelier creativi e prima ancora dalla sperimentazione di una classe 2.0.
Perché noi, come diciamo sempre al Perlasca, non ci facciamo mancare niente!

La nostra scuola è una di quelle affette da quella che si definisce ‘sindrome della dea Kalì’, una sindrome che colpisce quelle persone, solitamente donne, che vogliono fare sempre tutto e bene. Anche se ‘Il Perlasca’ è maschile, ‘La scuola’ è femminile, oltre che per il suo genere grammaticale, anche per il genere della maggioranza delle sue componenti (come del resto molte scuole), e forse sarà per questo che al Perlasca non si sta mai fermi! Progetti’, ‘PON’, ‘Erasmus’, ‘Poli della formazione’, ‘Biblioteche innovative’, tutte le varie ‘#azioni’ del PNSD indicate da numeri preceduti dal cancelletto, #azione 24, 25, 26 …tombola! Ecco, noi facciamo tutto questo. E mai una cosa per volta! Più progetti in contemporanea, più persone che mentre seguono la realizzazione di un progetto, stanno già rispondendo al bando per uno nuovo, tante persone responsabili di più progetti.
Siamo fatti così, a partire dalla Dirigente, che la mattina magari, in preda ad un attacco di saggezza, ti chiama in presidenza e ti dice «Professoressa, adesso basta, si fermi per un po’, si prenda una vacanza»; salvo poi telefonarti il pomeriggio, mentre ti sei appena iscritta a un corso di teatro, (sempre a scuola, perché naturalmente a scuola nostra, facciamo anche questo) e candidamente esordisce «Professoressa, ci sarebbe questo bellissimo progetto, sembra fatto per noi, si metta al lavoro!» Ci sono almeno venti persone che lavorano così, lo chiamiamo ‘Staff’, e a volte pensiamo, di non essere normali. A volte.

D’improvviso, da Funzione Strumentale Area Web e prima ancora da Animatrice Digitale dell’Istituto mi trovo coinvolta a pieno titolo nella costruzione dell’impianto della Didattica a Distanza del nostro Istituto, strumento assolutamente necessario per poter continuare il nostro progetto formativo. E come fare? Naturalmente partendo da ciò che conoscevo, che avevo già sperimentato e avevo appena introdotto in una delle mie due classi. E così l’uso di una piattaforma in cui creare una classe virtuale, che doveva solo essere un’integrazione alla didattica, ha finito con il sostituire completamente il nostro ambiente di apprendimento. Le tecnologie non più ausilio ma strumento essenziale, assoluto, delle quali non si può fare a meno.

Flessibilità. La terza parola che userei per parlare di questo cataclisma, è flessibilità. Sostantivo, femminile (e come poteva essere altrimenti?!?) dal lat. tardo flexibil?tas -atis, «a proprietà o la caratteristica di essere flessibile, facilità a piegarsi, e, in senso figurato, a variare, a modificarsi, ad adattarsi a situazioni o condizioni diverse». Non c’è bisogno di aggiungere altro. L’etimologia basta a sé stessa.

A questo punto ogni docente si è trovato davanti a un bivio. Che docente sono e chi voglio essere? Mi trincero dietro l’assunto «la didattica è distanza non è obbligatoria», o mi rendo conto che pur con la sospensione delle attività didattiche continuo a essere una docente che ha forse l’obbligo morale, se non legislativo, di continuare il proprio percorso educativo-didattico facendo sentire, al di là di tutto, ai miei alunni che ci sono comunque, nonostante la distanza fisica?

Che tipo di docente sono? Ovvero, in termini più chiari, “Chi sono io?” Domanda non da poco. Mentre il mondo è impegnato a rivoltarsi su sé stesso, mentre come Alice, mi sento risucchiata nel vortice della caduta verso l’ignoto, io mi devo chiedere «Chi sono». Mentre l’umanità può permettersi lo sconforto, l’impotenza, il lockdown, io, non solo non mi posso ‘bloccare’ stando semplicemente a guardare, rispettando le regole, standomene tranquilla a casa mia facendo il mio dovere di ubbidiente cittadino che non si ammala, non si rompe una gamba, non fa la spesa perché vive dell’accumulo del freezer che finalmente trova il suo motivo di esistere, no, io insegnante mi devo chiedere, e anche piuttosto rapidamente, chi sono, e mi devo anche dare la ‘giusta risposta’, che poi è solo una, perché da me dipende la sopravvivenza culturale del pianeta, ovvero i miei studenti.

Non è stato facile e non lo è tutt’ora e comunque non per tutti allo stesso modo, reinventare il proprio modo di insegnare, all’interno di una classe virtuale e non più fisica, con il digitale che si fa spazio in maniera prepotente e assoluta, tra videolezioni e videoconferenze, con i nostri alunni al di là di uno schermo. Penso di poter parlare a nome di tanti miei colleghi dicendo che è sempre una piacevole emozione rivedere i ragazzi in videoconferenza, seduti alla scrivania nelle loro camerette, alcuni addirittura attrezzatissimi con cuffie e microfono, con fratellini, cani e gatti che ogni tanto fanno capolino. «Prof non mi è arrivato il link» «Prof la sento a tratti» e potrei continuare. Li vogliamo presenti, e siamo pronti a inseguirli se non ci sono. Mi piace salutarli uno a uno quando entrano in videoconferenza e chiedere loro come va. Diciamolo: abbiamo bisogno anche noi della loro presenza. Altro che scuola senza la scuola.

Gli studenti, i nostri studenti, perché si può parlare quanto si vuole, si può essere di sinistra, femministe, freudiani o lacaniani, ma è da lì che passa ogni relazione profonda: dal senso del possesso. Gli studenti, come i figli, l’amore, l’impegno, sono nostri, noi siamo responsabili di loro.
Responsabile: aggettivo, derivato del lat. responsum, supino di respond?re rispondere, «Che risponde delle proprie azioni e dei proprî comportamenti, rendendone ragione e subendone le conseguenze» ma anche «Che si comporta in modo riflessivo ed equilibrato, tenendo sempre consapevolmente presenti i pericoli e i danni che i proprî atti o le proprie decisioni potrebbero comportare per sé e per altri». I nostri ‘altri’ sono loro. Quelli che mi hanno fatto venire le lacrime agli occhi quando sullo schermo, nella prima prova di videolezione in diretta, comparivano i loro nomi in sequenza: «Martina, presente», «Alice, presente», «Andrea (ma guarda, c’è anche lui!), presente». Sembrava l’appello dei Caduti durante la cerimonia nel Parco della Rimembranza del paese; tutti là, tutti, nello stesso tempo, assenti ma presenti.

Nella mia esperienza posso raccontare la fatica nell’accompagnare i colleghi in un percorso completamente nuovo, nel guidarli all’uso di questo o quello strumento ma qui il motto non è «Andrà tutto bene» ma piuttosto «Si può fare!». E che soddisfazioni quando ti dicono che hanno realizzato una videolezione utilizzando ScreenCast e che l’hanno caricata in piattaforma o prima su un canale youtube! 

L’hanno chiamata battaglia, guerra, conflitto; noi, per non farci abbattere, abbiamo dovuto cambiare il punto di vista e quindi le parole per descriverla. L’abbiamo chiamata sfida, occasione, opportunità; mentre cadevamo nel precipizio, ci siamo rimboccati le maniche, ci siamo stretti per mano per rallentare la caduta, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti «Non sappiamo se andrà tutto bene» ma intanto «Si può fare», «Si deve fare».
E così, qualcuno di noi si è fatto ‘guida’ e ci ha aiutato a fare patrimonio delle nostre ignoranze, a mettere in comune i nostri limiti, a superare le nostre chiusure insegnandoci parole che non ci appartenevano e davanti alle quali avevamo magari sempre fatto una certa resistenza; abbiamo persino fatto franare, per il bene comune, anche l’argine verso tutto quell’inglese che proprio non si può sentire e che spesso non sappiamo neanche pronunciare: chat, live, account, board, ScreenCast, youtube!
Disponibili alla deriva, ma tutti insieme (noi, la preside e gli insegnanti, loro, gli alunni, gli altri, i genitori) in un noi collettivo dove i ruoli sono circolari e sfumati, dove non è sempre chiaro chi insegni e chi impari, ma è sicuro che tutti ci provano.

Lucia Megli Professoressa di lettere nella scuola secondaria di primo grado. Ama la lettura e la scrittura leggendo tra le righe emozioni e stati d’animo dei nostri alunni, tirando fuori da loro cose inaudite. Sabrina Russo Professoressa di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Mette in colonna i numeri ed in riga gli studenti, amando tutte e due con la stessa passione.

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