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Il riordino delle superiori: tra dubbi e malessere

Pubblicato il: 06/11/2009 15:09:12 -


A meno di improbabili sconvolgimenti a livello nazionale, si parte. La domanda è: come?
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L’avvio “del riordino e del potenziamento” previsti per i tre settori delle scuole superiori (Tecnici, Professionali, Licei) è fissato, come si sa, per il prossimo anno scolastico. Che possa essere rinviato è, a mio avviso, impensabile. E questo perché le misure contenute nel Piano Programmatico del Governo, di respiro triennale, parlano di impegni precisi e quantificati al dettaglio per il settore scuola: tagli alla spesa per oltre 8 miliardi di euro nel triennio (legge 133/08, art. 64).

D’altronde, la pesante crisi economica e finanziaria che sta attraversando – e sconvolgendo – l’intero pianeta non autorizza a pensare a passi indietro o ad alleggerimenti.

Quindi, a meno di improbabili sconvolgimenti a livello nazionale, si parte.

La domanda è: come. Vediamo le questioni che si presentano con carattere di urgenza e su cui non ci si è finora soffermati abbastanza.

Un primo insieme riguarda
a. i passaggi richiesti per arrivare entro la fine dell’anno all’approvazione finale dei due decreti: sono ancora di là da venire i pareri delle Commissioni Parlamentari, della Conferenza Stato Regioni e del Consiglio di Stato (finora si è espresso solo il CNPI );
b. i tasselli richiesti per dare compiutezza al Quadro del Riordino: il riferimento è alle Indicazioni Nazionali, relativamente a saperi e competenze per i 3 settori; agli ambiti e criteri per ulteriori articolazioni/opzioni (nel senso di percorsi aggiuntivi, all’interno degli indirizzi previsti); alle nuove classi di concorso… Qualcosa se ne sa; ma non si riesce a prevedere quando si potrà disporre di documenti accreditati su cui si possa fare informazione fondata e svolgere considerazioni che valgano a capire dove si sta andando.

Problematica resta anche la ridefinizione/ridistribuzione dell’Offerta formativa sui territori, che fa capo alle Regioni; le quali decidono sulla base di proposte delle Province. Al riguardo, qualcosa si è certamente mosso. Ma di tali decisioni non si sa ancora niente. Questo significa che le scuole – soprattutto quelle che sperimentano indirizzi non in ordinamento o che, pur essendo diventati ordinamentali, non sono stati riproposti (almeno negli stessi termini e con gli stessi nomi) – non sanno ancora quali sono gli indirizzi che costituiranno la loro offerta formativa. Ed è tempo ormai, da parte dei ragazzi di “terza media” e famiglie, di pensare alle iscrizioni alle Superiori.

Una terza questione: neanche l’ombra, si vede, di un piano di informazione/formazione, né per le secondarie di primo grado, né, soprattutto, per le scuole superiori che dovranno, già da quest’anno, dare gambe ai cambiamenti e alle innovazioni previsti.

Ma ci sono altre questioni, decisamente pesanti, che sono emerse subito dopo la prima approvazione dei tre Regolamenti (tra il maggio e il giugno scorsi).

In primo luogo, la fattibilità dell’avvio delle operazioni di “riordino e potenziamento”, previste in contemporanea su più fasce di classe. Il problema è acuto soprattutto per gli Istituti Tecnici (IT) dove modifiche sostanziali riguarderanno tutte le classi, con la sola eccezione delle quinte. Considerato lo stato dell’arte dell’intero processo, solo Mandrake potrebbe riuscire vincente nell’impresa.

E poi, l’insostenibilità di una Istruzione Professionale che sembra essere diventato un terreno di nessuno. Sappiamo che non è così e che Stato e Regioni sono al riguardo sul piede di guerra (o giù di lì). Ma la percezione è che, mentre per gli altri settori qualcosa si muove (per esempio con qualche sperimentazione, con la circolazione di bozze di “programmi”), per gli IP tutto tace. E questo, nonostante che i cambiamenti previsti per il settore siano abbastanza radicali.

Soprattutto resta aperto il problema, sollevato da molte scuole, di raccordi possibili col sistema della Formazione Professionale Regionale, ai fini, per esempio, del conseguimento della Qualifica: da riconsiderare come primo, possibile, e in alcuni casi necessario, traguardo – e quindi uscita -, dentro il percorso quinquennale previsto dal Regolamento.

In terzo luogo, l’assurdità di un sistema riformato nel quale i vari “pezzi” si muovono dentro logiche proprie, senza una visione unitaria. Questo è riscontrabile non solo nei quadri orari, nella individuazione delle discipline dell’aria comune (che nel caso dei licei non è neanche definibile come area a sé) e negli “spazi di flessibilità” ; oppure relativamente alla possibilità di potenziare gli insegnamenti obbligatori o di attivarne di facoltativi. Anche nel lessico si colgono spie eloquenti al riguardo. E così scopriamo che le articolazioni degli IT e IP diventano “opzioni” nei Licei; gli “spazi di flessibilità”, delle prime due tipologie di istituti, diventano “quote dell’autonomia”, sempre nei Licei. Nei quali ultimi, poi, il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) degli IT e degli IP (Istituti Professionali) perde la connotazione “Tecnico”, per ragioni che una ragione moderna difficilmente riuscirebbe a cogliere. E così, per l’occasione, il CTS viene liberato dalle intromissioni impure della Tecnica e diventa CS (Comitato Scientifico).

Ma l’assenza di una visione unitaria la si riscontra soprattutto nelle scelte, diverse nei tre settori, relativamente a contenuti e obiettivi della formazione. Al riguardo, il riferimento primo è alla legge per l’innalzamento dell’obbligo di Istruzione (D.L. n. 7/ 2007, art. 13) e al Decreto applicativo – D.M. 139/2007 – (Regolamento e Allegati su Assi Culturali e Competenze Chiave di Cittadinanza).

Negli Allegati dei Regolamenti di Riordino se ne parla in termini significativi solo in quello sul Profilo per gli IP (“Il primo biennio è finalizzato al raggiungimento dei traguardi di competenza previsti dal nuovo obbligo di istruzione e dei relativi assi culturali”. In questa ottica, “assume un ruolo fondamentale l’acquisizione delle competenze chiave e dei requisiti di cittadinanza che consentono di arricchire la cultura professionale dello studente e di accrescere il suo valore in termini di occupabilità” Allegato A, 2.4).

Negli altri Profili, si va dal richiamo veloce (IT) all’assenza totale (Licei).

Sembra emergere comunque, da una lettura contestuale dei tre Regolamenti, la “visione” di un paese, il nostro, che sembra aver dimenticato la funzione unificante della scuola e la centralità, per una formazione moderna e qualificata, di comuni competenze di cittadinanza. E aver smarrito, per i propri giovani, un’idea di futuro più eguale, in cui il discorso pubblico su integrazione e mobilità sociale abbia ancora un senso e una prospettiva.

E così rimane ancora non sciolta l’ambiguità di un sistema formativo che ha fatto, sulla carta, la scelta dell’innalzamento dell’obbligo a 16 anni, assieme alla previsione di una formazione “equivalente” e di comuni obiettivi in tema di Competenze chiave; ma che continua ad affidare la realizzazione di tali obiettivi e finalità a percorsi formativi costruiti con logiche contraddittorie, tendenti a perpetuare, di fatto, l’antica gerarchizzazione dell’Istruzione superiore (collocando ancora i Licei, malamente restaurati, al vertice della piramide).

Come paralizzanti risultano alcune gravi tortuosità del quadro attuale , riferite in modo particolare all’IP. Gli interrogativi centrali al riguardo mi sembrano essere i seguenti:

È veramente impossibile convenire che a scuola si va tutti almeno fino a 16 anni (come in quasi tutti i paesi europei) e che, pur nella diversità dei percorsi, a tutti va garantita una formazione mirata al raggiungimento di conoscenze e competenze chiave? E che la Formazione professionale, che certamente ha forti legami con l’istruzione, si persegue, istituzionalmente e formalmente, dopo il 16esimo anno di età?

A scanso di equivoci, gli interrogativi non riguardano qui la questione di “chi organizza i corsi e gestisce il personale”; se lo Stato cioè o le Regioni (ovviamente, nel caso di queste ultime, dentro paletti che salvaguardino l’unitarietà del sistema).

Le domande mirano piuttosto a capire se, fino alla soglia dei 16 anni, la priorità assoluta – e quindi la ragione sociale del sistema scuola – è la formazione del cittadino oppure no; se lo sviluppo dei saperi di base e delle competenze culturali, sociali, personali – che ogni democrazia matura non può non riconoscere come fondamentali per il suo mantenimento e il suo rafforzamento – oltre ad essere scritte nelle Raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio europeo, costituiscono anche impegno prioritario del nostro Paese.

Non si considera, in queste riflessioni, avendone già abbastanza parlato in altre occasioni, la percezione devastante, per il mondo della scuola – e non solo -, che l’ “operazione riordino” serva sostanzialmente a tagliare personale e risorse e a far quadrare il bilancio disastrato dello Stato. Né si ripropongono le molte domande che pongono le diffuse considerazioni al riguardo.

A chi rivolgere questi interrogativi? A chi fare giungere il disagio, diventato quotidiano malessere, delle nostre scuole? Mah!

Comunque, chiedere in giro. E pensarci. Ma non troppo.

Antonio Valentino

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