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L’esperienza delle 150 ore e la didattica della matematica

Pubblicato il: 10/05/2023 06:43:12 - , e


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Breve storia della loro introduzione

Nel 1970 nello Statuto dei Lavoratori viene introdotto l’articolo che riconosce ai lavoratori il diritto allo studio (l. 300/1970).

ART. 10. – Lavoratori studenti.

I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali.

I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti.

Finalmente, con il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro metallurgico (CCNL 1973) si garantisce l’introduzione di un monte ore retribuito per lo studio individuale: nasceva così la cosiddetta “scuola delle 150 ore”.

Nell’anno scolastico 1973-1974 si avviano in numerose città i “corsi 150 ore” aperti non solo ai lavoratori ma a chiunque avesse un’età superiore ai 16 anni e quindi frequentati anche da casalinghe, ragazzi e ragazze che erano stati “espulsi” dalla scuola, disoccupati.

I corsi permettono in un solo anno scolastico il conseguimento della licenza media, con un monte orario totale di 350/400 ore,  e sono quattro gli ambiti di studio: Italiano, Storia e Geografia, Inglese, Matematica ed Osservazioni Scientifiche. Le ore sono equamente ripartite tra i quattro ambiti.

Gli iscritti ai corsi sono negli anni sempre più numerosi, nei primi quattro anni si ha questa frequenza:

Più di 200.000 persone in quattro anni ottengono la licenza media.

I corsi hanno fin dall’inizio caratteristiche molto diverse dalla “scuola del mattino”.

La prima caratteristica peculiare è la loro gestione, infatti sono “a carico” del Ministero della Pubblica Istruzione. Si svolgono in scuole pubbliche ed i docenti sono assunti dal Ministero e devono a seguire dei corsi di formazione alla gestione dei quali partecipa per la prima volta il sindacato che li organizza facendo intervenire in essi anche competenze provenienti dal mondo sindacale. Obiettivo della formazione era aiutare gli insegnanti ad individuare collegamenti  tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro, dando loro strumenti adeguati per rispondere alle domande espresse dai corsisti stessi (analisi della busta paga, analisi dei processi produttivi …). Vengono coinvolte anche le Università  per una riflessione generale sulla didattica, sulle metodologie e sui contenuti. Si crea così per la prima volta un collegamento tra “istituzioni” diverse: Scuola, Università, Sindacato

Le 150 ore nascono come momento della lotta del movimento operaio contro l’organizzazione capitalistica del lavoro. innanzitutto perché sono collegate alla conquista contrattuale dell’inquadramento unico: tendono cioè ad entrare in conflitto con le stratificazioni e le gerarchie di fabbrica e mirano alla ricomposizione della forza-lavoro a livelli più alti eliminando le mansioni più generiche e dequalificanti. In secondo luogo perché sono intese come un momento in cui i lavoratori possono impadronirsi di strumenti conoscitivi atti a controllare, giudicare criticamente e quindi modificare, i processi produttivi della fabbrica e, più in generale, le strutture produttive  e la loro proiezione nella società” [i]

La seconda peculiarità dei corsi 150 ore sono gli stessi “studenti”. Sono lavoratori e lavoratrici, uomini e donne già fuori dai percorsi scolastici, inseriti in una vita reale che è già di per sé una formazione:

« …considerando l‘educazione degli adulti quale un meccanico prolungamento della scuola molto difficilmente si possono enucleare linee di intervento specifico. E ciò non solo perché a livello psicologico altri sono i problemi dell’età infantile o adolescenziale e altri sono quelli relativi alle età adulte; non solo perché a livello sociologico i giovani hanno, nella nostra realtà, il loro epicentro di apprendimento nella scuola come istituzione delegata alla formazione, mentre gli adulti hanno il loro nucleo essenziale nel lavoro come impegno produttivo, ma perché il lavoro, considerato quale farsi dell’uomo, impregna delle proprie valenze educative la società nel suo complesso ».[ii]

L’insegnamento della matematica nei corsi 150 ore: l’esperienza di una insegnante.

Va prima di tutto detto che gli insegnanti, a partire dal primo anno dell’istituzione dei corsi delle 150 ore, si sono trovati a svolgere il proprio lavoro in una situazione nuova e del tutto particolare. Erano quasi sempre giovani e al primo incarico quindi con scarsa esperienza e, seppur dotati spesso di giovanile entusiasmo, buona volontà e senso di responsabilità, hanno dovuto affrontare un impegno che andava al di là delle proprie competenze.

In particolare va detto che:

  • Erano pochissimi i riferimenti a cui far ricorso anche perché i corsi delle 150 ore erano molto diversi dalle scuole serali e da altre realtà simili.
  • Il materiale didattico era praticamente inesistente, del tutto inadeguati i libri di testo della “scuola del mattino” e non sempre adeguata la possibilità di predisporre, da parte dei singoli insegnanti o da gruppi di essi, materiali utilizzabili per condurre il lavoro in classe.
  • Le attese dei lavoratori erano grandi, grandi le speranze di riscatto sia sociale che lavorativo. Molti avevano dovuto lasciare la scuola per inserirsi prematuramente nel mondo del lavoro e vedevano nei corsi una possibilità di promozione umana, sociale, nonché economica.
  • Le classi erano molto disomogenee, con ragazzi giovani che avevano lasciato da poco la scuola, lavoratrici e lavoratori adulti, casalinghe. Ognuno esprimeva un bisogno e un’aspettativa diversi.
  • Molto disomogenea era anche la formazione di base a livello scolastico e, inoltre, molti, nella propria vita lavorativa e sociale, avevano avuto modo di acquisire abilità, sviluppare capacità e competenze delle più varie.
  • La formazione degli insegnanti era scarsa soprattutto per quanto riguardava l’aspetto didattico e l’organizzazione del lavoro in classe. Data la situazione particolare era richiesta una competenza specifica per attivare processi di apprendimento, per favorire l’acquisizione di concetti, di conoscenze, di metodi e i seminari in cui gli insegnanti erano stati formati erano brevi e, a volte, di contenuto vago.

Eppure è stata un’occasione di crescita umana e professionale per molti, molti erano gli stimoli e le occasioni per riflettere sul proprio ruolo e maturare competenze non banali:

  • Si percepiva nella classe un reale rapporto attivo di insegnamento /apprendimento.
  • Gli insegnanti erano costretti a confrontarsi con adulti quasi sempre più grandi e più “vissuti” che, spesso sindacalizzati e politicizzati, pretendevano giustamente di avere un ruolo attivo nella scelta dei contenuti e del metodo.
  • Si doveva fare una scelta all’interno dei programmi ma, contemporaneamente, prescindendo da essi
  • Si doveva impostare un lavoro all’interno della classe che, necessariamente, non poteva essere di tipo frontale.
  • Si doveva fare una riflessione sugli strumenti matematici guardando alla materia da una angolazione nuova.
  • Si dovevano produrre “artigianalmente” materiali di lavoro.
  • Si doveva tentare di scardinare preconcetti sia sulla scuola che sulla matematica in persone che, per la propria storia personale, molto spesso si erano trovati in vari modi esclusi dalla scuola stessa.
  • Si dovevano individuare schemi comunicativi nuovi e non banali.

Alla fine di tutto si dovevano ottenere dei risultati.

I corsisti dovevano avere la sensazione di aver appreso contenuti, di aver acquisito o chiarito concetti ma, soprattutto, di aver fatto propri strumenti di conoscenza da poter utilizzare nella propria vita lavorativa e sociale.

Per tutti questi motivi, per molti di noi, il gruppo di ricerca che Lucio Lombardo Radice ha voluto all’interno dell’università è stato l’occasione per discutere, confrontarsi e lavorare intorno a queste problematiche.  Il gruppo era composto  da insegnanti dei corsi delle 150 ore ma anche da esperti della materia, per di più, sensibili al tema della didattica, al problema di ricercare strategie per favorire processi di crescita intellettuale e sociale. Ciò ha creato un terreno fertile non solo per i risultati ottenuti rispetto all’esperienza delle 150 ore ma perché ha aperto orizzonti e stimolato sensibilità che hanno permesso a molti di noi di affrontare l’insegnamento con un bagaglio di idee e di esperienze che ci hanno sicuramente reso più attenti ed aperti alle sfide che il nostro lavoro ci ha posto e ci pone ogni giorno.

Il gruppo delle 150 ore dell’Università di Roma

I corsi delle 150 ore  sono stati una grande occasione per creare tra gli insegnanti della stessa classe il costume della collaborazione, della critica e dell’aiuto reciproco, della compresenza nel laboratorio, nello studio e nelle ricerche comuni.

Agli inizi degli anni settanta era viva l’esigenza dell’interdisciplinarità nella ricerca e nella produzione in una scuola in cui prevaleva  insegnamento organizzato per materie.

Nell’ottica dell’interdisciplinarità il punto di partenza dell’apprendimento doveva essere il problema, non la teoria bella e fatta, L’asse culturale delle 150 ore richiedeva che nel continuo rapporto con i problemi reali si potesse trovare la motivazione per introdurre procedimenti astratti di formalizzazione matematica.

I contenuti affrontati erano di tipo storico, economico e sociale e quindi è all’interno di questi temi che doveva intervenire la dimensione scientifica.

Il lavoro di ricerca, a partire da problemi reali e ben definiti, andava programmato in ogni sua fase e non poteva esaurire tutta l’attività didattica, né essere esaustivo.

Emergeva la necessità, anche per colmare tutte le carenze culturali, di aprire delle “parentesi ” tecniche dedicate all’acquisizione di strumenti; ricercando quindi il rapporto che deve intercorrere tra il momento della ricerca e il momento della sistemazione disciplinare.

Le parentesi dedicate all’acquisizione di strumenti matematici andavano considerate come momento essenziale dell’attività didattica e viste come momento di ricerca esse stesse.

Partendo da queste problematiche all’interno del Laboratorio Didattico, coordinato dal Prof. Lucio Lombardo Radice del Dipartimento di Matematica dell’Università La Sapienza di Roma, si costituisce il gruppo “150 ore” guidato dal Prof. Walter Maraschini composto da ricercatori universitari, insegnanti delle 150 ore e studenti tirocinanti. Centro dell’attenzione del gruppo è stata la produzione di materiali didattici che rispondessero all’esigenza di uno strumento flessibile per l’attuazione del lavoro didattico in classe. Nascevano così le “Schede di lavoro” [iii]. Queste sono state pensate reciprocamente indipendenti in modo da permettere un uso diverso in base alle esigenze di ogni corso rompendo così la sequenzialità tipica della matematica. Ogni scheda, corredata da note per gli insegnanti, costituiva sostanzialmente una sequenza di problemi organizzati in modo tale che la loro risoluzione fosse il momento essenziale di apprendimento; intercalate ad essi perciò c’erano brevi parti di commento che miravano a una sistematizzazione e formalizzazione dei concetti appresi.

Gli argomenti affrontati erano quelli che le diverse esperienze avevano dimostrato essere gli strumenti base per lo sviluppo dei contenuti propri dei corsi 150 ore, ad esempio: percentuali, rappresentazione dei dati, misure ed approssimazioni, coordinate cartesiane, aree e volumi, equazioni, rappresentazioni in scala.

Nelle schede si è fatta molta più attenzione alla gradualità dei problemi, alla loro aderenza rispetto agli obiettivi disciplinari, piuttosto che alla loro effettiva probabilità di presentarsi in situazioni quotidiane.

Il momento principale di apprendimento era il problema e l’attività che ne derivava: per questo sono state chiamate “schede di lavoro”, perché si intendeva che i corsisti lavorassero sui problemi che esse sottoponevano.

Questo richiedeva un ruolo fondamentale dell’insegnante: doveva sottoporre i problemi, discutere le diverse soluzioni emerse, condurre i momenti di commento e spiegazione.

Il gruppo di lavoro sulle 150 ore è stato solo uno dei gruppi che, in quel periodo storico, si sono formati all’interno delle Università, anche sotto la spinta di richieste ed istanze che la scuola poneva per il proprio rinnovamento in una realtà in piena evoluzione sociale ed economica.

I gruppi di lavoro del Laboratorio Didattico di Matematica della Sapienza di Roma sono stati, in particolare, un punto di riferimento a disposizione di molti insegnanti desiderosi di confrontarsi, di condividere idee, contenuti e materiali, di porre problemi ed avere risposte per impostare al meglio il proprio lavoro “sul campo”.

In questo Laboratorio gli insegnanti hanno avuto l’opportunità di lavorare con docenti di alto livello come il Lucio Lombardo Radice, Emma Castelnuovo, Lina  Mancini Proia, Liliana Ragusa Gilli e molti altri in modo assolutamente paritario, ciascuno con il riconoscimento delle proprie competenze per un rinnovamento continuo e produttivo della didattica della matematica.

Bibliografia:

  • Matematica 1 e Matematica 2 schede di lavoro a cura del gruppo 150 ore del laboratorio didattico dell’Università La Sapienza, Ed. Mazzotta, 1978
  • Autori Vari, Didattica delle 150 ore, Editori Riuniti, 1975
  • M. De Sanctis, L’educazione in età adulta, La Nuova Italia, 1976

 

[i] Dalla prefazione del volume “Matematica 1 schede di lavoro” a cura del “Gruppo 150 ore Università di Roma”, pag.8, Ed. Mazzotta 1978

[ii] F.M. De Sanctis, L’educazione in età adulta, La Nuova Italia, 1976

[iii] Matematica 1 schede di lavoro” a cura del “Gruppo 150 ore Università di Roma”, Ed. Mazzotta 1978

Nella Benedetti, Maria Grazia Bistoncini, Giovanna Mayer docenti del gruppo 150 ore Roma

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