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Invalsì, Invalno…

Pubblicato il: 22/07/2010 18:09:52 -


L’ingresso dell’Invalsi a scuola non può comportare l’imposizione di metodologie didattiche in cui i docenti non credono, censurandone la libertà e mortificandone la passione educativa.
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Dal 2012 l’Invalsi farà il suo ingresso in via definitiva anche nel secondo ciclo, gestendo direttamente la terza prova dell’esame di stato e test al termine del primo biennio. E già si profila lo scontro fra chi è assolutamente favorevole a un’innovazione che ci porta in Europa e oggettivizza i risultati e chi, in misura inversamente proporzionale, vede i test nazionali come l’ennesimo provvedimento calato dall’alto che limiterà ulteriormente la libertà degli insegnanti.

Ricordo che già nel primo anno di esercizio della legge sull’autonomia, in un liceo classico siciliano, un docente di quinta ginnasio, nell’ambito di uno specifico progetto di valorizzazione della cultura e della letteratura isolana, sostituì lo studio dei “Promessi sposi” con “Il birraio di Preston” di Camilleri.

Scatenando – tra parentesi – una vivace diatriba fra chi inorridiva di fronte al sacrilegio dell’omessa lettura del romanzo con la erre maiuscola della letteratura nazionale e chi salutava con trionfale entusiasmo lo svecchiamento della cultura italiana.

Ma in un sistema di istruzione che – pur favorendo l’autonomia – voglia rimanere nazionale, non bisogna garantire unitarietà nella preparazione?

E, non solo rispetto ai contenuti, ma anche rispetto alle abilità e alle competenze.

Nel 2006-2007, dato che l’italiano era stato affidato al commissario esterno, ho voluto fare un esperimento in una quinta classe, per curiosità, e vedere se era il caso di correggere il tiro finché ero in tempo.

Ho chiesto a un’amica e collega di correggere un compito delle mie alunne (che, ovviamente, erano informate e consenzienti), utilizzando le mie griglie.

Il risultato fu che i suoi punteggi si discostavano mediamente dai miei di un punto e mezzo.

Già questa sarebbe una ragione più che valida per sostenere l’ingresso di prove oggettive.

È ragionevole, infatti, presumere che un identico voto corrisponda alle medesime conoscenze, abilità e competenze da Pordenone a Ragusa se già nello stesso dipartimento i docenti, a parità di griglie, attribuiscono punteggi significativamente diversi al medesimo elaborato?

D’altro canto, nel momento in cui si struttura una prova uguale per tutti, non si andrà contro la libertà dei docenti di scegliersi un metodo?

Se insegno latino al biennio e voglio utilizzare il metodo Ørberg, al momento del test i miei alunni si troveranno in svantaggio rispetto ai loro colleghi, e non perché il metodo, nel lungo periodo, dia risultati meno significativi, ma perché presuppone una tempistica differente, un diverso approccio rispetto al testo da tradurre…

Un mio collega insegna grammatica generativa; i suoi alunni – in un test nazionale concepito secondo i dettami della grammatica tradizionale – non verranno penalizzati?

E parliamo del biennio.

E agli esami di stato, quando il test contribuisce alla determinazione del voto?

Inevitabilmente i docenti tenderanno ad appiattirsi su determinate metodologie didattiche per evitare che i propri alunni siano sfavoriti; ma questo sarà un bene?

Il generativista o l’orberghiano, costretti ad abbandonare un metodo in cui credono e che, nelle loro mani, produce risultati apprezzabili, raggiungeranno i medesimi obiettivi utilizzando metodi in cui non si riconoscono?

Allora, d’accordo sull’esigenza che la certificazione del voto d’esame sia la più oggettiva possibile (tra parentesi, che fine ha fatto l’idea della certificazione delle competenze?).

Anzi, negli ultimi anni di tutorato SSIS ho potuto notare come nessuna delle mie tirocinanti avesse nozioni di docimologia; stranamente, infatti, nelle nostre università sembra si sia sottovalutata l’importanza della scienza della valutazione nel curricolo del futuro docente, anche se poi nelle rivelazioni internazionali i nostri alunni, in media, si piazzano nella parte bassa della classifica (sarà anche perché poco abituati a scuola a certe procedure valutative?).

Ciò non di meno, l’ingresso dell’Invalsi a scuola non può comportare l’imposizione di metodologie didattiche in cui i docenti non credono, censurandone la libertà e mortificandone la passione educativa.

Salvo Piccinini

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