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Insegnare per le competenze

Pubblicato il: 16/05/2011 18:59:00 -


Una sintesi dell'intervento di Maurizio Tiriticco in occasione di “Europa dell’Istruzione”, Terzo Convegno Regionale di formazione organizzato dall’Ufficio Scolastico Regionale dell’Umbria, rivolto a Dirigenti e Docenti delle istituzioni scolastiche della Regione su “La certificazione delle competenze a conclusione dell’obbligo d’istruzione”, Foligno, 4 maggio 2011.
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Nella scuola di ieri, fortemente selettiva, non si avvertiva nessuna necessità di adottare didattiche finalizzate a promuovere veramente gli alunni sia sotto il profilo culturale che sotto quello civile: il sistema del promuovere/bocciare era la regola, tranne qualche rara eccezione in atto nei primissimi anni della scuola elementare. Inoltre gli insegnamenti erano finalizzati ad apprendere determinati contenuti, di cui ai programmi ministeriali, e solo la conoscenza di quei contenuti costituiva il lasciapassare per la vita attiva. Solo nel secondo dopoguerra e dopo il boom economico degli anni Cinquanta del secolo scorso si avvertì la necessità di un cambiamento: il tenore di vita si andava rapidamente innalzando, il mondo del lavoro richiedeva conoscenze mirate grazie ai nuovi processi lavorativi; di qui la necessità non solo di innalzare l’obbligo di istruzione (1962), ma anche di renderlo effettivo (l’insegnamento di Don Milani e la ricerca pedagogica) adottando didattiche avanzate e centrate su un insegnamento/apprendimento curricolare che trovò poi la sua concretezza nella strategia della programmazione educativa e didattica. Era importate per uno studente non solo e non tanto conoscere determinati contenuti, quanto acquisire anche concrete abilità da spendere nella vita reale: questa la scelta che nel ’77 adottammo per la scuola dell’obbligo. Si trattò di una svolta di estrema importanza che permise alla nostra popolazione di effettuare un poderoso balzo in avanti, di liquidare il secolare analfabetismo e di allineare il nostro Paese tra quelli di più alto sviluppo.

Oggi le cose sono ancora profondamente cambiate: lo sviluppo sempre più impetuoso delle tecnologie e i processi di globalizzazione impongono scelte ulteriori a tutti i sistemi di istruzione e formazione. Quel percorso della vita umana a tre tappe, prima la scuola, poi il lavoro, poi la pensione, che ha sempre contrassegnato ogni sistema socioeconomico, oggi è saltato. Quelle competenze che in genere venivano acquisite o nel concreto mondo del lavoro o in percorsi postscolastici, oggi, invece, vanno perseguite e acquisite anche all’interno dei percorsi formativi. E va anche considerato che le stesse competenze sono soggette a continue sollecitazioni, cambiamenti, arricchimenti. Apprendere per tutta la vita non è uno slogan, ma una realtà della vita contemporanea: chi non assume atteggiamenti e comportamenti di questo tipo è condannato all’emarginazione, culturale e lavorativa. Insomma, a fronte di una società che si fa sempre più complessa e difficile, alla scuola vengono richiesti e attribuiti compiti del tutto nuovi: si tratta di una sfida assolutamente non da poco! Ecco perché oggi bisogna insegnare per le competenze, e non solo per le conoscenze e per le abilità.

Vediamo ora che cosa si intende per conoscenza, per abilità e per competenza, avvalendoci anche delle indicazioni che ci vengono dalle ricerche e dalla copiosa documentazione che ci è offerta dall’Unione europea. Per conoscenza si intende l’insieme di dati e di informazioni che dalla nascita in poi ciascuno di noi acquisisce al fine di conoscere, riconoscere oggetti (la pappa), persone (la mamma), eventi (l’ora della pappa), principi (il mangiare è fondamentale), teorie (dal crudo al cotto), tecniche (accendere il fuoco per cuocere il cibo), regole e norme anche di comportamento sociale (obbedire agli ordini, difendersi dal nemico). Si tratta di fattori cognitivi e operativi che apprendiamo, comprendiamo, organizziamo ed archiviamo nella nostra memoria al fine di poterli utilizzare sia nella vita quotidiana che in attività di più ampio respiro. Si tratta di operazioni per le quali a volte è necessario adottare semplici procedure standardizzate (rientro in casa, prendo le chiavi, apro la porta e così via), ma anche affrontare situazioni in cui la procedura abituale è carente o si è rotta (rientro in casa, ma mi accorgo di avere perduto le chiavi: che fare?) per cui si deve affrontare e risolvere un problema.

Sono le conoscenze che aprono la porta al saper fare, quindi alle semplici abilità e alle più complesse competenze. Quando apro la porta di casa (riconosco la serratura e la chiave, so come si apre, apro), faccio una semplice operazione, do luogo ad una abilità manuale, supportata da una buona vista (però, se è notte e le luci delle scale sono spente, l’abilità visuale viene meno). E’ un’abilità manuale anche quella di formare un numero telefonico o di usare una posata; ovviamente, per noi usare le bacchette cinesi per mangiare gli spaghetti è un’abilità da acquisire. Anche l’uso della biro per prendere appunti o per scrivere un saggio è un’abilità manuale, ma in tali casi intervengono altri fattori. Prendere appunti richiede non solo una abilità auditiva, ma anche la scelta di cosa scrivere e cosa omettere: se poi il prendere appunti è finalizzato alla redazione di un verbale, si va oltre l’abilità scrittoria… ed è qui che si effettua il passaggio alla competenza.

Il chirurgo apre la porta di casa come la apre ciascuno di noi ma, quando la sua mano opera, l’abilità manuale si esprime in quanto competenza. Quante e quali conoscenze gli sono necessarie per effettuare l’intervento chirurgico? E in quale misura deve sapere interagire con l’équipe che lo assiste e lo aiuta? Analogo discorso vale per un pianista, per cui l’abilità manuale è specifica, ben diversa da chi il piano non sa suonarlo. Ed anche per un calciatore, per cui le abilità motorie, visive, auditive sono ben diverse e superiori rispetto a quelle cosiddette normali. Anch’io so tirare un calcio al pallone, ma solo il cucchiaio di Totti è micidiale! Insomma, una competenza richiede un uso particolare di date conoscenze e abilità, in quanto si opera in un ambiente di “lavoro” assolutamente specifico ed originale. Il che vale per il cuoco, come per l’avvocato, per il sarto come per l’architetto. Le abilità sono quindi atti concreti, necessari al fine della manifestazione di una competenza, atti concreti singoli che potremmo anche definire come segmenti che, coniugati intelligentemente insieme, danno luogo ad una competenza.

Per definire puntualmente una competenza, è bene rifarci a quanto indicato dalla Raccomandazione europea del 23 aprile 2008, che così si esprime: la competenza è “la capacità dimostrata da un soggetto di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Le competenze sono descritte (o meglio, vanno considerate, n.d.a.) in termini di autonomia e di responsabilità”. E’ fondamentale considerare due aspetti: a) la competenza non è affatto una operazione standardizzata, come alcuni pensano, cioè una serie di operazioni ripetitive e tutte eguali come, ad esempio, il far funzionare una macchina utensile; b) la competenza è valorizzata dall’apporto individuale del soggetto che opera, quindi dalla concorrenza delle sue attese, dei suoi atteggiamenti, delle sue motivazioni, del suo modo stesso di interpretare la competenza: basti l’esempio dei famosi tre tenori Carreras, Domingo e Pavarotti impegnanti in “Nessun dorma”: a ciascuno la sua voce e la sua interpretazione! Una felice riscrittura e una puntualizzazione del concetto di competenza sono state operate nei Piani di Studio della Provincia Autonoma di Trento, dove leggiamo: “Una competenza si manifesta quando un soggetto riesce ad attivare e coordinare conoscenze, abilità e disposizioni interne (come atteggiamenti, valori, motivazioni, ecc.) per affrontare, valorizzando se necessario anche opportune risorse esterne, una tipologia di compiti o problemi da inquadrare e risolvere”. Quindi una competenza non è mai ripetitiva perché, a seconda della situazione in cui opero e con chi opero, sono necessarie tutte le curvature e gli aggiustamenti del caso.

Di qui il fatto che la competenza implica sempre la ricaduta verso altri o il concorso con altri. Di qui i due concetti di autonomia e di responsabilità: il soggetto competente sa quello che fa, conosce i campi e i limiti della sua competenza (autonomia) e sa quali ricadute la sua azione competente ha nei confronti degli altri con cui opera o verso cui opera (responsabilità).

Per quanto riguarda le competenze che i nostri studenti sono tenuti a conseguire al termine del percorso scolastico obbligatorio decennale, il Miur ha emanato due documenti, uno con l’indicazione delle competenze di cittadinanza e delle competenze culturali pluridisciplinari aggregate in quattro assi (dm 139 del 22 agosto 2007), l’altro contenente il modello di certificazione che i consigli delle classi seconde degli istituti di secondo grado sono tenuti a compilare nei prossimi scrutini di giugno (dm 9 del 27 gennaio 2010). Va considerato che la scadenza di giugno soffre di un grave “vulnus”: il fatto che, a livello nazionale, non tutti i consigli di classe si sono preoccupati di progettare, fin dal mese di settembre 2007, percorsi curricolari che tenessero conto delle competenze da certificare al termine del biennio 2007/09. Lo stesso può dirsi per la progettazione dei successivi bienni, 2008/10 e 2009/11. Ciò significa che le prossime certificazioni di giugno saranno effettuate in larga misura sulla base di esiti non programmati. Il che, ovviamente, non dovrà più avvenire né per la certificazione di giugno 2012 né per quella del 2013: per quella del 2012 si può programmare dal prossimo mese di settembre nelle seconde classi; per quella del 2013 si programmerà fin dal prossimo settembre, per la prima e la seconda classe. In conclusione, potremmo dire che, in effetti, l’operazione certificazione delle competenze dell’obbligo entrerà a regime secondo le consuete procedure programmatorie solo a partire dalla certificazione del giugno 2013.

Tuttavia, anche considerando questi limiti temporali, possiamo e dobbiamo farci carico sia della certificazione di giugno che delle attività programmatorie di settembre. Per quanto riguarda la certificazione, valgano le seguenti considerazioni. Occorre distinguere che: a) un conto è valutare uno studente ai fini della promozione al terzo anno dell’istituzione in cui è iscritto e nella quale intende proseguire il percorso di studi da lui scelto; b) altro conto è certificare se il medesimo studente ha conseguito quelle competenze civiche e culturali essenziali che sono necessarie ai fini del suo accesso nel sociale. In effetti dovremmo distinguere lo studente dal cittadino: potremmo avere uno studente con alcune lacune in date materie, importanti e determinanti ai fini del proseguimento degli studi intrapresi, ma non determinanti ai fini di quelle competenze essenziali che gli consentano di accedere nell’attuale società e di potervi partecipare in quanto cittadino. Ad esempio, il nostro studente potrà raggiungere voti bassissimi in latino e greco, ma potrebbe avere raggiunto un buon livello per le competenze relative all’asse dei linguaggi: lingua italiana e lingua straniera. Al limite, potrebbe avere conseguito un debito in matematica per quello specifico corso di studi, ma avere conseguito le competenze previste per l’asse matematico.

Per ciascun raggruppamento delle competenze raggiunte va indicato uno dei tre livelli, di base, intermedio e avanzato. E’ anche previsto che il livello di base per specifiche competenze non sia stato raggiunto. Va tenuto conto di queste considerazioni perché l’indicazione ministeriale, secondo cui “le schede riportano l’attribuzione dei livelli raggiunti, da individuare in coerenza con la valutazione finale degli apprendimenti espressa in decimi, secondo quanto previsto dal Dpr 122/2009, artt. 4, 5 e 8”, va assunta con molta ponderazione. Non è detto che debba esserci una diretta equivalenza o continuità tra i risultati raggiunti dal nostro alunno in quanto studente (i voti relativi alle singole discipline) e in quanto cittadino (le competenze relative agli assi). Pertanto, spetta al consiglio di classe agire di conseguenza e, ovviamente, verbalizzare con estrema cura le ragioni delle scelte effettuate.

Per quanto riguarda la programmazione che avrà luogo a settembre, è importante tener conto delle indicazioni di cui al dm 139/07 e di quelle delle Indicazioni nazionali, se si opera nei licei, o delle Linee guida, se si opera negli istituti tecnici e professionali. Va considerato che, mentre nelle Linee guida le competenze terminali dei bienni, di cui al dm 139/07, sono puntualmente riportate e curvate alle esigenze culturali e didattiche dei singoli percorsi biennali, nelle Indicazioni nazionali il richiamo alle competenze di fine obbligo è sempre molto sfumato. Vengono, comunque, in soccorso le indicazioni circa i risultati di apprendimento terminali, comuni a tutti percorsi liceali, di cui all’allegato A del Regolamento (dpr 89/10), in cui si insiste su alcuni obiettivi descritti e distinti secondo cinque aree: 1) metodologica; 2) logico-argomentativa; 3) linguistica e comunicativa; 4) storico-umanistica; 5) scientifica, matematica e tecnologica.

Sarà opportuno che i dipartimenti diano indicazioni ai singoli consigli di classe su come operare in modo da tracciare percorsi largamente pluridisciplinari nei quali si individuino obiettivi terminali di quinquennio all’interno dei quali recuperare le competenze terminali del biennio obbligatorio. Ovviamente, non sarà un’operazione facile, perché un conto è operare nei confronti di uno studente, per cui è previsto un quinquennio di attività di insegnamento/apprendimento finalizzate ad un diploma che consente in primo luogo l’accesso a studi ulteriori, altro conto è operare nei confronti di un cittadino che al termine del biennio è tenuto a conseguire competenze di cittadinanza e competenze culturali essenziali ad accedere e ad operare nell’attuale contesto sociale. Si tratterà, comunque, di casi estremi, in quanto è augurabile che per ciascun alunno/persona lo studente e il cittadino costituiscano pur sempre un’identità inscindibile.

Un ulteriore spunto di riflessione è il seguente. La certificazione finale di biennio non è l’esito di una prova (non esiste una situazione di esame!), ma di prove continue sollecitate, osservate e valutate nel corso dell’intero biennio grazie ad una serie di indicatori e descrittori che i docenti avranno adottato all’inizio del biennio stesso, anche in ordine agli esiti documentati da parte della scuola media e delle rilevazioni effettuate in sede di valutazione iniziale.

Maurizio Tiriticco

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