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Assunzione di responsabilità, di rispetto e di socialità nel lavoro scolastico

Pubblicato il: 12/07/2023 03:57:25 -


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Purtroppo la scuola occupa i notiziari radio-televisivi e le cronache giornalistiche in occasione di violenze entro le aule. Questo sembra caratterizzare quanto accaduto nel corso dell’ultimo anno scolastico, aggressioni contro docenti e utilizzo di reti social per documentare e socializzare, attraverso  piattaforme “amiche”, quanto è accaduto in classe. Fatti gravi in cui due “comportamenti” appaiono pericolosamente accostati: l’aggressione a una persona, che lavora, che esercita  una funzione istituzionale pubblica, e l’ autocelebrazione dell’aggressore , come individuo e come gruppo, attraverso canali social dedicati. 

Violenza, autoaffermazione, protagonismo, necessità di mostrarsi “capaci di….”? Bullismo è il termine che viene ormai usato per descrivere e definire situazioni spesso diverse, mettendo insieme disagi, patologie e molto di più, un termine che andrebbe invece affrontato in modo specifico e selettivo, per consentire interventi necessari, sicuramente non facili, ma che competono alla responsabilità di una società adulta, capace di educare. 

Se si riflette su quanto si è appreso sulla vicenda dell’istituto di secondaria superiore di Rovigo, in cui a ottobre si è verificata l’aggressione, e poi, alla conclusione dell’anno scolastico, l’intervento degli ispettori del ministero, la modifica della decisione del consiglio di classe circa i voti di condotta degli autori dell’aggressione,  appare evidente  che la grande assente in tutta la vicenda  è la specificità del ruolo della scuola, in cui l’aggredita lavora e gli aggressori studiano. 

Emerge una  sorta di reticenza generale, che cerca di dare conto della esecuzione degli adempimenti burocratici dovuti, piuttosto che saper  affrontare un momento difficile in cui, proprio la scuola,  dovrebbe  viversi ed esprimersi come  luogo in cui, umanità, responsabilità  e rispetto verso se stessi e verso gli altri, sono  il centro, l’ispirazione di un lavoro culturale per formare cittadini e cittadine consapevoli di ruoli, funzioni, doveri e diritti in  una società complessa, com’è la nostra. Fermandosi a quanto si legge sui giornali, emergono alcune reazioni su cui, senza formulare giudizi affrettati, vale forse la pena di riflettere.

Gli studenti sono stati sospesi e successivamente sanzionati dal voto di condotta nel primo quadrimestre.

La scuola avrebbe spostato la docente colpita in una sezione diversa da quella in cui i fatti si sono svolti. Eccesso di cautela onde evitare ulteriori problemi oppure riproposizione della consueta prassi della rimozione del problema?  In che modo si poteva  seguire i giovani che avevano espresso in modo violento il loro  disagio? Quanto ha giocato il  bisogno di protagonismo, la   necessità di mostrare il proprio ego, la ricerca di pubblicità e consenso? 

Gli  studenti pare fossero del primo anno di secondaria superiore, quindi appena usciti da quella minorità che, fino a 14 anni, attribuisce alla scuola un compito di vigilanza specifica. Che cosa è stato previsto al loro rientro dopo la sospensione? Come è stato organizzato, rielaborato l’impatto con la secondaria superiore nei primi mesi di frequenza nella nuova scuola?

Come è stata affrontata la vicenda da tutto il gruppo, docenti e personale, che lavorano nella  stessa scuola? Non si tratta di domande superflue, ma di questioni che fatti così gravi pongono alla scuola nel suo complesso e che dovrebbero essere oggetto di discussioni, riflessioni “dentro” le scuole, che sicuramente non per fatti così estremi, si trovano  comunque a fronteggiare questioni, che non vanno sottovalutate.

Pensiamo che qualche lezione di educazione alla cittadinanza per gli studenti e qualche seminario sul bullismo per i docenti possano essere risolutivi?  

Dai giornali si apprende che sono stati avviati i consueti iter giudiziari, con i relativi scontri a distanza tra testimonianze e querele, la presenza protettiva e difensiva delle famiglie, il senso di sottovalutazione, da parte di queste, della gravità dell’accaduto, l’isolamento dell’aggredita. E la comunità scolastica? Determina un certo stupore alla conclusione dell’anno scolastico, dapprima, la soluzione assolutoria, quasi premiante, della attribuzione di valutazioni più che sufficienti in “condotta”, poi l’intervento del Ministero che, riscontrata la non applicazione delle norme vigenti,  manda l’ispezione, riconvoca il consiglio di classe, che prende atto di non aver applicato correttamente le norme, ridimensiona la valutazione relativa al comportamento, ripubblica i risultati dello scrutinio e … tutto a posto. Niente di nuovo, una prassi carica di prudenza burocratica, attenta alle forme necessarie per coprire e coprirsi le spalle, mentre la parola passa all’attività giudiziaria. 

Intanto si rispolverano le consuete  lamentele sul lassismo di una scuola rovinata dal ’68, si rianima un dibattito sulla valutazione del comportamento,  il ministro annuncia misure adeguatamente severe per garantire “istruzione e merito” alla scuola. Una misera conclusione, triste e mortificante per le tante persone, studenti, docenti e personale, che nella scuola si impegnano, affrontano problemi inediti, questioni nuove nel rapporto tra generazioni che non trovano più parole comuni, ma faticosamente creano nuovi linguaggi e modelli di solidale e civile convivenza per non ridurre ruoli e funzioni educative alle “ore” regolamentari di lezioni dedicate, che al di là di belle frasi, lasciano il tempo che trovano,  e  non credono a punizioni esemplari, rigorosamente erogate come lavoro socialmente utile fuori della scuola, così come lascia intravedere  il ministro.

Vittoria Gallina

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