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Il lifelong learning: una trasformazione esistenziale

Pubblicato il: 31/08/2009 16:33:01 -


La formazione professionale dell’adulto non degrada in addestramento quando si proponga come vero e proprio processo di trasformazione personale.
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Una nuova idea di competenza – In questa prospettiva è necessario articolare un compiuto sistema di competenze per la formazione, proponibile anche come punto di riferimento per l’intero sistema di istruzione scolastica ed universitaria (1).

Un possibile modello:
• competenze di realizzazione, come attenzione alla propensione all’innovazione, alla qualità, al cambiamento, alla fiducia in se stessi;
• competenze socio-relazionali, come attenzione alla capacità di comunicare, di lavorare in team, di relazionarsi con contesti diversi e plurali;
• competenze cognitive, come capacità di: a) padroneggiare i metodi di costruzione autonoma e personalizzata delle conoscenze; b) proiettare le proprie conoscenze nelle diverse realtà (professionali, culturali, sociali) per interpretarle e trasformarle, anche immaginando scenari futuri; c) integrare le nuove conoscenze nelle reti concettuali già possedute, procedendo ai necessari assestamenti (2).

L’idea di “competenza” operante in queste definizioni è quella di “competenza/padronanza” come rete complessa di schemi mentali che ciascun individuo è in grado continuamente di ripercorrere e ricostruire, mettendoli consapevolmente in atto per utilizzare in modo efficace, nelle diverse situazioni di vita e di lavoro, le risorse personali e dell’ambiente (3).

Questo primo passo essenziale per prevenire il degrado della formazione adulta in addestramento è proprio il superamento, anche in ambito lavorativo, dell’idea della competenza come semplice “saper fare” e l’attenta analisi dei bisogni e delle pratiche professionali, interessate dai progetti formativi, in vista della costruzione di “una testa ben fatta” (4).

La gestione delle dissonanze per la qualità dei percorsi formativi – Solo a queste condizioni è possibile pensare ad adulti in grado di patrimonializzare in modo produttivo i diversi percorsi di formazione permanente e ricorsiva. Senza queste premesse, infatti, gli stessi percorsi formativi, correrebbero il rischio di cadere nel vuoto e di non dare i risultati necessari. Si aprirebbero dissonanze cognitive ed emotive – le differenze tra quanto si sa e quanto si dovrebbe sapere, tra ciò che si è e ciò che viene chiesto di diventare, necessarie in ogni processo di apprendimento – così ampie da diventare non governabili e dar luogo, nel migliore dei casi, ad apprendimenti superficiali e non significativi, solo addestrativi, e, nel peggiore dei casi, al rifiuto dell’apprendimento stesso (5).

Apprendere è, soprattutto per l’adulto, esperienza tutt’altro che facile. Anzi, spesso difficile e dolorosa, soprattutto se percepita come possibile testimonianza di fragilità della propria condizione di lavoro (6).

Schematizziamo un percorso di formazione adulta:
• la dissonanza che pone un “dilemma disorientante”,
• l’autoesame, che dà origine a sensi di colpa o di vergogna,
• una valutazione critica dei propri assunti epistemologici, socioculturali o psicologici,
• la scoperta che la propria scontentezza e il proprio processo di trasformazione sono comuni, e che altri hanno già vissuto un cambiamento analogo,
• l’esplorazione delle opzioni che prospettano nuovi ruoli, nuove relazioni e nuove azioni,
• la pianificazione di un progetto d’azione,
• l’acquisizione di conoscenze e competenze utili all’implementazione dei propri piani,
• la sperimentazione provvisoria di nuovi ruoli,
• la familiarizzazione con i nuovi ruoli e con le nuove relazioni,
• una ristrutturazione della propria vita, sulla base delle condizioni imposte dalla nuova prospettiva” (7).

La formazione in un adulto è un vero e proprio percorso di trasformazione, tanto più difficile perché nella realtà non è un atto di libertà, come è ipotizzato nel nostro schema, che lascia spazio all’esplorazione e alla pianificazione personali, ma si presenta come imposizione esterna, derivante da processi di “razionalizzazione” del lavoro.

È in questa prospettiva che si impone un concetto di formazione semplicemente “addestrativa”. Questa finisce così per comprendere tutti quei percorsi formativi finalizzati all’apprendimento come mero accrescimento estrinseco del portfolio personale di conoscenze e competenze, per quanto ampie e complesse, che però non si integrano nella rete già esistente di conoscenze e competenze, non ne comportano una rielaborazione, non incontrano il profondo progetto di vita, non le rendono significative. Tutto ciò con una sensibile ricaduta negativa sull’efficacia e sulla solidità della stessa formazione (8), perché lontani dai bisogni di “una testa ben fatta”, che dovrebbe essere dotata della competenza di realizzazione, intesa come disponibilità al cambiamento, fiducia in se stessi e nei propri progetti di vita.

La docenza come team – La formazione, e non l’addestramento, degli adulti non può essere affidata solo alla funzione docente, classicamente intesa, del resto insufficiente anche nella scuola; deve piuttosto essere il luogo di funzioni e professionalità integrate, impegnate ad accompagnare, sostenere, ascoltare l’adulto in formazione, nei suoi dubbi, nelle sue speranze, nelle sue fragilità, cognitive ed emotive con lo scopo di rendere l’adulto protagonista del proprio percorso di formazione.

Vale la pena indicare queste figure che dovrebbero operare nei percorsi della formazione adulta: il coach, il mentor, il tutor e il counselor.

il coach: a) referente diretto della persona in formazione; b) ha capacità gestionali, conoscenze tecnico-specialistiche, sa “fare squadra”; c) sa sviluppare le competenze del collaboratore, facendogli capire che esse saranno accolte e valorizzate quotidianamente dal proprio “capo”;

il mentor: a) collega più esperto; b) ha un’esperienza approfondita ed elaborata del proprio mestiere e della cultura organizzativa in cui opera, c) sa costruire con la persona in formazione – normalmente un neo-assunto – un rapporto a due vie continuativo, all’interno del quale trasmettere non solo la propria competenza, ma anche le chiavi interpretative della cultura aziendale, facilitando una integrazione attiva e critica

il tutor: a) non ha relazione diretta, all’interno dell’organizzazione, con la persona in apprendimento; b) agisce indirettamente sul processo di apprendimento, perché coordina gli altri attori del percorso formativo

il counselor: sviluppa una relazione d’aiuto personalizzato, sostiene la riflessione sul progetto di vita e sulle decisioni (9).

Note:
(1) U. MARGIOTTA, L’insegnante di qualità e il dibattito nazionale sulla qualità del sistema scolastico, in U. MARGIOTTA (a cura), L’insegnante di qualità. Valutazione e Performance, Armando Editore, Roma 1999, p. 31
(2) Rielaboro qui lo schema proposto in F. CIVELLI, D. MANARA, Lavorare con le competenze. Riconoscerle, gestirle, valorizzarle. Guerini e Associati, Milano 2002, p. 69-70. Per questa definizione di competenza e per una sua più ampia tematizzazione rinvio a E. BASTIANON, L. PASSADOR, Per una didattica della padronanza, in “Formazione & Insegnamento”, n° 1, 2005, pp. 79-94
(3) M. PELLEREY, Le competenze individuali e il Portfolio, La Nuova Italia, Milano 2004, p. 46-48; E. AUTERI, Management delle risorse umane. Fondamenti professionali. Guerini e Associati, Milano 1998, p. 155;
(4) G.P. QUAGLINO, G.P. CARROZZI, Il processo di formazione. Dall’analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, Franco Angeli, Milano 2002, p. 72-77; C. ZIGLIO Una scuola di pensiero: l’approccio etnografico ai contesti professionali, in C. ZIGLIO (a cura), Etnografia delle professioni. Il caso della polizia di stato, Armando Editore, Roma 2000, p. 17-34; E. MORIN, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffello Cortina Editore, Milano 2000, pp. 15-22
(5) M. BRUSCAGLIONI, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli, Milano 1997, p. 46-47; 65 ss.
(6) M. BRUSCAGLIONI, La gestione dei processi nella formazione degli adulti cit. p. 51; G.P. QUAGLINO, La vita organizzativa. Difese, collusioni e ostilità nelle relazioni di lavoro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004 p. 120 ss.
(7) Rielaboro in alcuni particolari J. MEZIROW.
(8) Si tratta della formazione che Fabre definisce “tecnica” , sul modello dell’agire dell’artigiano che realizza un qualsiasi oggetto come sua causa efficiente esterna all’oggetto stesso. M. FABRE, Epistemologia della formazione, CLUEB, 1999, P. 127 ss. Sull’ apprendimento significativo rinvio alle ricerche di Ausubel (D.P. AUSUBEL, Educazione e processi cognitivi, Milano) e Pontecorvo (C. PONTECORVO, Concettualizzazione e insegnamento, Torino)
(9) Per questi brevi ritratti, rinvio a M. REGGIANI, Coaching, mentoring e dintorni: i mille percorsi dell’apprendimento, in P. L. AMIETTA, I luoghi dell’apprendimento. Metodi, strumenti e casi di eccellenza delle nuove formazioni, Franco Angeli, Milano 2000, p. 251-309; U. MARGIOTTA, La tutorship come assistenza tecnica e metodologica ai processi di formazione, in R. DI NUBILA, La formazione oltre l’aula: lo stage. L’organizzazione e la gestione delle esperienze di tirocinio in azienda e in altri contesti, CEDAM, Padova 1999, p. 143; U. GALIMBERTI, Dizionario di psicologia, UTET, Torino 1992, p. 218

Eugenio Bastianon

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