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Il narcisismo della Rete

Pubblicato il: 08/03/2010 15:20:25 -


L’importanza del coinvolgimento attivo e partecipativo nello spostare l’attenzione dal concetto di classe verso quello di laboratorio, per la valorizzazione di conoscenze e competenze, e la formazione di un cittadino attivo capace di conoscere e leggere la realtà, attraverso la partecipazione alle comunità online e la collaborazione condivisa.
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Nel corso della nostra vita di relazione, a volte poniamo come unico orizzonte ai percorsi della nostra mente solo quello del nostro Io, e concetti come autodeterminazione, autenticità, essere se stessi, stanno semplicemente a significare che l’unico spazio disponibile all’esercizio della libertà che ci viene concesso è quello dalla cultura del narcisismo che, in questa particolare forma, non può essere assimilato a una nevrosi derivante da un’interruzione dello sviluppo psichico, come riteneva Freud da un punto di vista medico e genetico, ma alla condizione in cui viene a trovarsi ogni individuo a cui è sottratto qualsiasi orizzonte di senso che trascenda i limiti del proprio Io. La libertà non è una elargizione, ma l’esercizio di responsabilità in ogni atto, e definisce la nostra identità quando impostiamo relazioni consapevoli, in cui un’azione è libera nella misura in cui trasformiamo il nostro mondo e noi stessi senza aver paura della negoziazione, in un processo con cui si confrontano, definendosi a vicenda, valori contrapposti e da cui emerge un contesto che li integra.

Possiamo dunque legittimamente porci la domanda se può il narcisismo digitale, che innegabilmente esiste e, forse, addirittura abbonda nel Web 2.0, aiutarci, anziché limitarci, a costruire nuovi orizzonti di senso, grazie anche a specifiche modalità pratiche come la condivisione e la collaborazione, e se questo aspetto può costituire una leva positiva per migliorare sia lo status individuale che collettivo. È proprio la componente autopoietica del narcisismo che rappresenta il veicolo espressivo per l’esternazione di ciò che si è sedimentato in noi e nella nostra mente, e che viene percepita come filtro del reale, a partire dalla nostra esperienza soggettiva, nell’organizzazione della propria struttura mentale e relazioni. Questa esibizione di sé appare anche permeata da un deciso significato donativo che rappresenta, a volte anche a costo di una qualche forma di sofferenza, la volontà di superare i limiti identitari dell’esternazione di sé, e nasce dal desiderio di esprimersi e condividersi.

Questo atteggiamento di dinamismo affettivo, che la Rete indubbiamente facilita, costituisce effettivamente un elemento catalizzatore che, mettendo in relazione collaborativa gli individui, può aiutarci a costruire un orizzonte di senso condiviso, realizzando anche interazioni su attività concrete. Quello della collaborazione è dunque il concetto chiave, nella possibilità di superare ulteriormente i limiti fisici del nostro Io e di ogni vincolo solipsistico e narcisistico, interlacciando le relazioni personali e mescolandole fino alla costruzione di un campo mentale condiviso, come accade di solito in tutti gli insiemi di gruppo. La Rete stessa è un grande ambiente gruppale, sospeso tra l’esternazione e la collaborazione, sotteso a un medium digitale sociale in continua e, forse troppo, rapida evoluzione, tramite il quale tende appunto ad assumere quelle caratteristiche di un campo mentale reale e non solo virtuale, in continuo divenire, nel quale rappresentiamo ognuno un atteggiamento precursivo di qualcosa che tuttavia diventa vecchio a ogni battito d’ala.

Nella Rete c’è qualcosa che ci spinge ad agire donativamente, nonostante il caos, le diffidenze e le difficoltà indotte dalla CMC, esponendoci agli altri a volte anche più di quanto faremmo in una situazione di incontro fisico di gruppo, oltrepassando a volte anche i limiti imposti dal rispetto della privacy, nel tentativo di uscire dall’isolamento e trovare nella gruppalità digitale un confronto e una forma di colloquio in cui anche la riservatezza può essere sacrificata al desiderio di rappresentarsi, nella definizione di uno status in cui non si è solo, anonimamente, di passaggio. In questo sforzo collettivo di esternazione autopoietica e di rappresentazione, nella ricerca del passaggio da una somma di singole visioni narcisistiche a uno stato di concreta collaborazione, si pone risolutivamente il problema dell’autenticità come unica dimensione che può rendere condivisibile il fertile campo delle comunicazioni e delle interazioni, e che ci invita a riflettere sul fatto che l’autenticità esiste solo se è esternata e partecipata. In Rete a volte assistiamo a comportamenti in cui si cerca di affermare la propria idea e farne sfoggio, reiterandola continuativamente sugli stessi soggetti quasi a rinforzare le fondamenta di quanto si va sostenendo. In questa attività di imposizione il confronto ci può aiutare a essere meno monolitici, a mettere talvolta in discussione un’idea e, se sottoposti a una critica costruttiva, anche ad ampliare gli orizzonti dei possibili scenari. Parlare con persone che non conosciamo non è facile, ma piano piano possiamo riuscire ad acquisire un senso di familiarità anche con gli estranei. È un lavoro di costruzione lento e progressivo, e richiede grande pazienza e abilità nell’ascoltare. Ognuno è libero di decidere quale parte di sé sia cedibile in una discussione di gruppo, considerando anche il rischio che le informazioni che condividiamo possono essere osservate dagli altri. È difficile che una persona riveli il suo nucleo più intimo in una relazione estemporanea e casuale, pur tuttavia qualche eccezione è possibile anche in Rete, così come nella vita reale.

Riuscire a proporsi in piena autenticità significa superare i limiti della nostra identità visibile, significa proporre qualcosa di intimo e fortemente emotivo, che proviene dal nucleo stesso del nostro più profondo essere, che si trova spesso ben nascosto e protetto nel centro affettivo e vitale di noi stessi. Ciò che invece più spesso accade nella comunicazione è solo il reiterativo proporre tracce più o meno cristallizzate del nostro Io, nel tentativo narcisistico negativo di seduzione, frammettendo pezzi di corazza a copertura della nostra propriocezione, riaffermando una confortante identificazione e rassicurandoci nello specchiarsi negli altri. L’impulso a comunicare il nostro intimo in piena autenticità si basa invece su uno sforzo di esternazione più partecipativo, cioè su una componente narcisistica positiva che ci induce a uscire da limiti protezionistici e conservativi nel superare le identità esteriori, e a proporsi sinceramente veri, disposti anche a perdere la faccia, pur di raggiungere il cuore degli altri. Possiamo quindi provare a depurare il termine narcisismo della sua comune connotazione negativa per determinare se esiste realmente anche un narcisismo positivo, che non distrugge, ma costruisce, spesso in sinergia con altri analoghi narcisismi. Pensando al narcisismo, non si può comunque non sottolineare nuovamente la sua appartenenza alla sfera dell’affettività e, dunque all’ineluttabilità del fatto che, come in ogni relazione di vicinanza, le persone, che sono comunque portatrici d’amore, arrivino a viverlo con un vissuto denso di doni e ferite, con una capacità di elaborazione più o meno consapevole. La Rete, anche, e forse proprio, in assenza di contatto fisico, favorisce spesso sia una comunicazione più autentica e più immediata, ovvero non più mediata dal controllo o dal bisogno di esibire il proprio pensiero e lasciare un segno di sé, sia nel senso di un proporsi pieno di desiderio di contatto virtuale come avviene nei new media. Il vero concetto di virtuale si ritrova proprio nelle rappresentazioni della realtà, fisica o digitale che sia, che entrano in risonanza, nella profondità della nostra mente, nel momento stesso del contatto interattivo con altre menti. La Rete favorisce dunque nuove modalità, spesso più autentiche, di proporre la complessità della parte più vera e profonda della nostra identità, e ci indica la strada verso un nuovo concetto di identità, così come ci indica un’altra prospettiva attraverso la quale concepire il concetto di società. È indubbio che il potere disinibitorio della CMC e la sociologia dei new media, offrono molteplici spunti per iniziare l’osservazione di quello che da più parti è stato definito il mondo virtuale, perché il web apre le porte alle multi-identità così come, allo stesso momento, apre a nuovi modi di condividere la conoscenza, le opinioni, le idee, la cultura. Esiste dunque un narcisismo che è certezza della propria identità, che si afferma costruendo senso e relazione, che si oppone al conformismo del pensiero omologato e indotto. Empatia, narcisismo positivo, rivalutazione dei rapporti umani senza tornaconto, sono dunque concetti che esprimono più che abbastanza un gradiente di motivazioni che possono spingere a relazionare in, e con la, Rete proprio per le opportunità di scambio culturale e umano che essa stessa è in grado di offrire.

Quando si affronta il tema della comunicazione circolare nei gruppi, quasi a voler rappresentare in forma metaforica la possibilità di superare le caratteristiche negative del narcisismo (la cui prevalenza tende normalmente a determinare la comunicazione entro confini ristretti e prefissati), nonché quelle caratteristiche positive dell’esternazione personale che permettono invece il costituirsi di un campo mentale condiviso fertile e trasformativo, possiamo prendere a riferimento quel gioco infantile, oggi un pò caduto nell’oblio ma presente in molte società, in cui si utilizza un pezzo di spago lungo circa mezzo metro chiudendolo ad anello tra le dita aperte delle due mani, e facendogli comporre una figura che sembra l’intreccio di una culla. Una persona davanti a noi prende l’intreccio creato, infilando le sue dita in alcuni precisi punti, e muove le mani, allargandole, fino a formare una nuova figura. Altre persone partecipano al gioco finché si riescono a realizzare nuovi intrecci. L’esempio rende bene l’idea di quanto ognuno di noi può riuscire a essere propositivo nell’ambito di un gruppo, offrendo agli altri il proprio punto di vista, che origina dal tentativo di dare forma ai propri pensieri, alle proprie visioni della realtà progettuale, esibendo, in modo narcisistico positivo, la forma stessa creata, ma nello stesso momento proponendola agli altri non come un risultato statico e immodificabile, ma invece come un gesto donativo di stimolo, verso il quale ognuno potrà poi, a sua volta, proporre il proprio contributo verso un’ulteriore trasformazione, in un continuo rinnovamento di potenziali rappresentazioni, realizzate quindi in modalità collaborativa, e che non assumono mai la forma del risultato esclusivo di un singolo, ma solo lo spostamento in avanti del limite, desiderabile e raggiungibile, mediante la condivisione delle idee, fino al formarsi di una prospettiva comune.

Gianni Panconesi

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