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Contro la testualità stealth

Pubblicato il: 08/07/2009 13:00:00 -


Esistono inafferrabili polisemie che fanno somigliare la comunicazione visiva contemporanea agli aerei stealth, irrintracciabili dai radar. Per questo c'è bisogno di una vera educazione visiva.
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Ho saputo che – grazie a un piccolo software – si possono cercare in rete l’mp3, l’autore, il titolo e la copertina di quasi qualunque brano “ascoltato” dal microfono di un iPhone. Questo è il primo caso di cui io sappia (il che relativizza parecchio la cosa) in cui l’effettuazione di una ricerca online non avviene per via alfanumerica.

Ovviamente la strada del riconoscimento e dell’indicizzazione di linguaggi non-verbali statici come le arti plastiche o fotografiche, è ancora lunga e tortuosa, se non impossibile, stanti le tecnologie allo stato in cui sono. Intendo dire che, nel caso sopra riportato, all’acriticità del mezzo tecnico si contrappone solo la sua performance nel riconoscere una sequenza-campione svolta lungo l’asse temporale naturale. E a sorprenderci è il fatto che lo si possa fare in tempo reale, su una base di dati globalizzata.

Nel caso delle arti visive statiche, invece, l’asse temporale di esplorazione del campione è istituito dalla prassi analitica dell’esperto che, per così dire, segue percorsi diversi attraverso il proprio testo alla ricerca dei segni che lo articolano in discorso, per polisemico che sia. Allo stesso tempo, però, tale tipo di analisi provvede a una prima indicizzazione del testo visivo che, nel suo autocontenimento temporale se non spaziale, non offrirebbe appigli autoevidenti alla discretezza. Facendo ciò, l’analisi evidenzia nel testo visivo le valenze di prova storica, gli appigli documentali che offre o che richiede, il suo valore di testimonianza e la sua aderenza ai presupposti ipotetici cui l’analisi stessa la sottopone. E, come in ogni prassi euristica, se non ci piacciono le risposte possiamo provare a cambiare domanda, suonando la corda dell’opera con un’arcata inversa.

Tutta questa attività di ordine critico – benché di base metodologica storica – istituisce anche un primo provvisorio canovaccio del filo logico col quale l’opera verrà restituita da un nuovo testo storico-critico, spesso verbale o multimediale ma comunque sintetico, che la porterà all’attenzione di quanti non l’abbiano studiata.

Questa verbosa descrizione di presupposti ovvi non esaurisce solo buona parte dello spazio a disposizione, ma tenta di esibire con una qualche efficacia l’impossibilità di ridurre la preparazione dei nostri allievi ai saperi, alle competenze e alle capacità di natura, ordine e logica verbali, testuali e temporali. Quando il testo non si muova da solo, ai nostri ragazzi sta progressivamente diventando impossibile animarlo ed animarvisi dentro. L’educazione specifica alla comprensione delle varie grammatiche di simili linguaggi non è più un’opzione. Viviamo, e i nostri ragazzi sempre più vivranno, in un mondo dove ogni emittente articola sempre più sottilmente la propria agenda, i propri valori o disvalori e il proprio immaginario direttamente in forme iconiche. Queste sono, poi, ibridate con segni delle più svariate provenienze e dalle inafferrabili polisemie, finendo per far somigliare la comunicazione visiva contemporanea agli aerei stealth irrintracciabili dai radar.

Ecco perché hanno bisogno di educazione visiva: perché in loro siano sollecitati un moto analitico, una capacità tracciante, che identifichino e risistemino la comunicazione visiva del XXI secolo entro un reticolo dinamico di connessioni mediali, testuali e contestuali. Traendo un senso più profondo e consapevole da quelli che spesso non sono che detonatori di comportamenti acritici: e commerciali, e politici.

Augusto Pieroni

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