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Classi ghetto e classi d’élite

Pubblicato il: 05/10/2010 12:22:00 -


A chi crede che le classi differenziali siano definitivamente tramontate viene rivolto l’invito a guardare se, nella scuola italiana di massa, non esista traccia di una selezione sociale che crea ancora differenze e distanze.
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Prima della storica riforma della scuola media unica attuata dal quarto governo Fanfani nel 1962 in Italia erano configurati due percorsi di studio distinti alla fine delle scuole elementari, l’avviamento professionale e il preginnasio. Il primo iter portava gli alunni verso gli istituti professionali o tecnici mentre il secondo percorso permetteva allo studente la scelta del liceo e dell’università. Va da sé che esistesse una fortissima discriminazione di classe nella scelta dei due percorsi.

La legge 1859 costituì una svolta storica e fu emanata poco dopo l’arrivo del centro sinistra al governo. (È di quell’epoca la storica frase di Pietro Nenni: “Sono finalmente entrato nella stanza dei bottoni, ma i bottoni non li ho trovati”). La riforma infatti portava una serie di novità di non poco conto: l’obbligo scolastico fu portato a quattordici anni (gratuitamente) e fu garantito l’accesso ai licei a tutti. Il governo Fanfani ebbe dunque il merito di trasformare la scuola italiana in scuola di massa.

I primi anni della riforma furono molto difficili, l’analfabetismo riguardava ancora il 10% circa della popolazione e le differenze culturali tra borghesia urbana, borghesia agraria, proletariato e famiglie contadine erano così profonde da spingere il legislatore a istituire classi differenziali e di aggiornamento per gli alunni con un processo di apprendimento particolarmente lento. Inoltre mancavano bravi insegnanti. L’istituzione della nuova scuola unica comportava una domanda di professori piuttosto difficile da soddisfare con il conseguente abbassamento degli standard qualitativi nelle politiche di reclutamento del corpo docente.

La nuova normativa auspicava una progressiva integrazione sociale tra alunni provenienti da classi sociali diverse, integrazione definitivamente sancita con la legge 517/1977 che abolì definitivamente le classi differenziali. I figli dei contadini, dei medici e degli operai dovevano stare nella stessa aula. A distanza di anni bisogna ammettere che tale auspicio è rimasto in parte inattuato, nella pratica le differenze sociali si sono trasferite all’interno delle singole istituzioni con una divisione netta tra classi d’élite e classi ghetto.

Nel mese di settembre o anche prima, i genitori più esigenti e più attenti scatenano un piccola battaglia per inserire il proprio figlio nella classe dove lavorano i professori più bravi determinando di fatto all’interno della scuola l’antica divisione di un tempo tra preginnasio e avviamento professionale.

Gli sforzi dei dirigenti per difendersi da questo attacco di inizio anno scolastico sono nella maggior parte dei casi vani; la possibilità di scegliere un’altra scuola, il timore di perdere iscrizioni, la forza di persuasione di questi genitori d’assalto (spesso ci si richiama a raccomandazioni di poteri forti, amici assessori e quant’altro) determina quasi sempre la bandiera bianca da parte della scuola.

Questo stato di cose che, è bene ripeterlo, si riscontra in quasi tutte le scuole, genera alcuni fenomeni che è interessante approfondire.

l consolidamento dell’abitudine penosa di considerare le attività teoriche di gran lunga superiori a quelle manuali e pratiche e le discipline umanistiche più nobili di quelle tecniche. La consuetudine generalizzata si concretizza nel famoso Consiglio Orientativo che accompagna il titolo di studio finale di licenza media. I ragazzi valutati dal sette in su sono in genere indirizzati verso i licei, la sufficienza piena verso gli istituti tecnici e i promossi per beneficenza ricevono il classico consiglio di continuare gli studi all’Istituto professionale. In pratica la scuola media unica ripristina nei fatti la divisione precedente alla riforma del 1962 e reprime i reiterati tentativi operati nel corso degli anni di recuperare a pieno titolo la dignità degli studi tecnici e professionali anche per le classi sociali più abbienti.

Due tipi di valutazione diversi.

Un altro dei fenomeni molto interessanti determinato da questo stato di cose è il diverso metodo di studio utilizzato nelle classi a prevalente conformazione “borghese” da quello utilizzato nelle classi proletarie. Per queste ultime in genere si sceglie una metodologia costruttivista dove prevale la dimensione sociale dell’apprendimento, il mutuo insegnamento e la costruzione della classe comunità. In queste classi il gruppo progredisce insieme, il più bravo aiuta il meno bravo e non si boccia quasi mai. La valutazione in questi casi è di tipo formativo, tiene in gran conto la situazione di partenza, il contesto di apprendimento e la dimensione socio-affettiva. Tutti i progressi sono valutati positivamente: il comportamento, la socializzazione, gli aspetti cognitivi.

Naturalmente metodologia di tutt’altro genere si utilizza per la scuola degli alunni “super”: super preparati o supervalutati dai maestri elementari e dai genitori che proiettano sui figli aspettative eccessive spingendoli alla competizione e all’individualismo. Per queste classi in genere si ricorre giocoforza a una valutazione sommativa con obiettivi da raggiungere ben definiti che si concretizzano in prestazioni e competenze misurate e certificate alla fine dei diversi cicli di istruzione.

Sembra si possa concludere che nelle scuole italiane continuano a formarsi due tipi di studenti le cui differenze sono determinate soprattutto dalla classe sociale di provenienza. La scuola che dovrebbe costituire lo strumento principe della mobilità sociale finisce col costruire barriere rigidissime. Si incontrano per fortuna abbastanza di frequente alunni bravi di umili origini che trovano nello studio il proprio riscatto sociale e raggiungono posizioni sociali rilevanti, ma il prezzo da pagare è altissimo, il percorso è accidentato e difficile, la scuola italiana potrebbe fare molto ma molto di più.

Bruno Caccioppoli

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