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A scuola si astrobiologia – parte 2

Pubblicato il: 23/09/2016 07:52:34 -


Multidisciplinarità e fantascienza nel laboratorio di astrobiologia che ha coinvolto gli studenti del liceo scientifico e linguistico di Ceccano ospitati nei laboratori di Astrobiologia di Tor Vergata.
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In una galassia con più di un miliardo di stelle, in un universo con 100 miliardi di galassie è possibile che siamo davvero soli? Esistono altri mondi oppure il nostro pianeta è un’incredibile eccezione? Gli studenti hanno analizzato le caratteristiche che deve avere un pianeta per permettere lo sviluppo della vita. Requisito essenziale per la ricerca della vita come noi la conosciamo su altri mondi è la presenza di acqua, nei suoi tre diversi stati: liquido, gassoso, solido. Un pianeta per essere abitabile dovrebbe essere roccioso, né troppo caldo né troppo freddo. Il pianeta inoltre rispetto alla sua stella, dovrebbe trovarsi nella zona abitabile (una regione in cui la temperatura è tale da permettere la presenza di acqua allo stato liquido). Ma altri parametri molto importanti sono la  massa, il tipo di atmosfera, il modo in cui orbita intorno alla sua stella.

Finora tutti gli sforzi messi in campo per trovare la vita sugli altri pianeti del nostro Sistema solare si sono concentrati su Marte. Il Pianeta Rosso è stato il principale indiziato nella affannosa ricerca di microrganismi extraterrestri. Anche Titano ed Europa, lune rispettivamente di Saturno e Giove potrebbero essere abitati o esserlo stati, un tempo.

Su Marte, i segni della presenza di acqua sia sulla superficie sia nel sottosuolo nonché del metano nell’atmosfera, potrebbero indicare la possibilità di vita sul pianeta rosso. La scoperta di metano potrebbe essere indicativa della presenza di  attività biochimica di forme microbiche simile ai  batteri metanogeni terrestri.

Titano ed Europa, invece, pur presentando condizioni completamente differenti, sarebbero anch’essi compatibili con la vita. Sebbene lontanissimi dal Sole, queste due lune orbitano a una distanza dal loro pianeta gigante tale da permettere la presenza, su Titano, di metano o etano in forma liquida, mentre su Europa di acqua liquida al di sotto dei ghiacci superficiali. Certo, assumendo il metano come base del metabolismo, la biochimica di un ipotetico essere vivente su Titano sarebbe radicalmente diversa da quella che conosciamo.

Ma possiamo cercare la vita al di là del nostro sistema solare?

Gli allievi coinvolti hanno dunque studiato gli esopianeti e i metodi per rinvenirli. Gli esopianeti sono pianeti che non appartengono al nostro Sistema solare: sono pianeti che, come il nostro, orbitano intorno a una stella e compiono moti di rotazione e rivoluzione, alternando luce e buio e temperature alte e basse.

Dall’Osservatorio di Ginevra, Il 5 ottobre 1995, Michel Mayor e Didier Queloz annunciarono la scoperta (confermata 7 giorni dopo dagli astronomi americani Marcy e Butler) del primo pianeta extrasolare di massa gioviana attorno alla stella 51 Pegasi.

Da allora molti sono stati gli esopianeti osservati.

Il numero sempre crescente di pianeti scoperti ci permette di suddividerli in classi in base alle loro caratteristiche: si va dai cosiddetti “Giovi caldi” ai “pianeti di tipo terrestre”, passando per classi intermedie. Quali sono i pianeti più promettenti per ospitare la vita? Probabilmente le cosiddette Super Terre, pianeti rocciosi di dimensioni contenute ed atmosfere ridotte rispetto ai Giovi caldi.

Trovare ciò che non si vede. Il lavoro si è quindi concentrato sui metodi di osservazione di pianeti così lontani. Fondamentalmente esistono due tipi di rilevamento:

–  rilevamento indiretto

–  rilevamento diretto

Il rilevamento indiretto si basa su tecniche di individuazione delle perturbazioni che questi oggetti generano sui loro soli e le principali tecniche utilizzate sono:

la misura delle velocità radiali – un pianeta e la sua stella sono legati da attrazione gravitazionale, pianeta e stella  ruotano entrambe attorno al loro centro di massa. Il moto della stella  viene registrato da un osservatore (telescopio) come un periodico avvicinarsi e allontanarsi della stella, grazie all’effetto Doppler;

La variazione è resa evidente da un blueshift (spostamento delle righe verso il blu, indicante un avvicinamento all’osservatore) o da un redshift (spostamento delle righe verso il rosso, indicante un allontanamento dall’osservatore);

il metodo dei transit

i – se un pianeta transita di fronte alla sua stella, la luminosità di quest’ultima calerà di una piccola percentuale strettamente dipendente dalle dimensioni del pianeta e dalla sua orbita. Il vantaggio di questo metodo è che la massa del pianeta può essere determinata dalla “curva di luce”. Quando si combina questo metodo con quello della velocità radiale si può determinare la densità del pianeta e fare ipotesi sulla sua composizione fisica;

la microlente gravitazionale – una tecnica che sfrutta un effetto della teoria di Einstein: la lente gravitazionale. La possibilità cioè di guardare un oggetto lontanissimo grazie alla distorsione spazio-temporale che subisce la luce da lui emessa incontrando lungo la sua strada una massa gravitazionale.

Grazie ai grandi telescopi, sono oramai molti i metodi di osservazione diretta di esopianeti. Appena qualche anno fa, nel 2008, tre diversi gruppi di ricerca riuscirono a osservare direttamente alcuni esopianeti, tra cui Fomalhaut b, un pianeta  grande tre volte Giove che, nelle immagini inviate dal telescopio spaziale Hubble, appariva come un piccolo punto luminoso accanto alla sua stella Fomalhaut. La missione Kepler della NASA – parte del programma Discovery – mirava specificatamente alla ricerca di esopianeti.

Kepler è un satellite-telescopio lanciato il 7 marzo 2009 da Cape Canaveral con il preciso intento di scoprire nuovi pianeti di tipo extrasolare (che orbitano attorno ad altre stelle). Sono più di tremila i pianeti scoperti da Kepler ma – cosa più importante – e di questa enorme quantità di pianeti alcuni sembrerebbero essere rocciosi e quindi simili alla Terra.

Siamo soli o no? Ci viene in aiuto la Matematica.

Formulata nel 1961 dall’astronomo e astrofisico statunitense Francis Drake e considerata una delle equazioni chiave dell’Esobiologia e del progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), l’ equazione di Drake è una formula matematica per stimare il numero di civiltà extraterrestri della nostra galassia in grado di comunicare.  

N = R* x fp x ne x fl x fi x fc x fm x L

dove :

N:  è il numero di civiltà extraterrestri presenti oggi nella nostra Galassia con le quali si può pensare di stabilire una comunicazione;

R*
: è il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea; fp:  è la frazione di stelle che possiedono pianeti;

ne: è il numero medio di pianeti per sistema solare in condizione di ospitare forme di vita;

fl: è la frazione dei pianeti ne su cui si è effettivamente sviluppata la vita;

fi: è la frazione dei pianeti f su cui si sono evoluti esseri intelligenti;

fc: è la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare;

L:  è la stima della durata di queste civiltà evolute.

Benché l’equazione non fornisca un numero certo (fornisce invece una stima qualitativa perché dipende da alcuni parametri, quali la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare o la frazione di pianeti in cui si sono evoluti esseri intelligenti, che sono evidentemente impossibili da valutare), ha però un certo valore perché costringe gli studiosi a pensare in termini quantitativi tutti gli elementi che entrano in gioco in un ambito complesso (come la questione dell’origine della vita sul nostro o su altri pianeti). Quello che gli studenti hanno scoperto/verificato in laboratorio – seguendo un metodo altamente scientifico ed un percorso con valenza multidisciplinare – è che sembra sempre più evidente che ci stiamo avvicinando all’individuazione di un pianeta analogo alla Terra che potenzialmente potrebbe ospitare la vita, magari persino di forme di vita complesse.

Vardè Di Salvatore, A scuola di astrobiologia – parte 1

I video del laboratorio:

L’origine della vita

La vita oltre la terra

Esperimenti di astrobiologia

Laura Vardè e M. Rosaria Di Salvatore

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