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Democrazia e Educazione – di Giunio Luzzatto

Pubblicato il: 11/07/2018 08:00:10 -


Il deficit di livello medio di istruzione dei giovani in Italia ripropone, con immediatezza, il problema del rapporto tra educazione e democrazia
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Lo stretto legame tra i valori democratici e lo svolgimento del processo educativo è stato al centro del pensiero di John Dewey, che in Italia è stato diffuso, con il contributo determinante di Aldo Visalberghi, negli anni ’50 del secolo scorso; ciò ha efficacemente contribuito al progressivo superamento delle concezioni, idealistiche da un lato e cattoliche dall’altro, all’epoca prevalenti nel dibattito pedagogico italiano. Anche a livello politico, il rilievo che le tematiche scolastiche hanno avuto nella fase iniziale del centro-sinistra (in primis, l’attuazione della scuola media unica) è riconducibile all’accresciuta consapevolezza circa il fondamentale intreccio tra i due temi.

E oggi? Nel momento in cui la scolarizzazione, in tutti i Paesi economicamente sviluppati, è andata ben al di là dell’antico obbligo a 14 anni, l’Italia risulta in coda nel livello medio di istruzione acquisito dai nostri giovani; inoltre, elemento drammatico dal punto di vista della democrazia, tale valore medio deriva da situazioni estremamente differenziate. I risultati “alti” premiano, prevalentemente, chi proviene da un contesto sociale anch’esso alto, quelli bassi sono correlati a realtà famigliari deboli: non vi è l’uguaglianza delle opportunità. Anziché porre una modifica di questa situazione al centro delle preoccupazioni politiche, il “diritto allo studio” non solo non è attuato, ma è sempre meno presente anche nelle intenzioni programmatiche.

Il rapporto tra educazione e democrazia è scarso, oggi in Italia, anche perché i valori di cittadinanza non sono presenti nei contenuti dei programmi scolastici. La “educazione civica” un tempo presente, e pur del tutto insufficiente, è stata cancellata. Beninteso, singoli docenti trovano il modo di dare un senso “civico” a tutto il loro insegnamento, ma si tratta di iniziative individuali.

Consideriamo un diciottenne “maturo” alla conclusione del ciclo secondario, all’età che gli consente di votare: Liceo o Istituto Tecnico non gli hanno fornito alcun elemento che gli consenta di valutare i problemi della nostra società meglio di quanto possa fare un coetaneo poco scolarizzato. Sul tema vi sono stati studi seri, con concrete proposte; cito ad esempio un “Quaderno” curato da Alessandro Cavalli per l’Associazione Treelle, Educare a vivere con gli altri nel XXI secolo: cosa può fare la scuola? Ma gli interventi politici, “Buona scuola” o altro, hanno ignorato la questione.

L’analisi della Costituzione, che era alla base dell’Educazione Civica quando questa c’era, è un punto di partenza necessario per l’educazione alla cittadinanza; ma non ci si può fermare ad essa, come non si può fare la formazione del cittadino con mere lezioni dalla cattedra: metodi didattici diversi, interattivi, sono indispensabili per ogni insegnamento (insieme all’americano Dewey ricordiamo la nostra Montessori!), ma in questo caso sono del tutto decisivi. La gestione stessa della classe può essere un terreno di sperimentazione di vita collettiva, educando al necessario rispetto per i diversi ruoli, per la funzione di chi ha la responsabilità di una guida autorevole (ma non autoritaria) così come per la partecipazione consapevole di chi sa di dover imparare. Ed è prezioso il rapporto con il territorio: interagire con il Comune (con il Municipio, nelle grandi città) o con una istituzione culturale locale, anche attraverso un buon uso della “alternanza scuola/lavoro”, può essere determinante per comprendere l’assetto democratico delle istituzioni: non sulla carta, ma in concreto.

La trattazione della tematica “civica” è rilevante anche al livello universitario: ivi deve assumere un taglio specifico, diverso da quello che essa avrebbe (se vi fosse!) ai precedenti livelli scolastici.

Sia se il laureato svolgerà attività propriamente professionali, sia se sarà uno studioso accademico, la sua formazione dovrebbe averlo educato a essere pienamente consapevole delle responsabilità sociali che il suo lavoro comporta. L’analisi dell’impatto che l’azione del laureato in un determinato Corso di studio esercita sull’ambiente circostante deve rientrare perciò, a pieno titolo e con spazi adeguati, nella progettazione didattica del Corso stesso.

Prevedere, in questa progettazione, attività formative relative a tali responsabilità si connette a riflessioni ancora più complessive, oggi ampiamente condivise, circa la necessità che gli obiettivi formativi dei Corsi di studio universitari guardino al di là della mera acquisizione di conoscenze settoriali: l’accento viene posto non solo sulle competenze disciplinari che consentano di utilizzare al meglio le conoscenze stesse, ma anche sulle competenze trasversali. E nulla è “trasversale” quanto la capacità di inserirsi correttamente nel sistema sociale.

Giunio Luzzatto

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