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La musica a scuola

Pubblicato il: 31/03/2016 08:31:19 -


Intervista a Tullio Visioli, direttore di coro, compositore, esperto di vocologia.
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L’insegnamento della musica svolge un ruolo di grande importanza all’interno dei processi di apprendimento intesi in senso più ampio. A seguito dell’emanazione della legge 107 “La Buona Scuola”, si sta riscontrando un  incremento del numero dei docenti di musica nell’organico. Considerato che la coralità nella scuola (primaria) richiede la presenza di docenti specialisti e che questa nuova normativa ha aperto le porte ad  una maggiore sensibilità verso l’insegnamento della musica, lei quale futuro vede per la coralità a scuola?

L’attività corale è, da sempre, il fondamento e il ‘ginnasio’ di un concreto apprendimento del linguaggio musicale. Per questo motivo, nella scuola primaria, non possiamo parlare di coro selezionato ma, bensì, di un’attività da svolgere classe per classe.

La coralità, in quanto partecipazione immediata alla produzione musicale, permette anche di sperimentare in nuce nuovi modelli di cittadinanza, dove prevalgano il dialogo e la condivisione ragionata e sperimentabile delle scelte e delle competenze. Così, infatti, si esprimeva il ministero dell’Educazione francese in procinto di avviare un piano di inserimento della coralità nelle scuole: «Di fatto, il pensiero e la sensibilità musicali s’instaurano in maniera naturale attraverso la voce. […] il canto collettivo favorisce lo sviluppo personale dello studente e contribuisce a formare il futuro cittadino, attraverso l’ascolto e il rispetto dell’altro, fattori che favoriscono l’apertura culturale e la coesione sociale» (“Circulaire n° 97- 240”, 1997, trad. it. dell’autore).

Qui da noi, prevalendo ancora l’Italia del solista e del successo individuale: si ‘cresce’, purtroppo, per distinzione anziché per capacità di relazione. La coralità rappresenterebbe un ‘antidoto’ formidabile a questa rappresentazione ‘seduttiva’ e selettiva del processo educativo.

È facile comprendere come, a un docente ideale, non possono bastare le sole conoscenze tecniche e musicali e non sarà sufficiente far cantare bene i bambini ma, piuttosto, si tratterà di far cantare il bene (e il bello) che c’è in essi, cioè la loro capacità di esprimere emozioni nobili e esperire la ricchezza dei modi espressivi a disposizione dell’essere umano.

E, tra le valenze del canto corale c’è anche quella di aiutare il bambino a stabilire un contatto virtuoso con il proprio schema vocale corporeo. Quasi sempre i bambini definiti come stonati hanno, più semplicemente, difficoltà di rapporto con la loro stessa voce. Le difficoltà – dimostrate dalle disfonie e dal disagio vocale in costante aumento – si presentano come sintomatologie monitorabili già a partire dall’esperienza pre-scolare. Il cantare in coro potrebbe avere, in tal senso, un ruolo prim’ordine, sia per l’aspetto educativo che per quello preventivo. In sintesi, il futuro della coralità nella scuola primaria sarà direttamente proporzionale alla nostra capacità di comunicarne con efficacia le insostituibili valenze educative e pedagogiche.

Cosa e come potrebbe cambiare il curricolo per sostenere la coralità all’interno del curricolo della scuola primaria?

Il curricolo verticale comporterà, come ogni processo di crescita, maggiori responsabilità. La musica nella scuola primaria, avendo goduto di minori possibilità di sperimentazione e documentazione, corre il rischio di cristallizzarsi su verifiche di competenze di tipo tradizionale. Potremmo così trovarci di fronte al paradosso di affrontare percorsi nuovi e stimolanti con mappe mentali vetuste e scolorite.

Partiamo subito dall’aspetto più urgente: la necessità di prevedere il canto corale fin dalla scuola dell’infanzia (chiaramente, per quest’ultima, si tratterà di inserire il canto in un contesto giocoso; ispirandomi al paesaggio sonoro, per questo genere di attività, che non dovrebbe superare i 30 minuti per ciascun intervento, ho coniato il binomio di paesaggio-coro), che comprenda esperienze di movimento e espressione corporea.

Nel canto corale ciò che si può ottenere, sul piano delle competenze musicali e sulla resa interpretativa, è sorprendente e sempre in netto anticipo rispetto alle acquisizioni teoriche. Per questo è bene iniziare il prima possibile. Un’idea riduttiva delle didattiche storiche del ‘900, ha posto la precedenza sulla lettura musicale. Nulla di più fuorviante, perché la lettura non è mai un processo astratto, ma è lettura-scrittura di elementi già inscritti nel vissuto del bambino, in seguito a un adeguato programma di ascolto ed esplorazione delle proprietà del mondo dei suoni, in particolare con lo strumento più nobile di tutti: la voce.

E, da qui, dovrebbe partire una rinnovata riflessione su competenze e modalità di valutazione, così da chiederci: “Che cosa differenzia un’esperienza corale musicale da una non musicale?”

Ecco un bell’esempio, tratto dalla nostra tradizione educativa. Il Tommaseo, visitando nella prima metà dell’800 una scuola elementare a Venezia, rimase colpito dell’ambiente sonoro: «Nessun grido o rumore; e pur nondimeno letizia e vita. I cenni della maestre non dati con quelle tabelle che rendono sì mal suono, ma con leggier cenno della mano, che li fa attenti ad ogni atto altrui e schivi d’inutili rumori (Della Educazione, vol. II, p.1)». In quella scuola – viene riferito a Tommaseo – la pratica corale era così centrale da informare di sé ogni comportamento. Verrebbe qui da esclamare: “Una scuola come un coro!”.

Un’altra considerazione discende dal fatto che il repertorio corale infantile si definisce a partire dal ‘900 e che gran parte pubblicazioni musicali destinate alla scuola non dialogano né con il ‘900, né con la contemporaneità. C’è necessità di nuovi repertori e di nuove idee. Potrebbe essere l’occasione per avviare un lavoro a più ‘mani’, al fine di pubblicare materiali progettati per difficoltà, obiettivi e varietà di stili. Basterà non cedere a soluzioni improvvisate che, spesso, non ottengono la qualità dei canzonieri delle Giovani Marmotte. Così, sarei finalmente disposto a parlare di un futuro nel quale riporre piena fiducia.

Per approfondire:

T. Visioli, “Canto corale e voci di bambini: modelli di prossimità per la percezione del sé vocale e la prevenzione delle disfonie”, La voce del cantante, atti dell’VIII Convegno Internazionale di Foniatria e Logopedia, Ravenna, 2013.  

Il modello di Maria Grazia Bellia, il Coroscenico

Annalisa Spadolini

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