Le prove Invalsi e gli alunni immigrati
L’ultimo rapporto INVALSI sugli apprendimenti degli studenti nelle scuole italiane ha evidenziato il miglioramento dei risultati seguito alla situazione post-pandemia, senza tuttavia superare le criticità che ormai potremmo definire croniche, già espresse nelle indagini degli anni passati, sia per quanto riguarda la disequità del sistema, sia il divario territoriale, soprattutto tra nord e sud. Ai segnali d’allarme lanciati al termine di ogni rilevazione la politica è intervenuta in modo piuttosto debole ed anche alcuni progetti per diverse aree del Paese si sono limitati ad incrementare gli orari delle discipline fondamentali ed a introdurre figure professionali che esercitano funzioni tutoriali, senza una vera strategia innovativa nel complesso degli istituti scolastici; novità sono state portate dai patti educativi territoriali che hanno caricato perlopiù le difficoltà sulle spalle di enti ed associazioni chiamate a collaborare con i docenti.
Uno degli elementi che influisce su questi risultati è senza dubbio la presenza di alunni con background migratorio, sia che entrino per la prima volta nelle scuole italiane, sia che nati in Italia da genitori stranieri le abbiano già frequentate in gradi diversi. Il giudizio di partecipazione di tali studenti alle prove evidenzia perlopiù la distanza dai compagni italiani, fino a far proporre ad un recente decreto interventi per quanto riguarda l’insegnamento della lingua italiana con docenti specialisti, in classi nelle quali i così detti neoarrivati sono superiori al 20%.
Una visione scambiata per inclusiva in una realtà che invece tende ad isolare detti studenti creando “classi differenziali” che il nostro sistema ha rifiutato fin dall’inizio, in quanto rinuncia a tutti gli altri aspetti positivi della composizione di gruppi equieterogenei, pur senza privarsi di interventi specifici circa il supporto linguistico. Sembra che tra valutazione degli apprendimenti ed azioni governative si considerino gli immigrati un peso per il sistema scolastico, che debbano essere integrati a partire dalla scuola che li accoglie. Forse se non ci fossero sarebbero un problema in meno sia per l’INVALSI che per il governo, ma l’ISTAT ci dice che la loro presenza compensa la diminuzione degli italiani. E’ un dato ormai consolidato che costoro sono parte integrante della popolazione scolastica nazionale, il che costituisce un pregio per la scuola italiana, sempre più multietnica e multiculturale, e questo dovrebbe far pensare anche le modalità di rilevazione del successo formativo. I tassi di scolarità degli studenti immigrati, dice ancora l’ISTAT, sono prossimi a quelli italiani ed i risultati di questi ultimi in certe parti del Paese ed in certi ordini di scuola sono vicini agli stranieri (dispersione implicita).
L’altro ambito educativo nel quale gli immigrati sono scarsamente presenti è quello dei servizi per l’infanzia, che dovrebbe costituire un elemento di spicco per l’effettiva inclusione e la difficoltà in cui il Paese si trova al riguardo nei confronti dell’attuazione del PNRR ne è una dimostrazione, anche perché si tratta di un’occasione importante per l’apprendimento e per imparare la lingua italiana attraverso l’efficace metodo dei pari: molti ritardi scolastici infatti nascono da questa mancata occasione, ma siamo ancora in alto mare per quanto riguarda il welfare e la gratuità di tali servizi per una popolazione che spesso manca di mezzi economici.
La scuola secondaria di secondo grado si può considerare il settore più dinamico per quel che riguarda l’inserimento di studenti con cittadinanza non italiana; i nati in Italia, in espansione in questo grado di scuola, rappresentano l’unica componente attiva che permette di contenere il calo della popolazione scolastica complessiva. A fronte dell’aumento degli studenti di seconda generazione gli stranieri che entrano per la rima volta nella scuola italiana tendono a diminuire, conferma l’ISTAT, e quindi se il governo aspetta di sostenere l’apprendimento linguistico sulla base del 20% degli iscritti non farà un grande sforzo, anziché investire invece con docenti specializzati, oltre che con mediatori culturali altrettanto formati, per tutte le scuole che ne hanno bisogno. Gli alunni figli di genitori provenienti dall’estero sono circa il 10%, dei quali il 66% è nato in Italia: è molto improbabile infatti che si possa costituire una classe con più del 20% di non italofoni.
Nella superiore i risultati degli studenti stranieri migliorano per la matematica e per l’inglese, ma anche in italiano le distanze si accorciano, sia per la prima che per la seconda generazione. E’ un miglioramento che si certifica progressivamente nei gradi precedenti, tenuto conto che una quota sempre maggiore dei diplomati nella secondaria di primo grado, sempre secondo l’ISTAT, prosegue gli studi. A conclusione del secondo ciclo, certifica l’INVALSI, c’è una maggiore probabilità di abbandono scolastico da parte dei liceali con background migratorio, ma coloro che restano in un percorso di istruzione e riescono ad ottenere il diploma dimostrano di possedere una maggiore motivazione ed una più forte resilienza. Pochi punti di differenza con i coetanei italiani anche per quanto riguarda le eccellenze, tra coloro che non hanno avuto mai nemmeno un anno di ritardo: il dato è più che quadruplicato.
Un risultato particolarmente interessante per gli alunni immigrati riguarda le prove di inglese, che sono positive fin dall’origine della rilevazione; la spiegazione dell’INVALSI è che questi allievi sono maggiormente predisposti ad apprendere le lingue straniere poiché già esposti ad almeno due lingue: quella dell’insegnamento e quella parlata in casa. Per i licei il livello B2 del QCER è facilmente conseguibile, ma anche il B1 per gli istituti professionali. Sull’apprendimento linguistico si può allargare il discorso, incrementando, come ci ricorda lo stesso INVALSI, l’imparare a leggere, com’è nei livelli internazionali e viene applicato per l’inglese, e non solo a leggere per imparare, per come vengono costruire le prove di italiano. Il recente decreto governativo ha indicato il livello A2 del QCER: ci sarà qualcosa da rivedere anche nelle prove INVALSI ?
La partecipazione degli immigrati a tali rilevazioni rischia però un corto circuito a partire dalla rappresentazione del percorso scolastico e dalla più facile occasione di abbandono per coloro che vengono inseriti con anni di ritardo, compromettendo l’instaurarsi di proficue relazioni, rispetto a quelli che avrebbero dovuto essere i coetanei. Pur con queste difficoltà di partenza si vede come il trend di miglioramento degli apprendimenti sia costante e che il gap potrebbe essere colmato da significativi interventi di carattere didattico e organizzativo, soprattutto nei passaggi tra i vari gradi dell’istruzione. Senza nulla togliere agli obiettivi terminali potrebbero essere i tempi di valutazione diversi funzionali ad un maggior grado di flessibilità nella gestione del curricolo.
I dati rispetto alla matematica, con relativa comprensione linguistica dei testi, e all’inglese, che apre al plurilinguismo, sono incoraggianti; l’osso duro rimane l’italiano, ma si tratta di una lingua che privilegia l’aspetto comunicativo, che si accomuna alla lingua straniera ed eventualmente a quella di provenienza, soprattutto se la scolarità effettuata nel paese d’origine può aiutare, oppure si tratta di una lingua di sostegno alla tradizione culturale del paese ospitante, che potrebbe avere un rinforzo linguistico particolare. Sulla comunicazione oggi intervengono le tecnologie ed una visione internazionale che apre gli orizzonti anche agli italiani, mentre sul versante della cultura occorrerà un lavoro specifico, magari per coloro che vorranno cimentarsi in determinati studi e con l’aiuto del latino che sbarcherà dalle prossime indicazioni nazionali.
Esistono ancora processi di selezione che tendono a spingere verso i margini della scuola gli studenti che partono da livelli di apprendimento più bassi e da condizioni socio-economiche marginali, comprese le famiglie e i giovani provenienti da altri Paesi; sono indizi delle difficoltà delle scuole stesse a rimediare agli svantaggi accumulati dagli studenti nel loro percorso formativo.
Gian Carlo Sacchi Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.