Insegnanti qualificati, debitamente pagati

Lo dice anche l’Ocse: insegnanti più pagati producono una scuola migliore.
La Finlandia lo testimonia, con gli ottimi risultati delle rilevazioni internazionali: 16 anni per arrivare ai livelli massimi della retribuzione, contro i 35 dell’Italia.
E la Germania – forse anche per questo locomotiva d’Europa? – con stipendi per i docenti che sfiorano quasi il doppio dei nostri.
E anch’io, nel mio piccolissimo, posso fornirne una prova: da quando, a settembre, ho fortunosamente avuto il riconoscimento del mio scatto esennale, lavoro meglio, sono più motivata, ho voglia di fare di più, di dare di più. È una cifra irrilevante, poco più di cento euro di aumento mensile, un riconoscimento minimo. Che tuttavia ha aumentato la mia autostima professionale e il senso dell’importanza del mio lavoro. Sebbene si accompagni all’amarezza di sapere che gli scatti del 2012 sono stati finanziati con una drastica riduzione del Fondo d’istituto e che la Legge di stabilità ne ha confermato il blocco fino al 2015.

Insegnanti qualificati, debitamente pagati: è una ricetta semplice, di puro buon senso, condivisa da chiunque anche quando si fanno quattro chiacchiere al mercato.
E invece, se osserviamo la realtà, sembra di vivere in un film dell’orrore. Gli insegnanti italiani, già oggetto di una campagna diffamatoria e denigratoria senza precedenti, tanto più grave perché condotta da ministri della Repubblica, sopravvivono in scuole fatiscenti, prive di risorse umane ed economiche per il loro funzionamento essenziale, con un contratto scaduto da anni e un salario netto mediamente insostenibile.
Sottoposti da anni alla costante minaccia della modifica unilaterale del contratto: ieri (con Monti) aumento di sei ore settimanali di lezione frontale a parità di stipendio; oggi (con Renzi) abolizione definitiva degli scatti di anzianità.
Nell’attuale proposta del Governo, un semplice pdf presentato in televisione, privo della minima rilevanza giuridica e pur tuttavia richiamato nella Legge di stabilità, il nuovo status giuridico dei docenti propone una progressione di carriera pre-destinata al solo 66%, attraverso l’individuazione da parte del nuovo preside-manager dei docenti più “adatti a giocare la partita dell’istruzione”, prevedendo l’eliminazione dei vincoli geografici, provinciali e regionali, ma anche culturali e professionali, specifici della funzione-docente: l’insegnante potrà essere delocalizzato al momento dell’assunzione e in qualunque momento della sua attività lavorativa e potrà insegnare, ove necessario, discipline genericamente “affini” alla propria.

Qual è il senso di questa proposta di reclutamento? Semplicemente, il risparmio.
Per i docenti che non matureranno scatti di competenza e non otterranno mai l’aumento di stipendio, si calcola una perdita complessiva superiore ai 120.000 euro, ma anche per gli altri, quelli che una buona dose di adattamento alle catene dell’evoluzionismo scolastico avrà reso “meritevoli”, la remissione economica è calcolata e certa. Senza contare il prezzo di una miserabile esistenza professionale tesa a collezionare titoli come figurine e a rincorrere la benevolenza del proprio D.S..

No, proprio non ci siamo.
Un buon insegnante è laureato col massimo dei voti, si è specializzato in didattica e pedagogia, ha superato brillantemente un concorso statale, fa formazione obbligatoria all’università con costanti periodi sabbatici. Un buon insegnante non è un tappabuchi né un intrattenitore. Garantito dalla continuità didattica, garantisce la continuità del suo lavoro ai suoi alunni ed è sensibile ai tempi soggettivi del loro apprendimento; non è gravato da una soverchiante, inutile burocrazia, né dall’incubo di una telefonata a colazione e può pianificare la sua attività nel lungo termine sapendo dove e cosa insegna.

Negli ultimi anni, le proposte dei Governi di centrodestra e di centrosinistra sono andate nella direzione diametralmente opposta: blocco dei concorsi e delle immissioni in ruolo; docenti abilitati alle scuole di specializzazione tenuti fuori dalle graduatorie; scuole di specializzazione abolite; attivazione di sempre nuove e farraginose procedure per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento. Fino alla proposta Renzi: assumiamo 150.000 precari – non per scelta ma perché ce lo impone la UE – se voi docenti a tempo indeterminato accettate l’abolizione degli scatti di anzianità. Anzianità che produce esperienza, umana prima che professionale, e che, dunque, è un valore.

Qualcuno lo ha definito un patto; forse la parola giusta è ricatto.

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Anna Angelucci