Letteratura fiabesca: dove i bambini possono assaporare la prelibatezza della “dignità umana”

Grazie ai grandi pensatori dell’età moderna, nasce il fenomeno pedagogico della “scoperta dell’infanzia”. Già a partire dall’epoca di Rousseau, il bambino comincia a essere riconosciuto come soggetto di diritti. Nell’800 il pedagogista tedesco Fröbel dà vita al “Giardino di Infanzia”, un luogo dove permettere ai piccoli di esprimere il proprio mondo interiore e, poco dopo, Maria Montessori insegna a considerare il bambino come un essere umano libero e creativo.
Agli inizi del ‘900 si arriva, dunque, alla piena consapevolezza della “dignità” di bambini e di ragazzi.
Ma come si è evoluta questa concezione nella post-modernità?

In realtà l’atteggiamento nei confronti dell’infanzia assume, oggi, aspetti ambigui. Se teoricamente non viene messo in discussione il rispetto della dignità dei piccoli, nella pratica quotidiana si assiste a comportamenti contraddittori.
La pedagogista Mary Winn, negli anni Ottanta del ‘900, ha usato l’espressione “bambini senza infanzia” segnalando un “uso” dei bambini e degli adolescenti in violazione della loro dignità.
Basti pensare alle strumentalizzazioni della pubblicità, oppure ai concorsi di bellezza, già a partire dal primo anno di vita, che stanno prendendo piede in tutto il mondo.
Il sociologo Neil Postman avverte che siamo in piena “scomparsa sociale dell’infanzia”, perché dietro uno strumentale interesse per i piccoli, la società nasconde una grande trascuratezza nei confronti dei bambini e degli adolescenti.

Anche l’ambito educativo è pienamente coinvolto in tutto questo, proprio perché la dignità umana rappresenta il fondamento dell’educazione.
La scuola è chiamata a intervenire per far crescere i ragazzi nella consapevolezza della loro innata dignità, anche per aiutarli ad attuare una vita coerente con essa.
E il concetto di “dignità umana” si collega ad altri valori fondamentali: “l’empatia”; “l’umanità” e “il dialogo”.

Il filosofo Jacques Maritaine è stato tra i primi a suggerire il “dialogo” come strumento educativo, affinché i piccoli si sentano amati e riconosciuti. Dialogo educativo significa, soprattutto, soddisfare le esigenze interiori dei ragazzi, ovvero ascoltare le loro domande sul mondo, anche quelle che non riescono a formulare con chiarezza, ma che si agitano nella loro mente osservatrice.
Un’educazione della dignità umana deve necessariamente fare perno sul dialogo e, se è vero che i modelli dell’educazione attuale sono in crisi, occorre fare proposte concrete ed elencare alternative valide.
Già Aristotele spiegava che la dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli. Ed è proprio questa coscienza che occorre formare nei ragazzi.
Nella realtà attuale, dominata da ansia e paure, la dignità è sostituita dalla ricerca del successo, creando una massa di perdenti e un grappolo di vincenti, la cui gloria spesso non è destinata a durare.

All’insegnante è affidato il compito di distaccarsi da questo tipo di mentalità, usando tutti gli strumenti didattici necessari per prendersi cura dei molteplici aspetti della personalità dei bambini e dei ragazzi, allenando quotidianamente la loro dignità.

Uno di questi strumenti può essere la letteratura fiabesca, che offre la possibilità di creare un laboratorio di pensiero per indagare il mondo.
La fiaba è come un sentiero attraverso il quale il bambino può accedere alla propria personalità, con l’aiuto dell’educatore. Il procedere della narrazione fiabesca, infatti, è orientato in modo da creare interazione tra chi racconta e chi ascolta.

Il bambino s’identifica con un personaggio nutrendosi delle sue qualità. Sceglie, tra male e bene, sceglie chi vuole essere. L’insegnante, attraverso la narrazione, lo aiuta a pensare, a sviluppare le proprie risorse interiori e la propria dignità.
Questa spola fra il testo fiabesco e la vita, consente al bambino di trovare l’orientamento della propria rotta, spronandolo ad agire da protagonista, invitandolo a sviluppare le tracce e i suggerimenti che gli vengono forniti.
I libri di testo sono certamente utili, però mirano a impartire le conoscenze necessarie indipendentemente dal significato. Imparare a leggere, o a far da conto, perde valore quando ciò che si è imparato non aggiunge niente d’importante alla vita.
La letteratura fiabesca, invece, è in grado di fare tutto questo, all’insegna della leggerezza e della gioia. Ecco perché può rappresentare uno strumento didattico prezioso, da affiancare quotidianamente ai libri di testo.

Tutte le fiabe classiche (e molte di quelle moderne) si prestano allo scopo. L’importante è avere cura di selezionare i testi originali, facilmente reperibili in biblioteca o nelle buone librerie, evitando le versioni edulcorate o alterate a scopi mediatici.
Per coinvolgere bambini e ragazzi in un “gioco letterario” divertente e profondamente educativo, si possono inventare delle “interviste impossibili” per far parlare i personaggi delle fiabe evidenziare, attraverso di esse, le tematiche legate alla dignità.
Dopo la lettura della storia in classe, il docente può aiutare gli alunni a porre domande al protagonista o all’antagonista, immaginando insieme le risposte. I ragazzi, così, rifletteranno sui contenuti della fiaba e potranno confrontarli con il proprio vissuto interiore, identificandosi con questo o quel personaggio, cogliendone le qualità profonde.

Come esempio, ecco lo stralcio di un’”intervista a Cenerentola”. Il pezzo è tratto da un libro [1] destinato a preadolescenti e giovani, ma interviste simili, opportunamente guidate, possono essere realizzate anche nella scuola Primaria e dell’Infanzia.

L’alunno-giornalista, scelto a turno, pone la domanda che più lo interessa. Il resto della classe, con l’aiuto del docente, risponde alla domanda dopo un’attenta discussione, avviando così una conversazione immaginaria:

– “Cenerentola, perché non ti sei ribellata alla matrigna? Si deve subire in silenzio?”
– “Ma io sono una ribelle!”
– “Nella logica delle fiabe, forse. La realtà è diversa: se non uccidi il cattivo, lui ucciderà te.”
– “No. Nella realtà i mostri spesso si nascondono dietro sembianze accattivanti e alcuni abitano anche dentro di noi. Ho dovuto imparare a riconoscerli, per capire contro chi ribellarmi.”
– “Quali mostri?”
– “Credi che io non abbia mai provato rancore o sfiorato la disperazione? C’è un attimo nel quale la stanchezza induce a credere che l’unica via d’uscita dal male sia il male stesso, ricambiare il dolore oppure fingere di non sentirlo. Ero un’adolescente, la vita mi chiamava a scegliere chi volevo essere. Nei fatti che la sorte mi poneva davanti, imparai a rendere il mio cuore libero, senza catene. Un cuore prigioniero è destinato all’infelicità e io volevo essere felice.”
– “Prigioniero di cosa?”
– “Dell’odio e del rancore. E dell’incapacità di sperare.”
– “Ma il desiderio di sposare un principe non è alquanto materialista?”
– “Desideravo essere felice. La felicità è il più nobile dei progetti per una persona. E la nobiltà chiama nobiltà. Ho guadagnato l’amore, ma solo dopo un lungo percorso, dopo aver imparato a riconoscerlo. Il mio cuore libero, la sera del ballo, mi ha permesso di vedere la felicità e di riconoscerla.”
– “C’erano dei mostri anche al ballo?”
– “Sì, ho dovuto dominare il mostro dell’ingratitudine. Avevo dato la mia parola. A mezzanotte l’ho mantenuta, rischiando di perdere tutto. Ci sono riuscita solo perché, nelle difficoltà, avevo imparato che nessuna cosa al mondo vale più della dignità. La dignità non allontana le persone, le fa ritrovare.”

Buone fiabe a tutti, ne abbiamo davvero bisogno.

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Note:
[1] AA.VV., “Chiamarlo amore non si può”, Mammeonline Edizioni, 2013

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Rosa Tiziana Bruno