L’arcivernice: Il Doctor Angelicus, seconda parte (trentasettesima puntata)

– Ma, Maestro, perché Dio avrebbe dovuto creare sostanze e qualità? Non bastava creare le sostanze?
– E come farebbe una sostanza a non avere proprietà? Come sarebbe fatta? E poi il mondo diverrebbe inconoscibile; e ti spiego perché. Come dice Aristotele, sostanza in massimo grado e nella più grande misura è la sostanza prima, questo uomo, questo cavallo. Immaginiamo allora un mondo di individui, A, B, C… Non sarebbe più possibile altro enunciato se non quello particolare negativo, e cioè “A non è B, B non è C etc.”. La conoscenza, viceversa, aspira alla proposizione universale, del tipo “Tutti gli A sono B”. In questo senso “singularis non datur scientia”. La sostanza non può che essere soggetto, e non predicato, se non “per accidens”, come quando dico che colui che si avvicina è Callia: capita così, accidentalmente, non per necessità.

Ramon ce la metteva tutta, ma arrancava. Anche perché era dominato da un pensiero di fondo, che si accavallava con i complessi argomenti del Doctor Angelicus. L’occasione era troppo ghiotta, in presenza di Tommaso. E cioè voleva arrivare alla domanda delle domande: ma perché tutto questo? O, meglio, tutto ciò che è, è frutto davvero di un disegno intelligente? O, ancor più direttamente, esiste Dio? Quale fosse il parere di Tommaso era scontato. Ma quanto i suoi argomenti sarebbero stati decisivi? Si lanciò:

– Maestro, ma perché un Dio già in sé perfetto avrebbe dovuto fare tutto questo? E che certezze abbiamo che Egli esista, e abbia deciso tutto questo?
– Ramon, abbiamo le mie cinque vie per convincercene, oltre a quella di Anselmo, di cui non voglio parlare qui in quanto troppo intellettuale e densa di questioni difficili (come, ad esempio, il fatto che l’esistenza sia un attributo e non una sostanza). Ripercorri con me la prima, quella del moto, o del mutamento, che è forse la più facile da intendere: nel mondo esiste il mutamento; tutto ciò che si muove è mosso da altro; se ciò che è causa del moto, a sua volta, si muove, per il punto precedente è necessario che anch’esso sia mosso da qualche altro ente; tuttavia, non è possibile procedere all’infinito nell’identificazione delle cause del moto, perché, in tal modo, non si troverebbe mai l’origine del moto; ma senza l’origine del moto non ci sarebbe alcun moto, il che è contraddetto dall’esperienza; perciò è necessario inferire l’esistenza di un “primo motore”, che non sia mosso da nient’altro. Esiste quindi un “primum movens quod in nullo moveatur”. A tale moto tutti attribuiscono il nome di Dio (ente immutabile e indiveniente).

Ramon fu tentato di portare il discorso sulla fisica moderna; in realtà, la fissità è apparente e tutto si muove. Dove trovare qualcosa che sta fermo… se non alla teorica temperatura dello zero assoluto? Ma poi pensò che il punto filosofico non era tanto quello e che il discorso si doveva sviluppare, tale e quale, anche per la seconda via, quella della causa.

– Ma l’impossibilità (o, forse, potremmo anche dire la contraddittorietà) di un regresso all’infinito, il quale, negando il primo elemento, nega di conseguenza tutti gli altri, quella stessa impossibilità già così ben spiegata nei Secondi Analitici da Aristotele prova che vi sia un primo elemento, non che esso sia Dio. A prescindere dal nome che vogliamo attribuirgli.
– E come altro potresti considerare ciò che è in grado di muovere se stesso ed è, soprattutto, “causa sui”, ragione di se stesso?
– Il punto è, Maestro, se un tale ente debba necessariamente essere persona…
– E cosa vi è di più perfetto della persona? È forse più perfetta una forza bruta, senza intelletto e senza volontà, senza sentimenti?
– Il problema, Maestro, è quello dei vermi piatti: dei vermi piatti che girano su una sfera non coglieranno mai la terza dimensione. Un cerchio e un cono sarebbero per loro la stessa cosa. Così, noi riteniamo che la nozione di persona rappresenti l’espressione somma della vita e dell’esistenza; ma chi ci garantisce che non vi siano forme più evolute in una dimensione superiore alla nostra? Non saremo, noi stessi, dei vermi piatti, delle formiche, che non potrebbero mai cogliere il senso del Codice Civile, o della Gioconda?
– Ma come concepire una sostanza perfetta priva di intelletto, o di volontà? E, a riprova, Dio si è fatto uomo, e non altro, in funzione della Salvazione. Cioè persona.

Ramon capì che erano entrati in un loop infinito, perché la linea di demarcazione era la Fede. Che, d’altra parte, tale non sarebbe se la dimostrazione dell’esistenza di Dio fosse così scientificamente comprovabile da definirne anche i suoi attributi. Geniale la teoria tomista della “analogia entis”: per capire com’è fatto Dio, per quel tanto che all’uomo è dato, si devono proiettare gli attributi positivi sull’infinito. Per cui si ha: saggio/onnisciente; buono/infinitamente buono etc. Anche se il processo cozza contro l’obiezione che certe infinità si escludono a vicenda: non si può dare misericordia infinita assieme a giustizia infinita, per la “contradizion che nol consente”, direbbe il Poeta; ma proprio questo è il punto di discontinuità tra il credente e l’agnostico, l’accettare il mistero. Mentre si attardava in questo faticoso lavorio, coi neuroni a 1000, Ramon non si era accorto che l’effetto era svanito, e Tommaso non c’era più. E capì anche che avrebbe dovuto convivere con i suoi dubbi.

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Maurizio Matteuzzi