L’arcivernice: Gli scherzi non sono più quelli di una volta (quarantottesima puntata)

Insomma, questa strada che porta alla casa di Ramon mi si propone anche troppo spesso, si avvia verso suoni, direzioni, odori desiderati, trova la sua quadratura che mi spinge a percorrerla.

Con tormentate manovre di accostamento striscio davanti agli occhi agonici della custode, che iniziano a vibrare solo quando si sentono scricchiolare i miei passi cauti nell’androne. C’è un’atmosfera gotica qui intorno, già prima della stanza di Ramon, e quella donna ha una luce nello sguardo che inizia a dardeggiare non appena mi vede, come in una figura diabolica.

Quali che siano i motivi per continuare le visite a Ramon, è certo che vogliono escludere del tutto l’Arcivernice. Solo Ramon su quel fatto ci marcia, e spesso anzi lo vellica, agitando acque già di per sé agitate.

Certi eventi prodotti con l’Arcivernice non si spiegano. E se analizzata col metodo della conferma scientifica, quella specie di beffa, quel colpo di scena delle improvvise apparizioni a volte anche attraverso le pareti, l’ho già detto, se prese sul serio possono essere ricondotte solo alle teorie dell’allucinazione.

Però sarebbe meglio forse lasciar stare, qui, l’approccio scientifico, e affidarci all’intuito; questa “cosa” non può in alcun modo sottostare a spiegazioni rigorose, anche se la “mia” scienza, bisogna dirlo, non è poi tanto rigorosa, poiché io vi inserisco in mezzo pensieri, emozioni confuse e chiasso, distrazione. Le ripetute incarnazioni confermano forse un sentire più filosofico, sfuggente. Se ci appelliamo invece alla scienza rigorosa, il risultato non può che essere miseramente attribuito, appunto, al fenomeno allucinatorio: un panorama violento, espressionista.

L’andare a ricercare certi effetti è un po’ come una droga, una schiavitù, una dipendenza: esigerebbe una ferrea personalità, il farne a meno. Altro che due persone rintronate davanti a una vernice trasparente assurta forse a panacea di questi guasti del terzo millennio.

La mia ansia, lo so, è situazionale. Ho voglia di sottrarmi. E se l’ansia per Darwin è un’emozione preziosa, però diventa un problema se ti blocca i processi mentali di elaborazione. Ed è inquietante anche quel pizzico d’invidia che provo per la tranquilla acquisizione dei fatti da parte di Ramon, e per quel suo leggero favolare su queste cose. Mi dà delle risposte divaganti, e certo, come ha detto Pirandello, “i libracci di filosofia gli hanno sconcertato il cervello”.

Sì, nella scorsa puntata Ramon parlava appunto “dell’enorme fortuna che gli era toccata di trovare l’arcivernice”. Addirittura dichiarava di pensare che l’Arcivernice fosse proprio questo: la lettura diretta dei grandi classici, che ci parlano con le loro proprie parole, senza mediazioni ermeneutiche. Invece per me quel sentire “parlare con le proprie parole”, sono allucinazioni acustiche sacrosante ed autentiche, dove si avvertono voci inesistenti. Neanche “acoasmi”, quindi, che sarebbero forse fenomeni un po’ meno insidiosi, allucinazioni più semplici, leggere, come fruscii, campanelli, sibili, ronzii, per cui uno può cavarsela andando dall’otorino a farsi riscontrare un acufene. Qui sono proprio voci articolate, e oltretutto fornite anche di contenuti. Un ampio spettro di voci, sonore, dolci, vibranti, stentoree, che sembrano proprio collocate fuori dalla nostra testa, là nell’ambiente esterno; con un sapore di verità e realtà, sembrano provenire proprio da una persona.

Avverto un brivido che mi attraversa verticalmente la schiena: mi sa tanto che qui il significato prognostico sarebbe sfavorevole. Depone per un quadro di follia, altro che l’acufene.

Ci sono tutti gli elementi di Jervis: l’ambigua sovrapposizione, la confusione tra il sentire la voce “nelle” orecchie oppure il sentirla “con” le orecchie, e così via. E il rischio è dunque la dissociazione, che poi caratterizza le condizioni psicotiche. È la Spaltung di Bleuler. E gli ingredienti, anche qui, ci sono tutti: c’è la trasformazione fantastica della realtà e c’è la direzione autocentrica, perché interpretiamo i fenomeni di quelle incarnazioni come se si rivolgessero a noi, senza più il vaglio critico.

Già, tutto dipende dalla relazione tra Io/il nostro corpo, e Mondo Esterno: se i confini si perdono, se la definizione e il limite tra il nostro spazio interno e quello esterno sono imperfetti e confusi, e se il vissuto interno si decompone e frana su quello esterno…

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Giulia Jaculli