Didattica laboratoriale e multidisciplinarietà

Una delle dicotomie pedagogiche che hanno avuto non facile risoluzione, costituendo oggetto di discussione per molti secoli, è quella tra “teoria” e “pratica” in educazione, tra “istruzione” e “formazione”, tra “pensiero” e “azione”, ma di recente risoluzione grazie ai contributi del pensiero di J.Dewey e J. Bruner.

Il primo autore ha dato un contributo determinante per il costituirsi della didattica laboratoriale: “… Il pensiero che non è connesso con un aumento di efficienza per l’azione… è un pensiero che lascia a desiderare in quanto tale. E l’abilità ottenuta al di fuori del pensiero non è connessa con alcun senso degli scopi per i quali deve essere adoperata… e l’informazione separata dall’azione riflessiva è cosa morta, un peso inutile sulla mente” (1). Per Dewey, pensiero e azione svolgono un’azione sinergica e s’integrano con la realtà, al fine di comprenderla e, se necessario, modificarla.

Bruner, invece, parla di principio di esternalizzazione, esprimendo in maniera diversa lo stesso concetto di Dewey: “… L’esternalizzazione libera l’attività cognitiva dal suo carattere implicito, rendendola più pubblica, negoziabile e solidale. Al tempo stesso la rende più accessibile alla successiva riflessione e metacognizione…” (2). Bruner, dunque, attribuisce fondamentale importanza alla realizzazione di opere, frutto dell’attività cognitiva di un individuo.

In linea con il pensiero contemporaneo, le Indicazioni Nazionali (3) parlano di didattica laboratoriale legata a un “sapere” (le conoscenze) legato al “saper fare” (le abilità) e al “saper essere” (l’agire intenzionale e consapevole) integrate nell’unitarietà della persona.

La nostra tradizione scolastica è sempre stata quasi esclusivamente fondata sulla tradizionale via deduttiva: concetti, nozioni, schemi logici, vengono prima studiati e poi “eventualmente” verificati praticamente. A superamento di quest’ atteggiamento riduttivistico bisogna favorire un apprendimento del “sapere” congiunto con quello del “fare”, un “fare riflessivo” in cui l’allievo apprende in quanto reso attivo e consapevole della situazione didattica (4).

In linea con le considerazioni precedenti, nella mia pratica scolastica utilizzo la didattica laboratoriale, in piccolo gruppo, per promuovere competenze cognitive e metacognitive. Nell’esperienza che qui vi descrivo, in quanto insegnante di sostegno, ho inserito nel piccolo gruppo un alunno che presenta un deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD), per attivare un’esperienza di laboratorio interdisciplinare di Robotica Educativa.

L’idea progettuale qui proposta nasce e si realizza per migliorare le deficitarie capacità attentive, contenere l’iperattività e l’impulsività dell’alunno in questione. L’intento è di determinare una modificazione del comportamento del bambino, in un contesto di didattica laboratoriale, attraverso interventi finalizzati al contenimento delle sue problematiche e a un progressivo incremento della stima di sé.

L’attività di Robotica Educativa, proposta in questo laboratorio, si è rivelata stimolo efficace a favore della motivazione allo studio delle discipline, con conseguente ricaduta positiva sull’acquisizione di conoscenze e competenze.

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Elena Gallucci