La diversità attiva la Scuola

Tra le tensioni più forti che ha la scuola oggi c’è quella di capire il suo posto nella società, specie riferendoci alla Scuola Pubblica, quella a cui la Costituzione affida la responsabilità di garantire a tutte e tutti l’accesso libero e gratuito all’istruzione (artt.33 e 34) creando un ponte esplicito verso l’articolo 3, quello che chiede che siano rimossi gli ostacoli affinché ciascuno possa esprimere sé stesso, la propria personalità e abbia accesso alle condizioni per realizzarsi nella società.

La Scuola, lo vediamo, è oggetto di ben altri tipi di attenzioni, lo Stato stesso, con il Ministero della Difesa in testa, trova vantaggioso riversare nelle menti e nell’immaginario di bambini e ragazzi imperiosi e più opportuni convincimenti come, ad esempio, l’orgoglio della Patria e la fascinazione per l’audacia e la forza con cui difenderla ovunque nel mondo. L’assalto premeditato, perché dettagliatamente pianificato, dell’Esercito in tutte le sue componenti alla Scuola, è un fenomeno di massa che reclama attenzione e reclamizza quanto sia buono investire il proprio giovane futuro nelle Forze Armate.

A quella stessa scuola si rivolge anche il mercato, con proposte e richiami più specifici, ma potenzialmente ancor più divaricanti, chiedendole di fornire, più che persone, “addetti” che abbiano chiaro che successo e benessere si ottengono con assennatezza e duttilità e siano pronti a dismettere, o quantomeno a contrarre richieste, pretese e principi nel nome di una competitività che a buon bisogno diventa una delle prime qualità per eccellere nella scuola stessa.

Di che parliamo quindi? Di Scuola Costituzionale o di Scuola-uniforme o Scuola-mercato? Sappiamo che quelle elencate sono solo alcune delle tensioni che insidiano e confondono il ruolo della Scuola, ma sappiamo anche che, come ogni organismo vitale, la Scuola come “sistema vivente”[1] ha al suo interno anche i propri anticorpi contro queste derive distorsive.

Uno di questi germi di Scuola nuova, attivante e attiva lo ritroviamo in una nicchia ecologica della scuola pubblica, una di quelle presenze da Banca dei semi[2], un ceppo resistente e poco diffuso, che però mantiene vive e diffonde qualità e sapori originari, sebbene quasi dimenticati: la Scuola Pluriclasse.

In questo ultimo anno, all’interno del progetto Uno e Sette[3] si è svolto un percorso di ricerca-azione e di scrittura collettiva, che ha coinvolto insegnanti di 15 scuole della Val d’Agri e del Vulture Alto Bradano, che ha portato alla pubblicazione di un libretto: “Pluriclasse per scelta” ad opera del Consorzio CS Cooperazione e Solidarietà di Potenza.

I diversi incontri con i quali l’abbiamo presentato e discusso hanno restituito un quadro sempre più complesso e variegato, allargandosi alle esperienze di entrambi i versanti dell’appennino tosco romagnolo[4] e recuperando testimonianze piemontesi e campane, tutte consonanti nel valorizzare la didattica per gruppi eterogenei e il rapporto privilegiato con il territorio che caratterizza il lavoro nelle pluriclassi, avvicinandole fortemente al modello pedagogico di scuola attiva e cooperativa.

“Pluriclasse per scelta raccoglie e restituisce storie di vita, testimonianze di esperienze compiute insieme, tra i banchi di scuola e dentro al paese,” e ribalta lo stereotipo secondo cui “la pluriclasse è una scelta di ripiego delle piccole realtà in via di spopolamento, nel tentativo di porsi come controtendenza alla chiusura di queste scuole che ci ricordano la necessità di ripartire da valori e spinte vitali” che vanno in direzione della piena realizzazione del singolo e del gruppo e non solo della crescita industriale ed economica.

“In questo libricino – afferma il curatore della ricerca e educatore del Mammut, Giovanni Zoppoli – abbiamo raccolto una piccola parte dei contributi […] incontrati durante questo tempo prezioso di formazione e ricerca, grazie ai quali rispolveriamo le basi pedagogiche del lavoro in pluriclasse, quelle convalidate da fonti autorevoli e internazionalmente riconosciute. Forse anche per questo la sensazione finale – o almeno questa è quella che abbiamo avuto noi – sarà di avere tra le mani un piccolo manuale pratico teorico su come fare scuola oggi. Ovunque, e probabilmente ieri, oggi e soprattutto domani”.

“I grandi pedagogisti hanno copiato da me!” dice Teresa, appassionata maestra di pluriclasse, rivendicando la capacità di coniugare l’insegnamento a bambini dell’intero ciclo di primaria con un clima di grande affettività, accoglienza e valorizzazione delle differenze, o meglio di riconoscimento delle rispettive unicità. E le fa eco Rosa, che si è licenziata per “non finire in una scuola monoclasse” quando l’accorpamento scolastico ha premiato l’uso dello scuolabus alla difesa della comunità locale, ribadendo che nella Pluriclasse “Non hai una marcia in meno, sviluppa la capacità di vivere con gli altri, la biodiversità, il confronto tra scuola e comunità, il mettersi in gioco come persone”.

Simonetta Salacone, la grande dirigente scolastica dell’IC Iqbal Masih di Roma, che oggi porta il suo nome, nel suo “La Scuola può tutto” dichiara che: “nella scuola di stato niente è assoluto se non il valore dell’uguaglianza dei cittadini e la loro pari dignità sociale di fronte alla legge (art.3 della Costituzione)” ed elenca, tra le cose che possono salvare questo “assoluto” il:

  • “finanziare progetti che invitino gli alunni e i docenti a scambi e lavoro in comune, sia in orizzontale (tra scuole di pari grado) sia in verticale (si è mai pensato a quanto può essere utile che alunni più grandi “insegnino” ai più piccoli, raccontando esperienze, affrontando temi disciplinari e di attualità, trasmettendo competenze tecnologiche, ecc?);
  • avvicinare la cultura locale alle scuole e costringere anche le più restie ad aprirsi ai bisogni educativi locali, ma anche ad utilizzare le risorse culturali e ambientali del territorio[5]

Simonetta in questo testo non si riferiva alle Pluriclassi, ma come non vedere descritti in questo elenco due dei cardini costitutivi di questa esperienza? La scuola Pluriclasse infatti, con il suo congenito crescere insieme che ti toglie la paura di esporti di fronte al diverso da te, permette due paralleli percorsi evolutivi: ai più piccoli quello di apprendere per osservazione, assorbendo dal contatto con i più grandi non solo i saperi, ma anche comportamenti espressivi e fisici, attingendo ad altri linguaggi, e ai più grandi l’occasione, preziosissima in termini di consapevolezza, di rielaborare il proprio sapere e radicarne la comprensione nell’atto di trasmetterlo ai propri compagni. Inoltre, grazie alla contiguità con la comunità, la pluriclasse è in continuo contatto con “le risorse culturali e ambientali del territorio” e attinge a queste con naturalezza, costruendo nei suoi alunni una migliore e più radicata capacità di esportare il sapere scolastico nel proprio ambiente di vita e di rigiocarsi le esperienze fatte all’esterno nell’esperienza didattica.

In un altro dei suoi articoli, nel descrivere cosa sia la scuola, Simonetta Salacone afferma: “Serve una scuola che permetta a tutti di accedere alla conoscenza, nella molteplicità, multiforme e caotica dei diversi linguaggi e dei diversi saperi, perché questo oggi è il presupposto essenziale della cittadinanza e della realizzazione di ogni persona, ma è anche il presupposto per uno sviluppo sano e non dissipatore di risorse per tutta l’umanità.[6]

Sobbalziamo: davvero serve una scuola che ci accompagni nella “molteplicità, multiforme e caotica dei diversi linguaggi e dei diversi saperi” una scuola che si occupi di connettere e non di dividere, di far interloquire discipline e diversità? Ci risuonano le parole dette da un’altra protagonista delle Pluriclassi, quando denuncia lo spaesamento delle insegnanti che vengono dall’università con una competenza specifica disciplinare, alle quali il concetto di classi aperte, parallele, pluriclasse risulta sbalorditivo: “come ci si organizza?” messe in crisi dal dover fare i conti con una flessibilità che le spiazza.

Eppure le Pluriclassi hanno in sé la possibilità di insegnarci davvero qualcosa di questo principio di molteplicità a cui Simonetta Salacone ci invita, essendo un terreno privilegiato di “Uguaglianza tra diversi e diversità tra uguali. Pensiamo a quanto si è dovuto discutere a Scuola su cosa sia l’uguaglianza. Quanti dilemmi porta con sé questo valore, come possa essere allo stesso tempo difeso e travisato da chi pensa che l’uguaglianza sia dare a tutti la stessa cosa. È facile cadere in questa trappola in una classe di pari grado, l’insegnante, sembra di sentirlo parlare, ci dice che Lei (o Lui) non fanno favoritismi, trattano tutti alla stessa maniera. Ma, e torniamo a Lettera a una Professoressa, “non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diseguali” e anche questa è una consapevolezza che le insegnanti delle Pluriclassi hanno imparato a integrare, dovendo naturalmente fare i conti con le conoscenze, ma anche le preferenze, i tempi di reazione, i tratti della personalità di ciascuno dei loro alunni.

Allora riprendere l’esperienza delle Pluriclassi più che guidarci verso una nicchia del passato ci apre a una prospettiva di futuro, perché ci restituisce quello sguardo alla persona in quanto soggetto dell’apprendimento e quell’attenzione al gruppo in quanto luogo del confronto di cui parlano tutti i movimenti dell’educazione attiva, dai Cemea alla Montessori, dall’MCE al Ceis, alla Fasolo, alla scuola-città Pestalozzi.”[7]

Nella nostra società, in cui la complessità del vivere è sempre più vista come fattore di disagio e la convivenza tra diversi scatena sempre più paure e insicurezze (tanto da preparare summit per discutere sul tema della “remigrazione” e dei rimpatri di massa dei migranti), sembra anacronistico chiedere di salvaguardare e addirittura considerare fonte di insegnamento per tutti il modello delle Pluriclassi. Ma ci sentiamo di spezzare una lancia a favore di questa esperienza, che è spesso valorizzata più dagli enti locali che dal sistema scolastico, ma che ha dimostrato di saper tenere insieme scuola e comunità, utilizzando le forze e gli spazi del territorio per dare ai suoi alunni un metodo di studio, la capacità di concentrazione e autonomia personale e che sviluppa un ambiente in cui i ritmi di ciascuno sono curati e seguiti, in modo da fiorire e consolidarsi nello spazio dell’intero ciclo.

Una tipologia di scuola che mentre valorizza la diversità e guida gli alunni a comprendere e saper affrontare la complessità, chiede una disponibilità anche agli adulti insegnanti che la guidano ed organizzano, una capacità di memoria e di flessibilità, che non si appoggia agli studi né prende forza dalle discipline, ma che ci viene svelata come essenziale da un’altra delle protagoniste intervistate nel libretto citato, “la capacità di valorizzare la relazione, di saper leggere il contesto e di saper offrire ai propri alunni, così diversi e compositi, proposte e stimoli continuamente adattati al fluire dei loro stessi interessi. Una scuola così espone: chiede all’insegnante di saper stare in classe con tutti gli strumenti della propria professionalità, ma senza dimenticare il proprio bambino interiore, la vera bussola per sapersi orientare nel mondo delle pluriclassi.

Da queste insegnanti necessariamente “artigiane” nella bottega del piccolo gruppo e non “capireparto” di una catena industriale dell’insegnamento, può quindi prendere corpo una risposta nuova alla sfida segnata dall’articolo 3 della nostra Costituzione” che “parla dell’eguaglianza, ma rispetto a ciò che la impedisce, agli ostacoli che la negano e che sono da rimuovere, non con una risposta omologata, ma caso per caso, persona per persona, famiglia per famiglia, classe sociale per classe sociale, provenienza per provenienza.

Da questa eguaglianza della “dignità” di ciascuno nasce la richiesta che la scuola eredita nel suo compito di condurre bambini e ragazzi nell’età adulta, verso quel ruolo di “lavoratori” a cui li destina la nostra Costituzione, fondata sul lavoro. La Scuola della Repubblica, deve cioè saper scegliere se il suo obiettivo verso il bambino sia quello di inserirlo insegnandogli a “stare al proprio posto” o se invece si adopera per “fargli trovare il proprio posto nel mondo” guidandolo all’espressione di sé, alla sua misura, all’autonomia.”[8]

[1] Verso l’ecologia della mente – Gregory Bateson antropologo, cibernetico e epistemologo inglese

[2] La prima Banca dei semi fu creata negli anni 30 da Nikolaj Vavilov, un botanico e genetista sovietico antesignano degli studi sulla biodiversità, che studiava le potenzialità delle diverse specie e delle loro ibridazioni per individuarne i potenziali vantaggi ecologici e le possibili applicazioni in agricoltura. Vavilov, che sarebbe diventato membro della Royal Society, studiò in Gran Bretagna con William Bateson, inventore del termine “genetica” e padre di Gregory, l’antropologo e epistemologo iniziatore del pensiero ecologico.

[3] Uno e Sette è un progetto sostenuto dall’Impresa Sociale Con i bambini, realizzato dal Consorzio CS in partenariato con l’Ufficio Scolastico Regionale, Istituti Scolastici e Comuni del territorio e con una valente rete di soggetti del terzo settore

[4] https://www.ilrestodelcarlino.it/forli/cronaca/scuola-pluriclassi-monti-86aaf482

[5] Art del 6 febbraio 2010 – Come attutire il disastro pag. 199, da La Scuola può tutto a cura di Elena Pautasso et alii Ed AGRA 2018

[6] 25 Agosto 2015 – Cos’è la scuola pag.53, da La Scuola può tutto a cura di Elena Pautasso et alii Ed AGRA 2018

[7] Tratto dall’intervento alla Tavola rotonda conclusiva “La cooperazione nel codazzo educativo” di Claudio Tosi, su Pluriclasse per scelta pag.53

[8] Ibid.

Claudio Tosi Formatore, educatore, artigiano, dal 1967 attivo nei Cemea, Centri per l’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva, italiani e internazionali, segretario della Federazione italiana dei Cemea. Lavora presso il CSV Lazio sui temi del servizio civile e del volontariato giovanile