Una goccia nel mare o una svolta nelle politiche di integrazione?
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Entrano per la prima volta nella scuola gli insegnanti specialisti in italiano lingua 2. Una goccia nel mare o una svolta nelle politiche di integrazione?
Da settembre si aggiungeranno all’organico scolastico 937 docenti specialisti di lingua italiana come lingua seconda, 751 nel primo ciclo e 186 nel secondo. Destinatarie sono le classi in cui almeno il 20% degli alunni abbiano competenze linguistiche inferiori al livello A2 del Quadro Europeo delle Lingue. La distribuzione regionale dei nuovi docenti tiene conto dei numeri degli studenti con background migratorio: sono 182 le nuove assegnazioni in Lombardia ( che da sola accoglie il 25% del totale degli studenti di provenienza straniera ), 99 nel Lazio, 82 in Toscana, 70 in Emilia-Romagna, 65 in Veneto e così via. A Prato – il più alto tasso di studenti non italofoni ( 26% ) – gli specialisti assegnati dal ministero sono 8, un numero irrisorio rispetto al nutrito pacchetto di professionisti messo a disposizione da “Scuole plurali” , il progetto del Comune attuato da più di un decennio con risorse locali. Sebbene a rinforzo della nuova funzione vengano “riconvertiti”, quindi sottratti ad altri compiti, anche 250 insegnanti dell’”organico potenziato”, il provvedimento Valditara è una goccia nel mare. Gli studenti con back ground migratorio, ormai il 12% della scolarità, sono quasi un milione, e in continuo incremento anche nella secondaria di secondo grado, sempre di più anche nei licei. Ma i loro risultati medi nelle competenze di base, accertati da Invalsi, rivelano che si dovrebbe fare molto di più, molto meglio, molto prima fin dalla primaria e dalle scuole per l’infanzia per l’apprendimento dell’italiano, strumento chiave per quasi tutte le discipline. Neppure a tutti i nati in Italia ( quasi il 65% del totale dei “non cittadini”), che pure hanno risultati mediamente migliori dei nati all’estero, viene assicurata entro la conclusione dell’obbligo di istruzione la padronanza linguistica necessaria a misurarsi senza troppi inciampi con la complessità e la ricchezza della “lingua per lo studio”. Ciò significa, tra l’altro, che ai nuovi specialisti spetterebbe, al di là dello specifico impegno nelle classi con più studenti al di sotto del livello A2, dare anche un contributo decisivo al miglioramento della didattica in ambito linguistico degli insegnanti, non solo quelli di italiano ( ma non si sa, al momento, se sia previsto ).
La modestia dei numeri del provvedimento di Valditara non toglie però che la decisione di introdurre nella scuola gli specialisti di italiano lingua2 sia una mossa utile e, a certe condizioni, promettente. Era comunque attesa da tempo – ma delusa anche da governi non così ostili all’immigrazione come quello attuale – visto che l’istituzione della apposita classe di concorso A23 ( che risale al 2015, ministra dell’istruzione Giannini ) non aveva sortito finora alcun effetto ad eccezione dei poco più di 200 specialisti reclutati per via concorsuale ed assegnati, solitamente 2 per istituto, solo ai 127 Centri di istruzione per adulti. Da oggi e finalmente, dichiarano le associazioni degli insegnanti che nel frattempo hanno conseguito competenze e titoli nei percorsi di formazione iniziale o di specializzazione pur senza sapere se o quando avrebbero potuto spenderli formalmente nella scuola, l’insegnamento specialistico di italiano lingua2 entra a far parte strutturalmente dell’offerta formativa pubblica. La loro presenza nel primo e nel secondo ciclo non dipende più quindi dalla variabile presenza di progetti e finanziamenti speciali di Fondazioni, Enti Locali, fondi europei FAMI, terzo settore, volontariato. Dal “progettificio”, prezioso quanto si vuole ma anche in questo caso non in grado di consolidare e di dare continuità alle innovazioni. Vero, verissimo, da questo punto di vista il provvedimento Valditara è positivo, può essere l’inizio di una svolta, è comunque il segno di un possibile progressivo superamento di politiche di integrazione contrassegnate finora soprattutto dall’emergenzialità, come se l’immigrazione non fosse un fenomeno strutturale ( e come se la pluralità linguistica e culturale fosse, nella scuola e nel Paese, una minaccia invece che una potenzialità da riconoscere e sviluppare ). Ma è innegabile che, così com’è ora e non solo da un punto di vista numerico, la sua portata sia davvero modesta. Sono parecchi, infatti, i versanti del provvedimento che richiederebbero contestuali modifiche o implementazioni, in un approccio di tutti gli attori coinvolti autenticamente innovativo, con una cultura e una politica lungimirante e di profilo riformista.
Il primo versante su cui occorrerebbe intervenire è la sconcertante assenza, nel provvedimento Valditara, dell’insegnamento specialistico nella scuola primaria ( e di un’attenzione professionale speciale al formarsi del bilinguismo anche in quella dell’infanzia), pur essendo intuitivo che l’investimento nell’apprendimento di una lingua diversa dalla lingua materna che è la lingua “degli affetti” che si parla in casa, è tanto più efficace quanto più è precoce. Il secondo attiene alla necessità, ignorata dal ministero nonostante le numerose sollecitazioni in questa direzione, di dotare le scuole di uno strumento nazionale di accertamento scientifico del livello delle competenze linguistiche degli studenti con background migratorio, costruito o comunque validato dai quattro Enti certificatori attivi in Italia ( le due Università per stranieri di Perugia e di Siena, l’università Roma3, la società Dante Alighieri). Il terzo riguarda la definizione, che finora manca, dell’ambito di azione, delle modalità operative, del tipo di incardinamento ( classi, istituto, territorio?) degli insegnanti della classe A23, delle indicazioni alle scuole per evitare il rischio, già paventato da più parti, di dar luogo ad attività che portino gli studenti interessati in percorsi fuori della loro classe (come avviene troppo spesso con l’altra figura specialistica presente nella scuola, quella degli insegnanti di sostegno). Ci sarebbe poi anche un quarto versante relativo all’ inquadramento del potenziamento dell’apprendimento linguistico in una valorizzazione del plurilinguismo, una prospettiva che manca anche nelle Nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo.
I limiti del provvedimento Valditara, che riguardano anche altri aspetti cruciali ( per esempio i criteri della riconversione a questo ambito di attività degli insegnanti dell’organico potenziato, e come garantirne una rapida qualificazione professionale ) non derivano solo dalla fretta di varare un provvedimento che fosse immediatamente operativo e dalla evidente inadeguatezza di uno strumento attuativo della norma come quello, a cui si è fatto ricorso, dell’annuale decreto sugli organici. La spiegazione “politica” è un’altra, come è evidente guardando alle modifiche, per una volta positive, che nell’azione parlamentare di conversione in legge sono state introdotte al testo del decreto varato dal Consiglio dei ministri. Che non prevedeva affatto il contributo degli specialisti in italiano lingua2 nelle classi con almeno il 20% di studenti con competenze linguistiche inferiori al livello A2, ma solo in quelle con il 20% di studenti stranieri appena arrivati ( NAI ). Una logica ancora una volta emergenziale, in cui l’investimento si giustificava, per la parte politica di appartenenza di un ministro leghista, solo per far fronte alla vera o presunta impossibilità di gestire con le risorse ordinarie l’accoglienza e la didattica in classi invase da un numero insostenibile di nuovi arrivi. Peccato che, fatti due conti ( il 20% di nuovi arrivi significa, in una classe di 25 alunni, 5 NAI ), anche ai più disattenti o inesperti tra i parlamentari è stato facile spiegare che la norma non avrebbe avuto nessun effetto concreto perché anche nelle scuole di Prato, o in quelle di Milano o di Roma o di Bologna ad altissimo tasso di studenti con background migratorio non succede mai che i nuovi arrivi ( minori ricongiunti, minori non accompagnati, bambini e ragazzi appena arrivati) siano così numerosi e di età così omogenea , salvo che (ma sarebbe una violazione delle regole sulle iscrizioni oltre che del buon senso) gli istituti non decidessero, per farsi assegnare la risorsa specialistica, di concentrarli tutti nella stessa classe. Impensabile. Di qui gli emendamenti che hanno trasformato il testo originario introducendo il criterio delle competenze inferiori al livello A2, che riguarda anche i figli dell’ immigrazione stabilizzata compresi i nati in Italia, da accertare con appositi strumenti di testing. Un’operazione promossa dalla compagine di attori istituzionali, politici e professionali ( compreso l’associazionismo degli insegnanti della classe A23 ) che si addensa attorno all’esperienza del Comune di Prato. Per una volta la scuola reale, o meglio quella che dedica impegno civile e professionale all’integrazione, ha saputo farsi ascoltare dalla politica e dai decisori istituzionali. E’ un fatto positivo, che fa riflettere su come si possano ottenere risultati concreti anche nelle condizioni politiche più sfavorevoli. Ma è evidente che non si può contare su una svolta politica che non c’è o che non è autentica. E che molto, o quasi tutto, delle necessarie implementazioni è affidato all’intelligenza e all’impegno degli uffici scolastici regionali, dei dirigenti scolastici, degli insegnanti, delle istituzioni locali e delle risorse e dei soggetti che gli girano attorno.
Per approfondire il link all’ultimo numero di L2-ELLEDUE, periodico informazione e formazione per insegnanti di italianoL2
Fiorella Farinelli Politica e saggista, docente esperta di istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l'Integrazione degli alunni stranieri



