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Seconda (e ultima) lettera aperta alla professoressa Perla

Pubblicato il: 10/04/2025 13:48:32 -


…sperando di non esserle molesto
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Gentile professoressa Perla,

lo scorso luglio le ho scritto una lettera aperta mentre lei si accingeva a coordinare i lavori della commissione che avrebbe dovuto scrivere le indicazioni nazionali.

Trattandosi di una lettera aperta non richiedeva alcuna risposta. Il mio intento era quello di offrirle dei suggerimenti come membro del nucleo redazionale che ha elaborato le Indicazioni nazionali 2012, attualmente vigenti, avendo quindi piena consapevolezza dell’intensità del lavoro necessario per adempiere al compito che le è stato affidato.

Sono passati nove mesi da quella lettera e sono certo che lei abbia lavorato duramente non solo per pervenire a un testo completo e, almeno per lei e per i suoi collaboratori, convincente, ma anche per sostenere e gestire “l’urto” di una quantità impressionante di soggetti, direttamente o indirettamente coinvolti, che le hanno inviato o esposto le loro osservazioni e richieste, compresi gli articoli sui giornali e sui siti di informazione, le interviste, le contro-interviste, le interrogazioni parlamentari, i question-time, ecc. Un dibattito pubblico piuttosto acceso, animato da voci garbate e costruttive e anche da opinioni molto più drastiche e tranchant. Mi rendo anche conto che, di fronte a centinaia di richieste che spingono in direzioni diverse, la tentazione di dire “grazie, ma non possiamo venire incontro a tutti” è forte.

Ebbene, mi sento di dirle che questa tentazione non va assolutamente assecondata.

Voglio essere più preciso: andrebbe assecondata se davvero si potesse dimostrare che le persone chiedono tutto e il contrario di tutto. Ma se emergono delle questioni ampiamente condivise, anche da soggetti molto diversi tra loro, allora qualche domanda è necessario farsela.

Credo di aver letto quasi tutti gli interventi apparsi in questi giorni nei più diversi canali di comunicazione. Sono talmente tanti che si cominciano a vedere, qua e là, raccolte ragionate di questa congerie di opinioni e commenti. Ne cito una piuttosto completa e articolata per argomenti: la sezione, continuamente aggiornata, del sito della rivista del CIDI Insegnare che si intitola “Si legge, sulle nuove “Indicazioni nazionali”…”. Attualmente (10 aprile) vi sono elencati 49 articoli o simili, selezionati escludendo tutti quelli presenti sui social media perché, spiega la redazione di Insegnare, “li riteniamo uno spazio inadatto a sostanziare una discussione articolata e complessa”.

Anche solo a un primo sguardo non è affatto sostenibile che questi numerosi interventi siano dettati dalla (prevedibile) difesa del proprio interesse specifico. È vero piuttosto il contrario: quasi tutti hanno rinunciato in partenza a reclamare in modo corporativo uno spazio maggiore per il proprio approccio privilegiando alcune questioni davvero macroscopiche. E questo per un motivo molto semplice e preciso: quando i problemi sono tanti e diversi si rinuncia al dettaglio e ci si concentra sulle questioni basilari. Con una metafora presa in prestito dalla cultura medica: se un medico si trova di fronte un malato con tante patologie, o tanti traumi, il primo dovere è quello di individuare le patologie più rilevanti e potenzialmente letali.

Le questioni più rilevanti e, potenzialmente, letali

Per selezionare un numero limitato di questioni davvero rilevanti e generali, che si riverberano su tutte, o quasi tutte, le sezioni della bozza pubblicata l’11 marzo scorso, ho proceduto in questo modo. Per prima cosa mi sono stampato le 153 pagine del documento e l’ho letto integralmente, parola per parola, proprio come facemmo (per diverse volte) con le Indicazioni nazionali nel 2012. Questa prima revisione del documento ha prodotto una quantità di osservazioni strettamente tecnico-scientifiche che ho poi integrato con le osservazioni che sono riuscito a reperire (e comprendere) da parte di soggetti collettivi attendibili: dalle associazioni professionali alle diverse aggregazioni di università e società scientifiche che si sono fin qui espresse. Ho poi eliminato in blocco le osservazioni di dettaglio e ho raggruppato quelle più generali (e costruttive) in 7 diverse “tesi critiche”, inserendo, dove possibile alcuni spunti di soluzione o almeno di attenuazione delle criticità tratte dall’esperienza vissuta nell’elaborazione delle Indicazioni nazionali 2012.

Le elenco di seguito in modo molto sintetico.

  1. La lunghezza del documento e la forma linguistica costituiscono un problema in sé. Praticamente tutti i commentatori hanno sottolineato come il testo sia strutturato in modo troppo complesso e squilibrato e che lo stile linguistico sia tutt’altro che limpido, pieno di ridondanze, in molte parti autoincensatorio, pomposo e paternalistico (“Non abbia timore l’insegnante…”).
  2. Gli Obiettivi generali, le Competenze attese, gli Obiettivi specifici e le Conoscenze sono mal definiti, ridondanti e gerarchizzati in modo confuso.

Se è vero che, in ultima analisi, le Indicazioni nazionali dovrebbero stabilire gli “obiettivi generali del processo formativo” e gli “obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni[1], le quattro tipologie di traguardi adottati dalla Commissione (obiettivi generali, competenze attese, obiettivi specifici di apprendimento e conoscenze) non assolvono a tale compito perché intrecciano in modo poco chiaro le competenze del Ministro con altre “indicazioni di traguardo” che sono invece accessorie. Il risultato è che nessuno può capire quale parte debba ritenersi prescrittiva e quale no.

Faccio notare che la legge già citata (DPR 275/1999, articolo 8) parla di “obiettivi generali del processo formativo” e quindi si tratta di obiettivi davvero generali: relativi cioè all’intero percorso scolastico cui si riferiscono le Indicazioni nazionali.

Le Indicazioni nazionali del 2012 indicano infatti come (unico) obiettivo generale il conseguimento delle competenze delineate nel “profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione” che è riportato, non a caso, al termine del capitolo “Finalità generali”. Quel profilo, fortemente ancorato alle competenze-chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea nel 2006, e successivamente precisate nel 2018, riguarda nel suo insieme sia la scuola dell’infanzia che il primo ciclo di istruzione e cioè un segmento del percorso scolastico che va dai 3 ai 14 anni.

Per quanto riguarda gli “obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni” le Indicazioni nazionali del 2012 li indicano nei riquadri denominati “Traguardi per lo sviluppo delle competenze” che sono collocati solo al termine della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado. Invece quelli che le Indicazioni nazionali 2012 denominano “obiettivi di apprendimento” individuano “campi del sapere, conoscenze e abilità” ritenuti indispensabili ma, come tali, non prescrittivi. Questa formulazione fu adottata per salvaguardare l’autonomia curricolare delle scuole offrendo una sorta di quintessenza di quello che la comunità scientifica (pedagogica e disciplinare) ritiene imprescindibile senza però attribuirvi carattere di obbligatorietà giuridica.

  1. I “suggerimenti metodologico-didattici per i docenti” esorbitano dagli scopi delle Indicazioni nazionali e delineano una improbabile e invadente metodologia di Stato.

Questo aspetto è avvertito come lesivo della dignità professionale dei docenti. Ma come: tu sei lo Stato, sei il soggetto che attraverso la formazione universitaria e i corsi abilitanti mi ha abilitato alla professione docente e poi ti permetti di darmi dei suggerimenti come se ti rivolgessi a un dilettante? Sarebbe mai immaginabile che lo Stato fornisse suggerimenti metodologici simili ad altri professionisti che lavorano in strutture pubbliche (medici, architetti, commercialisti, ecc.). Mi chiedo, in particolare, se una cosa del genere sarebbe immaginabile se fosse rivolta a quegli stessi docenti universitari che hanno collaborato alla stesura della Indicazioni.

Qualcuno potrebbe chiedersi se le Indicazioni nazionali del 2012 siano prive di suggerimenti metodologici. Credo sia stato lo stesso Italo Fiorin, come coordinatore della Commissione del 2007, a porsi questa delicata questione. La soluzione che è stata adottata è quella di limitarsi ad un unico paragrafo intitolato “L’ambiente di apprendimento” (l’ultimo del capitolo “La scuola del primo ciclo”) nel quale non vengono dati suggerimenti metodologici disciplinari, né tantomeno proposte didattiche, ma sono unicamente riportati alcuni “principi metodologici generali per un apprendimento significativo”, validi trasversalmente per tutte le discipline e focalizzati non sulle tecniche didattiche ma sulle condizioni che favoriscono l’apprendimento di tutti. Il paragrafo dice infatti esplicitamente: “è possibile indicare, nel rispetto dell’autonomia delle scuole e della libertà di insegnamento, alcuni principi metodologici che contraddistinguono un’efficace azione formativa senza pretesa di esaustività”. In tutto il resto del testo non vengono mai dati suggerimenti metodologici.

  1. Gli “esempi di modulo interdisciplinare di apprendimento” oltre a eccedere dagli scopi del documento, privilegiano connessioni talvolta ovvie (“la musica, i suoni, e la fisiologia dell’orecchio” per le scienze); altre volte curiose e opinabili (“uso e abuso del telefonino” per la seconda lingua comunitaria); altre ancora ridicole (la corsa campestre per Educazione fisica).

Siccome la trasversalità tra le discipline e l’interdisciplinarità investono complessivamente la struttura del documento perché determinano la scelta di articolare il testo per singole discipline o per aree o ambiti, ho pensato di farne oggetto di un punto specifico. Ma, indipendentemente dalla scelta adottata, i 13 box con esempi di moduli interdisciplinari rappresentano un insieme disomogeneo, sia nella struttura del format che nel livello di connessione tra aree diverse, che potrebbero semmai costituire un repertorio di proposte, tutto da organizzare e riequilibrare, per una pubblicazione didattica, non certo per un documento normativo.

  1. I “suggerimenti di possibili ibridazioni tecnologiche” nascondono sotto la locuzione piuttosto criptica “ibridazione tecnologica” nulla di diverso da suggerimenti metodologici e, al pari di questi, eccedono dallo scopo del documento e condizionano la professionalità dei docenti.

La professoressa Perla ha detto più volte che le Indicazioni nazionali andavano riviste perché negli ultimi 13 anni sono emerse tematiche e opportunità didattiche molto rilevanti portando come esempio lo sviluppo delle tecnologie digitali. Ma è proprio perché il mondo digitale si è espanso enormemente e ha invaso le abituali pratiche didattiche che non è sensato indicarla, così insistentemente, come spunto per l’innovazione. Quello che sta succedendo è che tutti i docenti, a partire da quelli più giovani, si servono sempre più di strumenti digitali e di tecnologie informatiche ma che questo non corrisponde in alcun modo all’adozione di strategie didattiche innovative. L’innovatività di una didattica riguarda il livello di coinvolgimento degli alunni e la profondità degli apprendimenti che riesce a generare e è largamente indipendente dalle tecnologie utilizzate[2]. Tutto sembra suggerire che nel tempo la didattica sarà sempre più intrisa di dispositivi e tecnologie digitali ma la loro efficacia sarà comunque legata allo stile di conduzione delle attività didattiche del docente.

  1. La sezione “Istruzione integrata STEM” è contraddittoria rispetto alla scelta di articolare il documento in singole discipline e sbilancia l’intero impianto del documento.

Come già accennato la questione della trasversalità e dell’interdisciplinarità è un argomento cruciale che meriterebbe da solo un approfondimento a parte. Quello che davvero non si giustifica è l’inserimento della sezione STEM in un documento normativo come le indicazioni nazionali. Gli inventori dell’acronimo STEM, la National Science Foundation, si ripromettevano di promuovere lo studio di queste quattro discipline come motore dell’innovazione e della prosperità. Non si erano neanche posti il problema di stabilire se quelle quattro discipline fossero più affini tra loro di quanto lo siano altre discipline, tra loro e con le stesse discipline STEM. Può anche suonare bene un richiamo alle politiche di promozione delle discipline STEM ma non c’entra nulla con lo scopo del documento e, soprattutto, rende illeggibile l’orientamento della Commissione sulla questione di fondo: discipline singole o raggruppate?

Come è noto questo tema costituì una delle differenze di impostazione più rilevanti tra le Indicazione nazionali del 2012 e quelle del 2007 che erano articolate in tre aree: l’area linguistico-artistico-espressiva; l’area storico-geografica; l’area matematico-scientifico-tecnologica. Il documento del 2012 assunse una posizione diversa, a favore della trattazione per singole discipline, e ne diede una motivazione molto esplicita nel paragrafo “Aree disciplinari e discipline” nel capitolo “L’organizzazione del curricolo”: “Nelle Indicazioni le discipline non sono aggregate in aree precostituite per non favorire un’affinità più intensa tra alcune rispetto ad altre, volendo rafforzare così trasversalità e interconnessioni più ampie e assicurare l’unitarietà del loro insegnamento. Sul piano organizzativo e didattico la definizione di aree o di assi funzionali all’ottimale utilizzazione delle risorse è comunque rimessa all’autonoma valutazione di ogni scuola”.

  1. Le “Conoscenze” elencate in ogni disciplina, oltre a esulare dallo scopo del documento, sono formulate come un elenco disomogeneo e frammentato di concetti, abilità, nozioni che spingono verso una trattazione “a pagine di libro di testo” che, se da una parte vuole rassicurare i docenti più insicuri, dall’altra si dimostra indifferente rispetto ai modelli pedagogici più consolidati, tutti basati sulla mediazione tra conoscenze preesistenti in ogni alunno e saperi disciplinari per sviluppare una generale capacità di pensare piuttosto che sulla giustapposizione di apprendimenti scollegati tra loro.

Mi limito a un solo esempio relativo alle scienze e in particolare alla biologia. Nel paragrafo “CONOSCENZE” della sezione Scienze, scuola secondaria di primo grado, troviamo l’elenco riportato nel primo riquadro. Nel successivo riquadro sono invece riportati i corrispondenti obiettivi di apprendimento delle Indicazioni nazionali 2012.

Come si vede in questo caso il vecchio testo è più lungo del nuovo proprio per evitare un puro elenco di concetti e per evidenziare quali siano i processi di apprendimento che possono portare a una comprensione significativa di quegli stessi concetti disincentivando l’insegnamento trasmissivo di singole nozioni.

 

CONOSCENZE

Biologia

La cellula, riproduzione e cenni sullo sviluppo degli organismi pluricellulari, principi di genetica; differenze morfologiche e funzionali tra piante e animali; fotosintesi; anatomia e fisiologia dell’uomo; ecologia ed ecosistemi; ciclo del carbonio; principi di biologia evolutiva.

[Bozza 2025, pag. 111]

 

 

Biologia

–      Riconoscere le somiglianze e le differenze del funzionamento delle diverse specie di viventi.

–      Comprendere il senso delle grandi classificazioni, riconoscere nei fossili indizi per ricostruire nel tempo le trasformazioni dell’ambiente fisico, la successione e l’evoluzione delle specie. Realizzare esperienze quali ad esempio: in coltivazioni e allevamenti, osservare della variabilità in individui della stessa specie.

–      Sviluppare progressivamente la capacità di spiegare il funzionamento macroscopico dei viventi con un modello cellulare (collegando per esempio: la respirazione con la respirazione cellulare, l’alimentazione con il metabolismo cellulare, la crescita e lo sviluppo con la duplicazione delle cellule, la crescita delle piante con la fotosintesi). Realizzare esperienze quali ad esempio: dissezione di una pianta, modellizzazione di una cellula, osservazione di cellule vegetali al microscopio, coltivazione di muffe e microorganismi.

–      Conoscere le basi biologiche della trasmissione dei caratteri ereditari acquisendo le prime elementari nozioni di genetica.

[Indicazioni Nazionali 2012. Pag. 70]

 

Cosa farei se fossi il revisore ultimo (prima del Ministro), cioè si mi trovassi nei suoi panni, professoressa Perla?

Se avessi un tempo limitato e volessi mettere al riparo il documento da una percezione di grave estraneità da parte del mondo della scuola farei così. Per prima cosa mi dedicherei ad un esame approfondito di tutte le osservazioni e i suggerimenti pervenuti, decidendo quali sono accoglibili e quali no. Dopo di che opererei le seguenti modifiche generali del testo.

  • Eliminare gli obiettivi generali rimandando al Profilo dello studente.
  • Ristrutturare le competenze attese per ogni disciplina in modo che siano omogenee e esaustive.
  • Eliminare le conoscenze.
  • Ristrutturare gli obiettivi specifici di apprendimento in modo che comprendano un set ben equilibrato di conoscenze e abilità.
  • Eliminare (o spostare in un documento a parte) tutti i box con gli esempi di moduli interdisciplinari, i suggerimenti metodologici e i suggerimenti di possibili ibridazioni tecnologiche. Solo facendo questo si risparmiano circa trenta pagine.
  • Eliminare la sezione STEM.
  • Far revisionare in modo rigoroso il testo da una coppia di esperti di scuola (ad esempio due dirigenti tecnici) uno con riconosciute competenze pedagogiche, l’altro con una solida esperienza di revisione e editing di testi di normativa scolastica.

Forse, in questo modo, si otterrebbe un testo ugualmente rispondente al mandato del Ministro ma, almeno, appropriato ed equilibrato nella sua impostazione e nella forma.

[1] Articolo 8 del DPR 275/1999.

[2] Rapporto OCSE – “Students, Computers and Learning” (2015). “L’evidenza disponibile mostra che gli studenti che usano molto i computer a scuola tendono ad avere risultati peggiori nei test internazionali di lettura, matematica e scienze.”

Paolo Mazzoli, Responsabile di progetti nazionali, è stato membro della commissione De Mauro per l’elaborazione dei curricoli nazionali, Capo della segreteria del sottosegretario Marco Rossi Doria ( governi Monti e Letta ), membro del nucleo redazionale delle indicazioni nazionali (2012) , direttore generale dell’Invalsi dal 2014-2020

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