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Scienza e tecnica nelle nuove indicazioni per la scuola di base

Pubblicato il: 06/06/2025 12:10:07 -


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Le Nuove Indicazioni non sono certo un esempio di sobrietà e di coerenza istituzionale. Lo spiega bene Paolo Mazzoli nella sua seconda lettera aperta, qui pubblicata, alla professoressa Perla, coordinatrice della Commissione che le ha elaborate. Le  Indicazioni spiegano il valore formativo delle discipline, ne definiscono i fini generali, le  competenze attese, gli obiettivi da raggiungere e l’elenco dei contenuti. Quest’ultimo molto spesso inutile perché del tutto implicito negli obiettivi. Dopo di che, invece di fermarsi a un ragionevole richiamo all’uso di metodologie didattiche coerenti con gli obiettivi, il documento si trasforma in un manuale di didattica che include di tutto: da un mix dei possibili metodi didattici, fino a esempi di moduli/unità interdisciplinari. 

Il gruppo delle discipline scientifiche e tecniche non sfugge a queste critiche, anzi, per certi versi, le merita anche di più. Con un lavoro preliminare è stato raccolto, messo a disposizione della commissione e pubblicato in appendice al documento, un insieme di raccomandazioni estratto da consultazioni e da documenti di organismi internazionali. Il documento raccomanda, per esempio, l’essenzializzazione (“non multa sed multum”) dei contenuti e segnala il rischio di una secondarizzazione della scuola di base. Raccomandazioni chiaramente non percepite dalla commissione. Il dettaglio, la densità  e spesso il livello degli obiettivi e dei contenuti dà invece l’impressione di un piccolo liceo.

 La composizione dei gruppi di lavoro spiega abbastanza bene questo risultato: non solo sono piuttosto pletorici, ma soprattutto non c’è traccia di insegnanti del livello scolastico di cui si tratta: solo docenti universitari o di liceo. E’ vero che è finita (soppressa) l’epoca delle sperimentazioni, ma è possibile che non ci siano docenti della scuola primaria e secondaria di primo grado di cui sia emersa, nella ricerca, nelle associazioni, nell’editoria, la professionalità?

Le critiche maggiori alle Indicazioni per le scienze sono venuta dalle associazioni dei matematici e in particolare dall’Unione Matematica Italiana. Due sono le critiche principali. La prima è la scarsa rilevanza dell’approccio laboratoriale, che è al centro della ricerca e sperimentazione sulla didattica della Matematica in tutto il mondo e, sulle tracce dello storico esempio di Emma Castelnuovo, anche in Italia. La seconda critica riguarda l’introduzione dell’informatica nella matematica. Non il fatto in sé, ma il modo: è l’aggiunta di una seconda disciplina nella cattedra di Matematica non una vera integrazione. Un modo per definire questa possibile integrazione è la frase che Ada Lovelace, quasi duecento anni fa, scrisse nel suo saggio sulla Macchina Analitica di Babbage: “La Macchina Analitica può diventare il braccio destro operativo dell’algebra astratta….” 

Per capire il problema delle scienze e della tecnica è utile ripercorrere le vicende di queste discipline nelle riforme. Con la legge che, abolendo la scuola di Avviamento al Lavoro, si istituì nel 1962, la scuola media unica, furono introdotte le Osservazioni Scientifiche e le Applicazioni Tecniche. Queste ultime opzionali in alternativa al latino. Gli insegnanti di Applicazioni Tecniche erano ex insegnanti dell’Avviamento, per lo più diplomati tecnici.  I nomi per ambedue le discipline testimoniano un’epistemologia minimalista. La successiva riforma del 1978 eliminò il latino e rinominò le due discipline: Scienze e Tecnica. Sono gli anni del grande dibattito epistemologico sulla scienza e sulla tecnica che portarono a una visione più complessa delle discipline. Successivamente si è aggiunta, in seguito alla crisi ambientale e all’impatto sociale delle nuove tecnologie, l’istanza di un’educazione ai problemi etici e sociali. Un carico di competenze non facile da tenere insieme. Per questo sono stati proposti metodi didattici più complessi: scoperta guidata, educazione scientifica basata sull’indagine, metodo dei progetti. Ma questi richiedono forti competenze didattiche dei docenti, strumenti e ambienti di apprendimento adeguati, repertori di materiali sperimentati. Condizioni che possiamo eufemisticamente giudicare improbabili. 

Il caso peggiore è quello della Tecnica, che meriterebbe una discussione a parte, e per la quale servirebbe un recupero della pratica intelligente, sulla scorta dell’”Uomo Artigiano” di Richard Sennet o dello Zen di Pirzig (Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta). Le nuove indicazioni non hanno risolto questo problema, per esempio definendo competenze meno enfatiche. Tendono anzi ad aggravarlo aggiungendo lunghi elenchi di contenuti. 

La questione delle tecnologie digitali è affrontata in premessa con il consueto mix di promozione e caveat etico. Il loro uso è promosso qua e là in quasi tutte le discipline in particolare a partire dalla scuola secondaria di primo grado. Fa capolino anche l’IA per la quale è curioso, ma in realtà logico, che le indicazioni didattiche più concrete riguardino l’Italiano. Ma naturalmente e inevitabilmente siamo al livello del bricolage.

La novità è l’introduzione dell’informatica come oggetto di studio. La soluzione proposta è quella di una divisione di compiti fra Matematica e Tecnica. La prima si dovrebbe occupare degli algoritmi, le strutture dei dati, i linguaggi, la programmazione. La seconda degli aspetti sistemistici: apparati hardware, software di base, applicazioni. Apparentemente una soluzione ragionevole. Ma si sono già viste le obiezioni dei matematici che criticano la struttura di un vero e proprio corso parallelo alla loro disciplina. Si aggiunga un repertorio di obiettivi/contenuti che, nonostante le numerose qualificazioni di “semplice” per i vari argomenti, una specie di “excusatio non petita”, non è molto diverso da quello che si potrebbe proporre almeno nel primo biennio della secondaria superiore.

Le Indicazioni si occupano, giustamente, di competenze e di contenuti. Ma occorre ragionare sulle condizioni strutturali che li rendono raggiungibili. Una questione che viene spesso sollevata è quella del numero delle discipline, di cui si chiede la riduzione con accorpamenti, delle cattedre e dei titoli di studio dei docenti.  In realtà questo problema è meno rilevante di quanto si pensi. Dando uno sguardo a quello che avviene in altri paesi si scopre che il numero e il nome delle discipline è molto simile. In Francia, ed è addirittura superiore nella mitica scuola Finlandese, dove si distinguono, ad esempio, scienze della natura, fisica e chimica. Quello che conta è l’organizzazione e la qualità della didattica, il modo in cui le discipline sono distribuite fra i vari insegnanti sulla base delle loro competenze, la flessibiltà curricolare, le opzionalità e le aggregazioni delle classi Ma ancora più contano le condizioni strutturali: il tempo pieno, gli ambienti, le attrezzature. E, naturalmente, la preparazione specifica dei docenti. Ma questo è un discorso che merita un altro spazio

 

Mario Fierli

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