Riforma o restaurazione? La scuola discute le Nuove Indicazioni
Sulla bozza delle Nuove Indicazioni ( da notare la scomparsa di quel “per il curricolo” del testo del 2012 ), si moltiplicano le reazioni negative del mondo della scuola. All’incontro promosso da un gruppo di associazioni professionali la mattina del 2 aprile alla Terza Università di Roma hanno partecipato in molti – più di 1200 i soli collegamenti on line – con un dibattito vivace fino al tardo pomeriggio. Ha avuto successo anche il confronto organizzato da Tuttoscuola tra Loredana Perla coordinatrice della commissione che ha elaborato il testo e Italo Fiorin, protagonista e testimone del processo di definizione, e poi di aggiornamento, delle Indicazioni Nazionali che il ministro Valditara ha deciso di rottamare. Ma si ha notizia di altri incontri di formazione, prese di posizione, analisi. Tra cui la severa lettura di ANDIS – il punto di vista dei dirigenti scolastici- e i contributi di associazioni su base disciplinare, linguistica, storia, matematica, informatica.
Una pluralità di angolature, voci, competenze di cui c’è bisogno. Sia per venire a capo di un testo di disagevole lettura, strutturato e scritto in modo disordinato, ingombro di discordanze e ambiguità che tradiscono un governo quanto meno approssimativo dei lavori della commissione. Sia per evitare le contrapposizioni solo ideologiche, le preferite – si direbbe – da un ministro che nelle anticipazioni alla stampa ha ripetutamente mostrato di essere interessato più a scatenare la rissa che mobilita solo i sodali che ad argomentare, coinvolgere ( e tanto meno concordare ). La “moratoria” richiesta dalle associazioni è il tentativo estremo di restituire dignità a una consultazione delle scuole che, nonostante la concessione di uno spazio un po’ più largo per valutazioni e proposte ( dagli iniziali 200 caratteri a 2000 ), resta offensiva perché affidata a un questionario scientificamente inaffidabile. Che idea ha il ministro Valditara dell’intelligenza della scuola italiana ?
Ma la levata di scudi contro le Nuove Indicazioni, e prima ancora, sul perché la riscrittura totale di un testo che, dopo l’aggiornamento del 2018, avrebbe avuto bisogno solo di qualche integrazione (per esempio sull’intelligenza artificiale), non significa dare per scontato che quelle del 2012 siano diventate il pane quotidiano di tutte le scuole. E’ anche su questo che occorrerebbe riaccendere la luce. Intanto per confutare la tesi della professoressa Perla secondo cui sarebbero le precedenti Indicazioni la causa dei modesti risultati della scuola italiana. Ma soprattutto perché, se non si allarga il campo, non si può andare tanto lontano in un coinvolgimento esteso e profondo degli insegnanti. Non si tratta infatti solo dei limiti pur gravi di una formazione del personale scolastico che non ha saputo accompagnare ovunque una nuova cultura professionale di docenti e dirigenti. Ad impedire che il vangelo diventasse pratica generalizzata è stato in primo luogo il duraturo deserto di iniziative riformatrici in grado di modificare ordinamento, struttura, organizzazione, funzionamento della scuola. Il paradigma della “complessità”, sia come orizzonte di senso dell’educare e dell’apprendere negli anni e nell’Europa del Duemila sia per quel che comporta in termini di ricerca, didattica, culture e figure professionali vecchie e nuove, avrebbe avuto bisogno di ben altro che di soli aggiustamenti, effimere e mai verificate sperimentazioni, progetti speciali. Ma negli ultimi decenni c’è stato solo questo. Anche le risorse e le riforme del PNRR, per lo più depotenziate o vanificate, non sono servite allo scopo.
Si potrebbero fare fin troppi esempi. Può forse bastare il solo richiamo allo stato dell’”inclusione”, uno dei principi fondamentali delle Indicazioni 2012. I suoi dispositivi, in primis il “sostegno” agli studenti in difficoltà ( ma anche alla classe di accoglienza ), sono in piena crisi di efficienza, efficacia, credibilità sociale. Travolti da un lato dai processi di “medicalizzazione” estrema, e relative categorizzazioni, di ogni forma e causa di disagio, dall’altro dalle distorsioni nella formazione, nel reclutamento, nella gestione del personale determinate da interessi e convenienze di tutti i soggetti in campo, tranne quelli degli studenti e delle famiglie. Col risultato che tra disabilità certificate, DSA e BES, si allarga di anno in anno smisuratamente la platea degli studenti con accertata difficoltà, e con essa l’abbassamento delle aspettative di apprendimento. Non solo. Quasi il 60% dei ragazzi con certificazione di disabilità cambiano da 8 a 14 insegnanti di sostegno nel primo ciclo, un buon terzo dei docenti è privo di specializzazione, la formazione specialistica è di sempre minore qualità, in molte scuole si stanno silenziosamente affermando processi segregativi. Fuori dell’aula, in tempi e spazi separati. A riflessioni altrettanto critiche porta l’analisi di quell’inclusione, che si chiama “integrazione “, degli studenti con background migratorio, ormai più dell’ 11% della popolazione scolastica, il 20-25% in alcune aree del paese, in gran parte nati in Italia. Le Indicazioni del 2012 hanno contribuito a costruire nelle scuole, e anche nell’opinione pubblica nonostante la “divisività” del tema, un’idea generosa e lungimirante di integrazione, e un impegno professionale e civile di alta qualità, sostenuto in più casi da Enti Locali, Regioni, università, e dalla migliore editoria scolastica. Ma nemmeno l’ispirazione offerta dalla suggestiva e convincente definizione di “ricchezza difficile” dell’ispettore Giancarlo Cerini, uno dei protagonisti di quella mediazione tra impostazioni politico-culturali diverse che è la cifra delle Indicazioni del 2012, ha potuto, senza le giuste politiche, fronteggiare gli effetti dei numerosi fattori avversi al successo di una sfida tanto decisiva quanto complessa. In molte città cresce, senza interventi apprezzabili dell’amministrazione scolastica, una spiccata polarizzazione etnico-sociale degli istituti scolastici anche dentro il ciclo obbligatorio. La scuola italiana continua a non disporre di specialisti in italiano lingua2 e, dove occorrono, di mediatori linguistico-culturali. Tutta o quasi l’innovazione organizzativa e didattica necessaria all’integrazione, è di fatto affidata al volontariato professionale, finanziamenti europei, progetti temporanei di Fondazioni e altri enti. I bambini e i ragazzi con background migratorio, anche nati in Italia, sono senza ragione sovrarappresentati tra i disabili certificati e tra i BES. I ritardi scolastici, gli insuccessi, gli abbandoni sono assai più frequenti che tra i coetanei “italiani di sangue”. I nostri risultati su questo tema sono tra i più scadenti nelle classifiche internazionali.
E’ fisiologico, in questo contesto, che non bastino le buone Indicazioni. E’ spiegabile inoltre che le criticità su cui non si interviene alimentino e rafforzino inerzie e vizi professionali. Nella scuola di oggi, che vanta realtà eccellenti , ce ne sono anche di tutt’altro segno. Lì può circolare, e già circola, l’aria cattiva della nostalgia per il “maestro-magis”, quello enfatizzato da Valditara e dal magnifico duo Perla-Galli Della Loggia, per i programmi prescrittivi, per l’insegnamento trasmissivo e per i disciplinarismi, per l’autorità garantita dallo stare in cattedra. E’ quasi sicuro che se le Nuove Indicazioni entreranno in vigore così come sono, quell’aria cattiva si rafforzerà e dilagherà, peggiorando di molto il profilo e il clima educativo della nostra scuola. Nonostante le prerogative dell’autonomia scolastica, nonostante la libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione. Perciò è importantissima una mobilitazione culturale e professionale delle scuole di lunga durata, capace di entrare nel merito di tutto ciò che intendono imporre le Nuove Indicazioni per il primo ciclo. E quelle già annunciate per il secondo . Anche se ogni buon insegnante di storia non può che rifiutare la sola idea di un insegnamento finalizzato, invece che ad acquisire gli strumenti per capire com’è fatto il vasto mondo di cui siamo parte, a formare un’identità nazionale o nazionalistica. Anche se non dovrebbe sfuggire a nessuno cosa c’è dietro a un italiano per la primaria concentrato su grammatica, scrittura manuale, memorizzazione che sposta non si capisce perché sulla letteratura, ovviamente solo o prevalentemente italica, gli obiettivi fondamentali dell’educazione linguistica. Anche se è solo segno di ignoranza che la matematica non preveda più l’apprendimento in laboratorio e che debba svolgere una funzione servente rispetto all’informatica. Anche se non è difficile capire che le 30 ore l’anno di latino nelle ultime due classi di scuola media, oltre a non essere al momento fattibili in mancanza di insegnanti preparati a farlo, sono solo lo specchietto per allodole nostalgiche del ginnasio selettivo morto e sepolto nel lontano 1962. Non c’è una sola pagina del ponderoso testo delle Nuove Indicazioni che non riveli passatismo, provincialismo, chiusura culturale, autoritarismo. E una fantastica inconsapevolezza di cosa serve a una scuola moderna, democratica, europea. Nonché di come sono, e che bisogni educativi hanno i bambini e i ragazzi di oggi.
Qui abbiamo raccolto documenti delle associazioni che discutono sulle Indicazioni Nazionali.
Fiorella Farinelli Politica e saggista, docente esperta di istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l'Integrazione degli alunni stranieri