Quando studiare negli USA era un privilegio
![Il manifesto elettorale di Donald Trump sulla scuola è una delle più controverse manifestazioni di politica pubblica degli ultimi anni; sono in gioco la regolazione dello stato, la competizione tra le scuole e considera famiglie e studenti come clienti dell’offerta educativa e l’educazione stessa come un prodotto da scegliere sul mercato, regolatore del servizio, in grado rispondere all’inadeguatezza determinata dal monopolio statale. Solo la competizione può ristrutturare l’istruzione al disopra di ogni altra riforma; per alcuni imprenditori si apre la […]](https://www.educationduepuntozero.it/wp-content/uploads/2025/10/come-funziona-l-high-school-1-360x246.jpg)
Il manifesto elettorale di Donald Trump sulla scuola è una delle più controverse manifestazioni di politica pubblica degli ultimi anni; sono in gioco la regolazione dello stato, la competizione tra le scuole e considera famiglie e studenti come clienti dell’offerta educativa e l’educazione stessa come un prodotto da scegliere sul mercato, regolatore del servizio, in grado rispondere all’inadeguatezza determinata dal monopolio statale. Solo la competizione può ristrutturare l’istruzione al disopra di ogni altra riforma; per alcuni imprenditori si apre la porta degli affari nel settore, mentre per i gruppi etnici c’è la possibilità di coltivare la propria cultura.
Il mosaico delle diverse opzioni varia in relazione al livello di povertà dei territori, alla presenza di scuole appartenenti a organizzazioni religiose e alla variabile contesto urbano e rurale. Nella distribuzione degli studenti incidono soprattutto il background socio-economico, il livello di istruzione dei genitori e l’appartenenza etnica.
La prospettiva di una regolazione onnicomprensiva federale, approvata dal Congresso, appare incerta, sia per l’indipendenza rivendicata dagli stati e dai distretti scolastici e sia per il futuro che avrà il Department of Education destinato, secondo le affermazioni di Donald Trump, ad essere abolito.
Il dibattito sul fallimento del neo-liberismo è tutt’altro che sopito; i prossimi anni saranno la cartina di tornasole per confermare o smentire che l’affidamento al libero mercato possa essere risolutivo.
Il Presidente è pronto con uno dei suoi tanti ordini esecutivi ad abolire il Department of Education nonostante vi abbia nominato una responsabile con l’approvazione del Senato. Sulla legittimità di tale atto sono già state espresse parecchie perplessità e nel merito può essere utile un approfondimento, in quanto il sistema scolastico americano ha sempre esercitato una certa influenza, sia dal punto di vista pedagogico che organizzativo, su altri Paesi. Sembra non trattarsi tanto di una furia descolarizzatrice, che voleva affidare l’educazione alla società senza avere nessun intermediario, tanto meno la scuola, considerata un’istituzione alienante. Saranno più le tecnologie infatti che potrebbero agire un po’ovunque come antiscuola.
Trump sembra farsi interprete di un diffuso malcontento per la forma istituzionalizzata del servizio educativo, che, a suo dire, “controlla i nostri figli”. La questione del governo in capo allo stato nazionale o alle comunità locali e l’autonomia dei singoli istituti è un problema che riguarda diversi Paesi tra i quali anche l’Italia; non siamo infatti contenti di un sistema centralistico che manifesta inefficienze e disequità, ma proprio coloro che contestano il centralismo, compreso Trump e suoi fans italiani, di fatto sono i propugnatori di un’ideologia nazionalista che li vuole soli al comando.
Lasciare completamente sola la famiglia nella scelta delle opportunità educative per i figli però significa perpetuare la selezione sociale in atto in Italia come in America: i genitori possono insegnare intenzionalmente ciò che sanno e questo proviene dalle esperienze vissute, da qui nascono decisioni che dirigono lo sviluppo dei figli, ma l’educazione è anche un importante agente di mobilità, per preparare il fanciullo per il mondo più vasto.
La funzione della scuola americana è quella di raggiungere una più forte uguaglianza basata sulla comprensione culturale dei problemi; il governo nazionale sta esercitando un crescente monitoraggio sui contenuti scolastici minimi, i curricoli e i metodi di insegnamento in tutta la nazione, così come accade per la valutazione per mezzo dei test di quelle materie coperte da standard di apprendimento. E’il governo federale, con l’amministrazione sia conservatrice che democratica, a supportare programmi per le fasce deboli degli studenti.
Se davvero Trump vorrà recidere quel legame che c’è tra stati e governo nazionale rischierà di mandare all’aria anni di lavoro per costruire un “sistema delle autonomie” al quale si guarda con interesse da molte parti del mondo.
Dopo il secondo conflitto mondiale il sistema formativo americano ha fatto da apri pista all’innovazione di quelli europei, compreso il nostro; una diversa apertura della scuola verso la società ha posto le basi per il superamento di pedagogie nazionaliste, accompagnando lo sviluppo e il consolidamento delle democrazie sociali con riforme comprensive ed egualitarie; ha ispirato la stagione dell’attivismo per una didattica che ponesse al centro la personalità dello studente facendolo partecipare alla gestione del proprio percorso di studi, pur con una valutazione nazionale che tenesse a bada la qualità dell’intero sistema gestito dai singoli stati e da strutture territoriali. Non parliamo poi dell’università che da un lato ha dovuto affrontare i tempi della contestazione giovanile con la richiesta di maggiore democrazia e dall’altro la sua autonomia e le opportunità di ricerca e di innovazione, in stretto rapporto con un sistema produttivo fra i primi al mondo, ha creato una notevole attrattività da parte di giovani di diverse provenienze che hanno contribuito ad incrementare gli organici degli stessi atenei, divenendo per tanti occasione di esperienza professionale e riuscendo a collegare i ricercatori tra di loro, dentro e fuori gli Stati Uniti, anche per coloro che hanno fatto ritorno ai loro Paesi, ma che continuano a beneficiare del progresso scientifico e dei rapporti a suo tempo instaurati.
Il sistema scolastico e universitario ha costituito l’ossatura imprescindibile dei vari Sati e dell’intero Paese, raggiungendo un equilibrio invidiabile quanto ad autonomia gestionale, quantità delle risorse impiegate ai diversi livelli e capacità di tenere sotto controllo la qualità del prodotto. Basti vedere come per l’Italia sarebbe utile un’applicazione efficace di questi elementi, mentre a quasi un secolo di distanza non riusciamo a raggiungere standard accettabili su nessuno di essi, fatta eccezione per l’analisi degli apprendimenti i cui risultati anziché rivolgersi alla politica per indurre miglioramenti vanno di nuovo ad aumentare le difficoltà degli allievi.
Come dire che noi come altri in Europa si continua a guardare agli USA nell’ottica della stabilizzazione delle democrazie politiche trasferite anche nelle istituzioni formative e accademiche, dell’aumento delle spese per la formazione multilivello, cioè capace di responsabilizzare una governance articolata che sostiene i diversi sistemi economici e produttivi in un’ottica di globalizzazione e di innovazione.
Assistere a quanto sta succedendo dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza è a dir poco sconvolgente e rischia di mandare all’aria non solo i risultati interni agli USA, ma anche quel file rouge che dai tempi di Dewey ha legato i vari sistemi dalle due parti dell’Atlantico tra di loro e che hanno costituito negli anni una forza di carattere pedagogico e culturale, un valore sia per i giovani, che in tanti hanno potuto compiere esperienze educative e professionali nei vari Paesi, sia per le politiche dei vari governi.
La scuola viene dunque lasciata agli Stati, il sistema federale si ritira diminuendo i finanziamenti; la portavoce della Casa Bianca ha detto che le future generazioni devono essere educate sulla base dei bisogni dell’economia del Paese, oltre alla promozione dei “valori americani”: servono manovali, idraulici ed elettricisti e non laureati. Il disprezzo della cultura si scontrerà ben presto con la necessità per qualsiasi professione che vive sempre più di tecnologie e di intelligenza artificiale di essere gestita con competenze sempre più elevate: il college è sempre stato per la persona ancora prima della professione.
La critica continua in maniera ancor più radicale nei confronti dell’università, di alcuni corsi di studio e della frequenza offerta a tanti giovani stranieri, congelando fondi statali e mettendo a rischio i visti di permanenza nel paese; gli strali di cui sono fatte oggetto dal potere politico non riguardano, come nel sessantotto, la ricerca di un equilibrio tra richieste studentesche e scelte governative, ma si tratta di richiamare i giovani all’obbedienza.
E’ già vietato l’ingresso nelle università americane a studenti che stanno sopportando non poche fatiche culturali ed economiche per accedervi, così come chi c’è già può essere espulso; qui si tratta di rischiare un’altra generazione, come se si vivesse in una zona di guerra e come in parte è accaduto per effetto della Brexit in Inghilterra. L’Italia perde ogni anno una notevole quantità di studenti che dopo la maturità si dirigono verso questi Paesi e per questo rischia di disperderli; dobbiamo fare qualcosa per farli ritornare e per incentivare anche altri studenti stranieri a frequentare le nostre università, dal momento che qui c’è il calo demografico, in modo che possano rimanere anche dopo, cercando soluzioni economiche più attrattive.
L’ingerenza politica avviene in nome della sicurezza nazionale da garantire con la fedeltà ideologica, il governo interviene sulla natura della conoscenza e con misure amministrative che delineano un nuovo sapere di stato (etico). Se c’è un pericolo autoritario negli USA offriamo un Paese, l’Italia che possiede ancora solide garanzie costituzionali sui principi di libertà e democrazia e le università non sono covi di disubbidienza, e poi anche per gli americani fra quattro anni ci sarà modo di ricredersi.
Gian Carlo Sacchi Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.



