Obbligo scolastico, un diritto negletto
Il tema dell’obbligo scolastico è riapparso nel panorama italiano, dopo anni di silenzio, in seguito alla proposta di subordinare il riconoscimento della cittadinanza al completamento del percorso obbligatorio.
Il discorso si è subito arenato ma è servito a far riemergere l’assoluta inadeguatezza della nostra legislazione sul tema dell’obbligo, percorso che in quasi tutto il mondo rappresenta la pietra angolare di ogni sistema scolastico.
Permettetemi di inserire qualche dato biografico che può contribuire a sottolineare la farraginosità dell’iter normativo su un tema così importante.
Io sono nata nel luglio 46 quindi subito dopo le elezioni per la Repubblica e l’Assemblea Costituente.
Nel 1947 l’Assemblea Costituente approva l’art. 34 della Costituzione che recita che l’istruzione, impartita per almeno 8 anni, è obbligatoria e gratuita.
E’ evidente che i padri costituenti avevano già in mente che la nuova società che andava avanzando avrebbe richiesto un grado sempre maggiore di scolarità ma al momento il paese era alle prese con una ricostruzione faticosa e le risorse a disposizione erano scarse; in quell’ almeno si sente il suggerimento che si doveva andar oltre, appena possibile.
Nel 1962, a 15 anni dall’entrata in vigore dell’art 34, viene approvata la legge 1859 che istituisce la Media Unica. La legge ha un impatto sociale notevolissimo anche se non modifica l’obbligo che rimane ai 14 anni.
Per farvi capire meglio la situazione, quando nel 1957 io finii la 5° elementare a Torino in una classe di 30 bambine facemmo l’esame di ammissione alla media, esame al quale ci si preparava privatamente, solo in 3; le altre 27 rimasero a casa o andarono a lavorare o alle commerciali che preparavano al lavoro.
La legge sulla scuola media unica ebbe il coraggio di cambiare di colpo questa situazione e fu un vero tornado culturale, certamente necessario per smuovere una situazione che si trascinava dal dopoguerra, ma in sede legislativa non si riuscì ad accordarsi sull’innalzamento dell’obbligo.
Dal 62 al ‘99 la situazione rimane immutata per 37 anni, mentre la scuola italiana cerca di trovare le vie di adattamento alla nuova scuola di massa.
Finalmente nel 1999 l’allora ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer presenta una legge di riforma che prevede tra l’altro, da subito, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 15 anni e introduce l’obbligo formativo ai 18 anni.
Nel 1999 io ho 53 anni, lavoro dagli anni 70 in una maxi-sperimentazione, mi sono specializzata in orientamento e penso di essere alle soglie di una riforma che dopo cinquant’anni modifichi il sistema scolastico italiano e lo porti ai livelli degli altri paesi, lo metta in grado di rispondere alle nuove sfide formative.
La riforma stenta a passare. Per difendere l’innalzamento dell’obbligo, con un decreto lo si alza di 1 solo anno e quindi, in attesa del riordino, l’obbligo passa ai 15 anni e coincide con il primo anno delle superiori.
Nel 2003 interviene la riforma Moratti che abroga la legge Berlinguer in toto e introduce il diritto dovere, non più obbligo, fino a 18 anni.
L’obbligo scolastico vero e proprio rischia di tornare agli “almeno 8 anni”, come nel 47, si rischia, cioè, addirittura una retrocessione di un diritto acquisito.
Infine nel 2006 l’obbligo passa a 10 anni quasi di nascosto, in una legge di bilancio, art.1 comma 622, dopo il comma sul Bingo.
Obbligo silenzioso … in un quadro di indifferenza istituzionale … nel paese non se ne accorge quasi nessuno.
Nel 2007 vengono emanati i decreti attuativi e le relative linee guida che sottolineano in particolare la questione delle competenze da assicurare alla fine del percorso obbligatorio, anche in relazione alle richieste dall’Europa, ma la scuola superiore continua a funzionare con i voti numerici, la formazione dei docenti in materia è scarsa e la certificazione dell’assolvimento dell’obbligo diventa nella maggior parte dei casi un pro-forma, di cui sfugge l’importanza non solo agli studenti e alle loro famiglie, soprattutto a quelle straniere ma anche alle aziende, al mondo del lavoro che in maggioranza continua a richiedere il diploma di terza media, ormai attestato di conclusione del primo ciclo di istruzione.
Ad oggi, l’obbligo decennale di istruzione si può assolvere:
1) nelle scuole statali e paritarie (Licei, Tecnici, Professionali) della secondaria di secondo grado,
2) nei percorsi triennali e quadriennali dell’istruzione e formazione professionale (IeFP) erogati dai centri di formazione professionale accreditati dalle Regioni e dagli istituti professionali in regime di sussidiarietà,
3) nei percorsi di apprendistato a partire dal quindicesimo anno di età ( DL n°81, art 43, 15 giugno 2015) e
4) nella scuola parentale
Ora siamo nel 2025 io ho 79 anni e mi ritrovo a parlare di come dar corpo e sostanza ad un diritto fondamentale in un paese civile, pietra angolare di ogni sistema scolastico. E’ evidente che un obbligo che prevede i primi 2 anni di qualsiasi scuola o indirizzo professionale o addirittura apprendistato senza approfondire la questione del raccordo tra cicli e sistemi è già una legge debole in partenza, che richiederebbe di essere rivista nelle sedi parlamentari e non rattoppata a forza di decreti e circolari.
Allo stato delle cose sarebbe opportuno almeno garantire la necessaria vigilanza sull’obbligo decennale, vigilanza resa più complessa dal momento che l’obbligo è a carico di sistemi diversi (scuola, FP, lavoro).
Un controllo sistematico dell’osservanza dell’obbligo scolastico e formativo dovrebbe essere affidato a reti territoriali di tipo formalizzato (enti locali , scuola -CPIA compresi, FP, Centri dell’impiego, enti del terzo settore) che dovrebbero avere un mandato chiaro e specifico di vigilanza.
Le reti dovrebbero organizzarsi per garantire percorsi di orientamento e accompagnamento in tutto il percorso formativo che assicurino una continuità di interventi e non lascino abbandonati a sè stessi né i minori, né le loro famiglie fino al “buon fine” dei percorsi.
Se il controllo della normativa sull’obbligo viene svolto con un certo grado di affidabilità dalle scuole primarie e dai comuni, per quanto riguarda la frequenza post primaria siamo al caos assoluto.
Ultimamente con il decreto Caivano si è addirittura prevista una pena di due anni di reclusione per i genitori che non mandano a scuola i figli in obbligo scolastico.
Il decreto ha paradossalmente diminuito le segnalazioni dei casi per il rischio di lasciare minorenni in abbandono, senza genitori e ha aumentato la resistenza di scuole ed enti locali all’avvio delle procedure.
L’importante non sono le sanzioni per i genitori ma la prevenzione dell’abbandono, la messa in campo di interventi mirati e l’utilizzo di risorse professionali, formate ad hoc.
Ad esempio perché non utilizzare per la vigilanza sull’obbligo anche le figure introdotte per l’orientamento? Certamente sarebbe necessaria una formazione ben più ampia di quella fornita ad oggi ma credo sarebbe una strada praticabile.
L’obbligo scolastico può essere flessibile e offrire anche scelte formative diverse dall’istruzione vera e propria, ma la rete territoriale di riferimento deve essere formalizzata in modo che sia chiaro l’impianto organizzativo, deve essere previsto chi fa cosa, quando e con che obiettivo formativo.
Naturalmente vanno considerate condizioni assolutamente prioritarie per un’effettiva realizzazione dell’obbligo il discorso sulla gratuità dei libri di testo, e l’importanza di un’offerta scolastica a tempo pieno, mensa compresa in tutto il territorio nazionale.
A quasi ottanta anni dall’entrata in vigore della Costituzione siamo ancora lontani dall’aver dato piena attuazione all’obbligo scolastico; ancora oggi siamo in una situazione di disorientamento generale ancor più grave se ci riferiamo alla situazione degli studenti stranieri. In questi anni la scuola italiana è stata letteralmente sommersa da progetti non sempre utili e quasi mai rispondenti a bisogni reali. E’ come se continuassimo a cambiare le tendine in un edificio dalle fondamenta pericolanti.
Un sistema scolastico efficace ha bisogno di appoggiarsi su una normativa chiara, su un pensiero pedagogico forte, capace di interpretare i bisogni formativi delle giovani generazioni, di orientarli in un mondo globale, in continuo cambiamento.
Un obbligo silenzioso, pasticciato, incompiuto, non può che essere fonte di abbandono e di dispersione scolastica.
Rilanciare il tema dell’obbligo significa tornare a lavorare sulle fondamenta del sistema scolastico, sulla sua architettura, raccordare e approfondire il rapporto tra istruzione, formazione professionale e modo del lavoro, ridiscutere percorsi formativi adatti ad affrontare le sfide future, non riproporre desuete pedagogie. investire nella sicurezza e nell’ammodernamento di tutti gli edifici scolastici, in tutte le regioni. Servono mense, palestre, campi sportivi, laboratori scientifici, manuali, informatici, è necessario rendere le scuole attrattive, pagare meglio e formare adeguatamente il personale, prevedere figure di coordinamento didattico, istituire servizi di orientamento e di supporto psicologico.
Serve soprattutto ricerca e riflessione collettiva.
Da decenni andiamo avanti con modifiche in itinere, decreti, circolari che finiscono con il logorare il personale scolastico e disorientare i genitori senza ottenere miglioramenti significativi nella qualità degli apprendimenti e nella preparazione generale degli studenti.
Ora serve ricerca e riflessione collettiva…per ricostruire un sistema scolastico di senso a partire dalla questione prioritaria dell’obbligo scolastico .
Credo sia arrivato il momento di riportare il dibattito sulla scuola al centro in tutte le sedi.
Abbiamo modelli in Europa con cui confrontarci, università che possono essere coinvolte. Serve soprattutto riaprire con coraggio il dibattito politico sulla questione cruciale della scuola e della formazione professionale.
Domande aperte
- Siamo sicuri che 5 anni di primaria, 3 di media e 5 di superiore siano un’architettura scolastica ancora valida?
- Siamo sicuri che piani studi con 10 materie tutte obbligatorie siano formativi?
- Siamo sicuri che serva istituire diplomi che cerchino di attrarre studenti inserendo parole come sport, tv, teatro, cinema….nei loro piani studi ?
- Sono state fatte ricerche su dove trovino occupazione i diplomati dei vari istituti tecnici e professionali ?
- Sono state fatte ricerche sulle percentuali di superamento dei test di ammissione all’università (in primis per le professioni infermieristiche, sanitarie, sociali e di cura), degli studenti provenienti dagli istituti professionali?
- Serve avere due percorsi statali quinquennali paralleli di istruzione tecnica e professionale ?
- Non dovremmo pretendere in tutte le regioni una scuola professionale di qualità che, pur nelle differenze di impostazione curricolare, offra le stesse opportunità formative dei percorsi di istruzione (corsi di educazione fisica curricolari, lingua straniera…)?
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Elisabetta Cicciarelli, Docente di Scienze Sociali nella scuola secondaria, si è occupata di orientamento scolastico, prevenzione dell’insuccesso scolastico e integrazione di alunni stranieri e rom a livello di istituto, di rete di scuole e di istituzioni scolastiche (UST e USR). Dal 2005 collabora stabilmente con il Settore Educazione della Fondazione Ismu, sia come formatore sia come projet leader di progetti nazionali ed europei sull’integrazione dei migranti.