Emergenze educative e competenze non cognitive
![La storia della scuola italiana è fondata principalmente sulla trasmissione della nostra tradizione culturale, e quando è emerso il tema dell’attenzione alle persone degli studenti è stato difficile integrare le due componenti, l’istruzione e l’educazione. Se nei documenti istituzionali si è trovato il modo di conciliare e contemperare, il concreto agire didattico è stato invece connotato da un conflitto, latente ed irrisolto, che ha condizionato negativamente il successo formativo. L’insegnamento ha dovuto e deve farsi carico sia dell’accumulo dei […]](https://www.educationduepuntozero.it/wp-content/uploads/2025/07/young-entrepreneurs-discussing-business-documents-informal-meeting-concept-teamwork-scaled-1920x960-1-360x180.jpeg)
La storia della scuola italiana è fondata principalmente sulla trasmissione della nostra tradizione culturale, e quando è emerso il tema dell’attenzione alle persone degli studenti è stato difficile integrare le due componenti, l’istruzione e l’educazione. Se nei documenti istituzionali si è trovato il modo di conciliare e contemperare, il concreto agire didattico è stato invece connotato da un conflitto, latente ed irrisolto, che ha condizionato negativamente il successo formativo. L’insegnamento ha dovuto e deve farsi carico sia dell’accumulo dei saperi che della relazione tra le persone, come se il lavoro sui contenuti fosse altro dalla crescita umana e sociale.
Ancora oggi le riformate Indicazioni Nazionali per il primo ciclo ripropongono la visione gentiliana della scuola, mentre le criticità che si manifestano nel comportamento dei giovani e nella loro motivazione allo studio segnalano la necessità di recupero di una dimensione educativa in grado di farsi carico di tutte le povertà nella vita degli studenti, ma anche nelle famiglie e nella società. Tale sensibilità ha portato forze politiche di orientamenti anche diversi ad approvare una legge per la formazione delle competenze “non cognitive”- definite in modo negativo forse per togliere quella connotazione cognitivista che la scuola porta con sé in via prioritaria – al fine di evidenziare l’importanza dell’educazione affettiva, emotiva, relazionale e sociale.
Questa operazione, passata un po’ sotto silenzio e ancora trascurata nelle sue necessarie ricadute dalla pur solerte amministrazione scolastica, è stata accusata oltre che di “buonismo” anche di effetti negativi sulla scuola. Nel senso di distoglierla dalle sue finalità primarie, cioè quelle cognitivo-culturali, e di trasformarla in una sorta di “luogo di cura”. Nelle nuove Indicazioni nazionali quello che è importante sono le conoscenze e le discipline ( storia, geografia, italiano, latino), mentre le competenze non cognitive fanno parte del bagaglio che l’insegnante porta con sé nelle diverse situazioni con i singoli alunni e la classe.
Le situazioni di disagio scolastico sono note da tempo, esse sfociano nell’abbandono, nella violenza, non sono semplicemente da ascrivere ad uno scarso apprendimento o punibili con voti di condotta, necessitano di strategie educative specifiche che vedono la scuola sulla frontiera della dispersione dei giovani anziché della loro crescita e del loro orientamento alla vita sociale e professionale. Soprattutto dopo la pandemia sembra che questi sintomi siano aumentati facendo precipitare i giovani in un isolamento tecnologico che li ha demotivati ulteriormente all’attività di apprendimento.
Matteo Lancini, psicologo e docente, scrive su Repubblica della mancanza di adulti significativi, a dispetto di chi pensa che basti ristabilire un po’ di sane regole perché torni tutto a posto; l’unica cosa che salva genitori e figli, ma anche i docenti, è la capacità di incontrarsi: alla base di un rapporto interrotto ci sono soprattutto i “grandi”. Abbiamo bisogno di parlare delle emozioni e fatichiamo a farlo, ma è cruciale l’assenza di un adulto di riferimento, il che fa aumentare il potere orientativo sia dei coetanei che di internet. C’è una nuova costruzione identitaria dei ragazzi da indagare, ragazzi che a scuola sono timidi e sui social seguono gruppi neonazisti: anziché elaborare il loro disagio lo trasferiscono in un mito di violenza.
Un’intervista COOP/NOMISMA ad un campione rappresentativo esprime una forte domanda di educazione alle relazioni; i soggetti chiamati ad intervenire sono nell’ordine i genitori, gli insegnanti, gli allenatori sportivi. Sarebbe la scuola, per la quasi totalità degli intervistati, che dovrebbe promuovere programmi in tal senso, con particolare riferimento all’informazione sessuale, ai rapporti interpersonali, in collaborazione con esperti esterni, attraverso la predisposizione di appositi spazi di ascolto, la formazione dei docenti, incontri con i genitori e gruppi di discussione; per ultimo l’uso di strumenti digitali. Le relazioni, per il 70% degli intervistati, dovrebbero essere una materia scolastica obbligatoria, a partire dalla scuola primaria. Quali sono le figure risultate più importanti in tali attività: madri 44%, partner 25%, amici 19%, insegnanti 13%. L’informazione sessuale rimane il tema più difficile da trattare e le principali difficoltà incontrate nel dialogo con i figli minorenni riguardano il timore di suscitare in loro ansia, imbarazzo, timore di affrontare argomenti tabù e chiusura da parte dei figli stessi. Il 60% degli intervistati però dichiara che i giovani non hanno mai partecipato ad iniziative scolastiche di questo tipo e quelli che vi hanno preso parte ne sono usciti “abbastanza” soddisfatti.
La situazione che sta affrontando il nostro sistema educativo è sotto gli occhi di tutti e la domanda di normalizzazione dei rapporti emotivi, affettivi e delle relazioni tra i giovani e le diverse generazioni è molto elevata. Per questo è bene poter usufruire di un ombrello legislativo che aiuti gli enti e le realtà sociali impegnati nella crescita armonica delle persone e nella costruzione delle comunità. Con la legge n. 22 del febbraio del 2025 si introducono competenze non cognitive e trasversali nei percorsi degli istituti scolatici statali e paritari e nei centri per l’istruzione degli adulti nonché in quelli di istruzione e formazione professionale. Con questo provvedimento si riconoscono tali attività come componenti del progetto educativo e della didattica della scuola, facenti parte della formazione integrale della personalità, per poter migliorare il successo formativo.
Il Ministero è impegnato a favorire iniziative finalizzate alla promozione delle competenze non cognitive e trasversali emanando apposite linee guida e organizzando un piano pluriennale di formazione dei docenti. E’ inoltre prevista una sperimentazione nazionale, secondo le prerogative del collegio dei docenti, che ci si augura possa aprire il lavoro scolastico al territorio.
Si tratta di un provvedimento , non molto articolato nella previsione delle strategie di intervento ma rappresentativo di un intento diffuso che viene però a cadere in un momento politico in cui le competenze non cognitive sono ritenute scarsamente significative nell’insegnamento scolastico. E’ auspicabile che il ministro emani comunque in breve tempo i provvedimenti applicativi e che si possa investire la scuola di un compito che sicuramente può sostenere in modo efficace la formazione dei giovani.
Gian Carlo Sacchi Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.



