Vecchi concorsi e nuove figure professionali nella scuola
E’ noto che nella pubblica amministrazione e dunque anche nella scuola le assunzioni vengano fatte per concorso, ma essendo i posti legati al numero degli alunni e non alle caratteristiche strutturali dell’istituto gli organici risultano piuttosto instabili ed il ricorso al personale precario, soprattutto docente, rende difficile prevedere i tempi di svolgimento delle procedure concorsuali ed una programmazione su base nazionale, anche se le prove si svolgono a livello regionale ma con un unico bando, ne prolunga ancora di più i tempi di realizzazione, che spesso non coincidono con il calendario scolastico, per cui le nomine durano un po’ tutto l’anno, con frequenti cambi sullo stesso posto. Il problema tutto italiano è il precariato permanente, che si continua ad alimentare con il ricorso ai supplenti, che con l’andare del tempo fanno acquisire diritti di servizio, e la posizione in graduatorie permanenti alimentano l’aspettativa di stabilizzazione.
Il PNRR avrebbe voluto inaugurare una nuova via, che mettesse in relazione la preparazione iniziale, la formazione in servizio, con la progressione di carriera, ed il possibile allineamento salariale su base europea, ma il debito dei precari, meno presente in altri Paesi ai quali si è ispirato lo stesso Piano, ha costretto invece a costruire due percorsi paralleli, uno per i nuovi ingressi e l’altro per chi aveva già maturato periodi di insegnamento riconosciuti dalle stesse disposizioni europee come utili per l’immissione in ruolo; non potendo tuttavia mettere in atto sanatorie, piuttosto diffuse in precedenza nella nostra scuola, si è dato vita ad una stagione di concorsi assolutamente inedita.
I concorsi cosiddetti riservati si sono svolti secondo un profilo professionale piuttosto tradizionale ed hanno riguardato la maggioranza del personale, mentre i nuovi ingressi avrebbero potuto innovare la figura del docente ed i necessari requisiti, a cominciare dalle modifiche alle classi di laurea e di concorso, che hanno cercato di aprire i percorsi disciplinari alle così dette competenze trasversali, sempre più richieste sia dallo scambio tra le culture soprattutto professionali, sia dalle capacità di costruire il sapere a partire da una realtà complessa.
Elaborare un percorso di preparazione all’insegnamento è stato per anni di difficile realizzazione, in quanto anche per difetto di metodologie di orientamento ad hoc è riuscito solo nella scuola primaria, mentre per la secondaria il dibattito tra i saperi e la psicologia degli alunni ha consentito di trovare un equilibrio solo attraverso i crediti universitari nell’ambito di una laurea magistrale, che facesse ottenere anche l’abilitazione.
Una volta però messo il piede in cattedra i nostri docenti non gradiscono di essere sorvegliati e l’idea in atto in tanti Paesi in cui la carriera o gli incentivi economici vengono attribuiti attraverso la valutazione, è ostacolata dai sindacati, che pensano ad una contrattazione per mansioni aggiuntive e non entrare a discutere la qualità dell’insegnamento, come previsto dalla legge 107/2015, ma franata ben presto in sede di applicazione.
Il “docente stabilmente incentivato”, introdotto dalla legge 142/2022, per quanto riguarda uno sviluppo di carriera dettato dalla formazione in servizio, è colui che avrebbe conseguito una valutazione positiva in tre percorsi formativi consecutivi, il provvedimento riguarda però una parte del personale, mentre i sindacati lo vorrebbero per tutti, ma mancano le risorse, così tutto il processo si è arenato. L’indirizzo culturale e professionale di tale formazione, nonché il monitoraggio dei risultati, sarebbe stato affidato alla Scuola di alta formazione dell’istruzione (SIFA), istituita dal D.Leg.vo 59/2017, ma ben presto divenuta un ufficio dell’Amministrazione scolastica.
Si incrociano così i precari stabilizzati ed i nuovi assunti; le diverse sensibilità e le pressioni sindacali fanno correre il rischio di attenuare l’innovazione, e bisognerà vedere poi se i risultati saranno in linea con le riforme attese dal PNRR. Fino a qui si è tenuto il modello dell’unicità della funzione docente, che comprendeva in un diverso rapporto a seconda dei gradi di scuola il prevalere della dimensione educativa e quella dell’istruzione, ma andando avanti sembra venga richiesto per gli alunni più piccoli un incremento di conoscenze soprattutto legate alle tecnologie digitali e per quelli più grandi che la scuola non rinunci a tenere sotto controllo i comportamenti, nel perseguimento di competenze non cognitive, per cercare di contenere il disagio giovanile e di contrastare la dispersione, oltre che arginare la violenza e la devianza. Da parte sua lo Stato acuisce le punizioni, arretrando rispetto a norme che tendevano alla responsabilizzazione e alla partecipazione di studenti e genitori, e cerca di articolare le professionalità, soprattutto tra i docenti, per renderle adattabili a queste nuove esigenze altrimenti definite emergenze.
Insegnanti che si possono specializzare per assumere funzioni tutoriali, di orientamento, o addirittura contratti con psicologi ed altre figure educative esterne, provenienti dal sociale, nell’ambito di patti di comunità. Questi operatori possono entrare in contatto con gli alunni, non solo con quelli problematici, per la realizzazione di progetti finalizzati al ristabilimento di relazioni positive ed alla costruzione di reti formative territoriali. La qualità dell’istruzione si sta spostando dal migliorare l’insegnamento a far fronte a bisogni impellenti di comunità scolastiche che tendono a disgregarsi e necessitano di supporti che sappiano rafforzare la dimensione preventiva: un gruppo di docenti per un gruppo di alunni, andando oltre anche alla composizione ed al funzionamento degli attuali organi collegiali, rimasti perlopiù sulla carta ad alimentare la burocrazia. Sembrano essere queste le nuove funzioni alle quali sono destinati gli incentivi economici da elargire a singoli docenti adeguatamente formati; passano in secondo piano attività collegiali di gestione del curricolo, in passato molto valorizzate, e valutazione degli alunni, per i quali si preferisce uno sbrigativo giudizio sintetico rinunciando al monitoraggio del processo educativo.
Senza considerare poi che l’ingresso nelle classi comuni di alunni con disabilità pur avendo costituito una svolta nel carattere di umanizzazione del nostro sistema formativo, manifesta ancora notevoli criticità dovute alla presenza di docenti di sostegno non adeguati sul piano delle necessità, delle competenze e della continuità didattica. Il dibattito ha sempre visto contrapposte due visioni: una educativa che voleva tali docenti a lavorare per l’intera classe, l’altra, più clinica, che andava da un supporto da parte di un’equipe specialistica, fino ad attribuire la funzione del sostegno a psicologi di istituto. Al fine di sviluppare una scuola più decisamente inclusiva una recente proposta di legge vuole introdurre una cattedra nella quale i docenti incaricati sui posti comuni effettuano una parte del loro orario con incarico su posto di sostegno, mentre quelli con incarico su posto di sostegno effettuano, anche nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa dell’istituto, una parte del loro orario su posto comune.
Un significativo intervento sulle figure professionali ha bisogno di altrettanta capacità di innovazione in merito alla governance. Se all’interno degli istituti occorre maggiore flessibilità per regolare i processi organizzativi, sul piano della individualizzazione degli apprendimenti e delle esigenze del territorio, dall’esterno va rinforzata l’autonomia degli istituti stessi e la costruzione di reti che sappiano ridurre i divari territoriali; deve essere ripreso l’organico di istituto con una gestione plurifunzionale e pluriennale, affinchè il personale, soprattutto docente, possa essere gestito dagli istituti medesimi, nel perseguimento sia di finalità istituzionali generali, sia di sviluppo delle realtà locali.
Con queste nuove figure professionali è in atto un tentativo di dimostrare il miglioramento del nostro sistema scolastico; queste però devono venire incardinate in una struttura più moderna ed efficiente che il PNRR ci aiuta a realizzare e che richiede un nuovo e più efficace sistema di reclutamento.
Gian Carlo Sacchi Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.