Home » Città educativa » Disarmare il linguaggio per disarmare la Terra

Disarmare il linguaggio per disarmare la Terra

Pubblicato il: 07/04/2025 14:57:00 -


Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Attraverso le parole costruiamo la realtà intorno a noi e diamo anche forma al nostro mondo interiore; le parole ci rappresentano, dicono chi siamo, ci consentono di connetterci e di entrare in sintonia con gli altri. Diritti, eguaglianza, solidarietà, rispetto, gentilezza, giustizia e sicurezza sociale: queste sembrano in sintesi le parole e principi chiave di cui dovremmo cercare di appropriarci per vivere tutte e tutti in modo migliore.

Dominano, invece, l’odio, la discriminazione e la denigrazione, soprattutto in rete, dove gli hater si sentono liberi di colpire una vittima nella sfera più intima – identitaria, di genere o religiosa -, di offendere, godendo della visibilità mediatica certificata dai propri follower e contando sull’anonimato e l’impunità.

Le parole sopra le righe o violente, scritte spesso con leggerezza nei microtesti della comunicazione negli ambienti digitali, possono arrivare al destinatario come un pugno nello stomaco o un sanpietrino alla tempia e non basterà cancellarle, perché potranno continuare a aprire la ferita anche a distanza di molto tempo, riemergendo dalla cronologia dei messaggi. O possono avere un effetto analogo a dosi minime di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano innocue, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico.

Migliorare la cura delle parole e optare per uno stile comunicativo non aggressivo consente di preservare la rete come luogo d’incontro e di convivenza della diversità e può al tempo stesso migliorare la reputazione: le parole che scelgo raccontano la persona che sono, mi rappresentano.

Attacchi e molestie, vessazioni e perdita del senso del limite violano alcuni diritti fondamentali della persona. Post e contenuti multimediali offensivi, manifestazioni di odio e argomenti violenti di odiatori coperti dall’anonimato della tastiera sono assimilabili ai comportamenti di un branco: il capo branco ulula, gli altri pure, anche se spesso non sanno neppure perché.

Di questo tema ho scritto più volte per le pagine di Education 2.0[1] e desidero oggi soffermarmi sull’ultima lettera di Papa Francesco, inviata al direttore del “Corriere della Sera”, Luciano Fontana, in risposta a un suo messaggio di vicinanza e di augurio in questo momento di malattia.

La lettera è molto più di una risposta personale, è una richiesta di dare risonanza all’appello per la pace e il disarmo attraverso le colonne del quotidiano milanese.

Caro Direttore,

desidero ringraziarla per le parole di vicinanza con cui ha inteso farsi presente in questo momento di malattia nel quale, come ho avuto modo di dire, la guerra appare ancora più assurda. La fragilità umana, infatti, ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità.

Vorrei incoraggiare lei e tutti coloro che dedicano lavoro e intelligenza a informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani. Possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità.

Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità. Le religioni, inoltre, possono attingere alle spiritualità dei popoli per riaccendere il desiderio della fratellanza e della giustizia, la speranza della pace.

Tutto questo chiede impegno, lavoro, silenzio, parole. Sentiamoci uniti in questo sforzo, che la Grazia celeste non cesserà di ispirare e accompagnare.

Francesco  (Roma, Policlinico Gemelli, 14 marzo 2025)

In questi giorni di guerre vicine e lontane, , in cui avvertiamo visceralmente che tutti abbiamo il diritto e il dovere di credere in un futuro di Pace e di erigerla a progetto di tutti, la lettera è un appello alla Pace e alla speranza, quella speranza che Francesco ha scelto come titolo della sua autobiografia appena pubblicata[2].

In queste pagine Francesco ci spiega che grazie è una parola fondamentale dell’esistenza, a partire da quella in famiglia. Insieme a permesso e scusa è una chiave che apre la strada per vivere bene, per vivere nella pace: Dovremmo immaginarle, quelle tre parole, come targhe sulle porte d’ingresso delle nostre case e delle nostre vite. Possono apparire semplici da pronunciare, ma in realtà sappiamo che non sono poi così semplici da mettere in pratica. Però racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa anche attraverso le difficoltà e le prove; la loro mancanza, invece, a poco a poco allarga le crepe che quella casa la indeboliscono e possono farla perfino crollare.

Pace non significa solo assenza di guerra, ma misurarsi con i grandi temi della sostenibilità, della vulnerabilità, della capacità di resilienza e del capitale sociale e provare a declinare indici nuovi per una pagella etica del funzionamento delle nostre società.

Di fronte a un’escalation della violenza, alla legittimazione politica dell’aggressività armata come soluzione dei problemi e alla tendenza quasi rassegnata a svilire la speranza, la domanda ineludibile è se si possa ancora riporre speranza nella pace.

A questa domanda è stato invitato a rispondere Giuliano Pontara, teorico dell’ingiustificabilità della guerra, professore emerito di filosofia pratica dell’Università di Stoccolma e uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello internazionale, che ha pronunciato la lectio magistralis di apertura della Scuola di pace e nonviolenza, appena nata a Verona[3].

 “Questa domanda che ne genera subito altre in quanto il termine “pace” racchiude molteplici significati, visioni e pratiche che meritano un’analisi approfondita: la pace è oggetto di speranza o di azione? Va sognata o difesa combattendo? E se consideriamo la speranza autentica come intrinsecamente legata alla pace, come questa certezza modifica il nostro modo di parlare, di pensare, di agire e anche di credere?”.

Pontara ha sempre sostenuto il rifiuto della violenza, partendo dall’assunto gandhiano che la violenza è un male e che per questo l’umanità deve rispondere all’imperativo positivo che “prescrive di agire in modo da ridurre il più possibile la violenza, in tutte le sue forme, nel mondo”. Per lui la nonviolenza va oltre il semplice rifiuto delle armi e delle reazioni brutali: è opposizione alla violenza strutturale del capitalismo sfrenato e ingiusto, all’oppressione in tutte le sue forme, alla manipolazione mediatica delle coscienze, alle tante intolleranze di questo mondo. Ci invita a non perdere di vista, inoltre, il degrado ambientale e la gestione inadeguata delle migrazioni, che sono connessi a guerre, persecuzioni e povertà estrema.

Serve una strategia di trasformazione dei conflitti con metodi costruttivi per realizzare una società del benessere di tutte e di tutti, ma anche di tutto, per ricordarci del nostro pianeta. Senza dimenticare la nostra responsabilità di adulti verso le generazioni future, consapevoli che le scelte di oggi impatteranno sulla qualità della vita di chi ancora non è nato.

Le parole sulla guerra scritte oltre vent’anni fa da Arundhati Roy sono più che mai attuali: La gente raramente vince le guerre, i governi raramente le perdono. La gente viene uccisa. I governi si trasformano e ricompongono, come teste di idra. Usano la bandiera prima per cellofanare la mente della gente e soffocare il pensiero, e poi come sudario cerimoniale, per avvolgere i cadaveri straziati dei loro morti volenterosi (…) Per favore. Per favore fermate subito la guerra. È morta abbastanza gente. I missili intelligenti non sono abbastanza intelligenti[4].

[1] R. Bramante, Disarmare il linguaggio. Buone pratiche di comunicazione non ostile, in“Education 2.0”, 11 marzo 2020; R. Bramante, L’etica pubblica della responsabilità fa capolino da un tweet, in“Education 2.0”, 24 marzo 2021; R. Bramante, Anticorpi per un risveglio etico nei social, in“Education 2.0”, 26 maggio 2021; R. Bramante, Non disabili, ma persone. La cura delle parole, in“Education 2.0”, 24 novembre 2021; R. Bramante, Reti contro l’odio in rete, in“Education 2.0”, 23 novembre 2022.

[2] J. M. BERGOGLIO, Spera. L’autobiografia, Mondadori, 2025

[3] Ha ricoperto l’incarico di docente di Filosofia pratica per oltre trent’anni all’Istituto di Filosofia dell’Università di Stoccolma, di cui ora è professore emerito. È cofondatore dell’Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (UNIP) con sede a Rovereto e dal 1994 ne coordina il Comitato Scientifico. G. PONTARA, L’antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Egea Edizioni Gruppo Abele, 2017; G. PONTARA, Etica e generazioni future, Editions Mincione, 2021. Cfr. R. Bramante, Studiare, leggere e giocare per la pace. Costruire insieme un mondo non violento, in “Scuola7”, 23 marzo 2025.

[4] A. ROY, Guerra è pace,Guanda,2002

Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l'apprendimento pratico della Musica

47 recommended

Rispondi

0 notes
200 views
bookmark icon

Rispondi