Il significato di UGC

U.G.C. (User-Generated Content) è un acronimo che vuole rappresentare un fenomeno emergente: quello del ruolo degli utenti finali nel processo della produzione dei contenuti, siano essi didattici, scientifici, storico-artistici, ambientali, culturali, di business, di comunicazione o altro. In particolare il fenomeno dell’UGC, oramai sviluppatosi da metà di questo decennio rappresenta una filosofia attraverso la quale la produzione dei contenuti, svolta da soggetti specializzati (società editoriali, redazioni, università ecc.) viene affiancata, e in certi casi sostituita, dalla produzione degli utenti che, per loro massa, passione, riscontro dovuto ad una retroazione spesso in tempo reale, riescono a essere più incisivi e tempestivi del normale e tradizionale processo di produzione.

L’UCG si serve di ambienti applicativi capaci di favorire questo tipo di contenuti, soprattutto attraverso servizi online che non necessitano di specifiche competenze tecniche. Questa trasformazione ha rappresentato una vera rivoluzione nell’ambito di diversi segmenti di mercato, primo tra tutti quello dei media nei quali il ruolo dei mass-media (radio, televisione e carta stampata) continua a riposizionarsi per effetto dei meccanismi di controinformazione derivante dalla presenza in Rete di milioni di utenti che producono, commentano e approfondiscono news, fatti e fenomeni di qualunque natura.

Non da meno i segmenti del business correlati all’acquisto di beni e servizi, per i quali il feedback degli utenti e la documentazione da loro prodotta, svolgono un ruolo di referenza e informazione sempre più preso in considerazione dagli utenti stessi.

Il contributo degli utenti è presente anche nella produzione stessa di alcuni beni, come lo stesso codice software, di cui la stessa filosofia open source ha dimostrato di essere particolarmente competitiva nell’affidabilità, nei tempi di sviluppo e per alcuni aspetti anche nel costo.

Per comprendere il fenomeno UGC bisogna inquadrarlo nel fenomeno complessivo denominato Web 2.0. Ovvero nella seconda generazione del web, quella che ha trasformato il modo di concepire Internet, passando da un grande contenitore di website e portali, in cui informazioni e conoscenze, accessibili a tutti, venivano prodotte da poche fonti capaci finanziariamente e professionalmente, a un modello di contribuzione da parte di chiunque attraverso sistemi capaci di condividere valutazioni, punti di interesse (rating, bookmarking, tagging e socialnews) e più significativamente i propri contenuti, siano questi video (Youtube), immagini (Flickr), musica e audio in genere (Napster), testi e termini (Wikipedia), esperienze e relazioni con Blog e Social Network (Facebook, LinkedIn, MySpace, Netlog), contatti always on, sempre collegati (Twitter). Quindi non più la gestione dei contenuti secondo un’applicazione di Content Management System a cura di un gruppo ristretto di professionisti, ma un sistema che sia sempre più aperto alla contribuzione da parte di un’utenza diffusa. Ovviamente non tutto fa parte dell’UGC, come ad esempio ciò che non è “professionale” o quanto non ha requisiti di pubblicazione: la posta elettronica, le chat, e ciò che non generi valore aggiunto. Per essere UGC ci si aspetta che sia frutto di una rielaborazione (magari rispetto a qualcosa di esistente) o sia un contributo creativo. E infine che non sia qualcosa che nasce come attività professionale, con il relativo riscontro economico. Ricalca, per certi aspetti, le caratteristiche di un’attività no profit, che spinta dal desiderio di contribuire liberamente senza un pagamento come contropartita, comunque crea l’opportunità di una possibile visibilità.

Un elemento meno noto, ma strutturale, derivante da questo fenomeno è lo stravolgimento del modo di concepire l’organizzazione dei contenuti per effetto della filosofia web 2.0. Si è passati dal desiderio di “raccogliere e strutturare il più possibile contenuti e informazioni in un luogo virtuale” (modello stickiness – appiccicare) all’organizzazione dinamica di collegamenti e aggiornamenti attraverso tecniche e tecnologie più sofisticate come Feed RSS o thread su newsgroup. (modello syndication). Un modo di reinterpretare il concetto di ipertestualità e ipermedialità mettendo al centro l’utente e non la struttura della pagina web.

Il fenomeno web 2.0 ha i suoi sviluppi. Già dal 2006 si parla di web 3.0, come estensione del web 2.0 di cui traccia le linee di sviluppo. Non sono solo fenomeni legati alle prestazioni della Rete (banda che permette per esempio la fruizione di qualità elevata dei video) o del modo diffuso di interconnettere e far collaborare capillarmente ed efficacemente organizzazioni (imprese, PA) con i propri utenti. È anche e soprattutto l’uso diffuso di software con forme di intelligenza artificiale, capace di interpretare e anticipare le esigenze degli utenti, che sappia gestire ad esempio pazienti malati remotamente ecc. Allo stesso modo il web-semantico che tiene conto del significato dei termini e le nuove architetture software (SOA Service Oriented Architecture) capaci di far dialogare macchine, software di base, servizi applicativi e persone.

C’è un ultimo aspetto del web 3.0, segnalato anche nella definizione che ne dà la stessa enciclopedia di Wikipedia, quindi fonte condivisa da tantissimi esperti e coniata dal web3dConsortium. Il Web 3.0 significa anche “la trasformazione del web in spazi 3D, in linea da quanto già realizzato dalle società come SecondLife. Questo potrebbe aprire nuovi modi di connettersi e collaborare utilizzando spazi 3D condivisi”. strategia che Mondi Dinamici ha già fatto propria e su cui intende investire ulteriormente.

Carlo Crespellani Porcella