Pandemia e organizzazione della scuola: le criticità  (1a parte)

Un senso di disagio mi sta accompagnando dall’inizio di questo anno scolastico: il disagio delle occasioni perdute. Sono andata in pensione proprio quest’anno, dopo più di 35 anni di insegnamento ed esperienze di ricerca didattica nella scuola secondaria di secondo grado, e ho visto e sentito colleghi presi dalle mille difficoltà che la pandemia gli ha imposto. È anche arrivato un nuovo Ministro dell’istruzione che da anni si occupa di scuola e che qualche indicazione nuova sta dando ma che forse troppo poco sta dicendo. In questo tempo ho cercato di seguire le richieste, le rivendicazioni, i dibattiti che il mondo della scuola sta mettendo in campo e vedo molta attenzione da parte dei docenti e delle associazioni che si occupano dei ragazzi e ragazze dai 0 ai 13 anni. Per esempio molto interessante è il documento prodotto dalla rete  EducAzioni [1]  in cui vengono evidenziate le criticità della scuola e avanzate proposte direttamente applicabili sia con interventi ordinari che straordinari come il PNRR.

 

Di queste esperienze e proposte nella scuola secondaria di secondo grado però non se ne parla, probabilmente per la storia delle associazioni che fanno parte di questa rete ma anche perché alcune attenzioni educative si perdono nella secondaria di secondo grado come se gli alunni avessero ormai completato il loro ciclo di istruzione. Vorrei allora provare a riflettere ‘ad alta voce’  partendo dalle difficoltà che la pandemia ha evidenziato nell’organizzazione scolastica e nell’insegnamento mettendo di più l’accento su questo settore scolastico. L’intento è quello di avere una visione d’insieme da cui far scaturire una possibilità di dire la nostra in quanto insegnanti e principali attori, insieme ai nostri studenti, sui cambiamenti che potrebbero essere messi in atto sia nel modello di scuola che nella didattica vera  e propria. Ma cambiamenti già si preannunciano con il PNRR e nella seconda parte del mio intervento cercherò di analizzare i legami tra quanto previsto in esso e le necessità che individuare.

 

Le criticità

 

La prima riflessione è sul ruolo fondamentale della relazionalità sociale che ha per i ragazzi la scuola, di ogni ordine e grado. Ci sono ragazzi che hanno fatto scuola in presenza solo nelle prime tre settimane di settembre e questo perché le regioni hanno sempre potuto rendere più stringenti dal punto di vista sanitario le misure indicate dal governo.  La mancanza di relazioni sociali e di un impegno preciso come quello di doversi svegliare, andare a scuola e compiere il proprio dovere scolastico tutti i giorni ha inciso sia sulla componente psicologica dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze (sono numerosi gli studi che hanno evidenziato l’aumento dei disturbi psicologici tra gli adolescenti: tra questi ad esempio  quello del Prof. Vicari responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza del Bambin Gesù di Roma[2]) sia sulla loro motivazione allo studio.

 

A questa chiusura forzata vi sono state reazioni molto diversificate nel mondo della scuola. C’è chi ha privilegiato uno sviluppo del programma sacrificando quelle abituali attenzioni agli alunni con più difficoltà visto che mettere in atto strategie didattiche che li rimotivassero o coinvolgessero in DAD risultava quasi impossibile; scelta che può aver avuto un minimo di successo se la scuola aveva alunni  con uno stato economico medio/alto e ben supportati dalle famiglie; purtroppo questa scelta è stata  perseguita anche dove i ragazzi e le ragazze non erano tutti raggiungibili o le famiglie non erano in grado di controllare e coadiuvare i ragazzi nel rispetto del loro impegno scolastico.  In entrambi i casi i ragazzi più fragili, quelli che di solito controlli almeno da lontano tutti i giorni ( uno sguardo, una domanda…) si saranno persi mascherati da «non c’è la connessione», «non sento», «non funziona la telecamera» e così via

 

Altri docenti e scuole hanno reagito cercando luoghi e modi alternativi per fare scuola, dalle terrazze dei maestri di Napoli, agli spazi aperti o ai Musei, quando è stato possibile, (ri)scoprendo così che fare scuola non è solo svolgere un programma dentro quattro mura o dietro uno schermo ma soprattutto rendere attivi e partecipi gli studenti.

 

Quali che siano state le scelte delle scuole e dei docenti si è evidenziato il ruolo cruciale della comunicazione: i docenti sono stati costretti a rivedere il loro modo di programmare un intervento didattico dando spazio alla collaborazione tra pari, alla partecipazione e al coinvolgimento. Laddove questo non è avvenuto formalmente è stato svolto un programma ma difficilmente le conoscenze così trasmesse saranno bagaglio duraturo per gli alunni.

 

Nei momenti di riapertura delle scuole, laddove si siano effettivamente riaperte, la maggior parte dei docenti ha utilizzato molto di questo tempo per svolgere verifiche e poter valutare gli apprendimenti degli studenti. La mancanza di esperienza e di riflessione nella scuola secondaria di secondo grado su forme di valutazione diverse da un compito scritto da svolgere in un certo tempo o un’interrogazione orale, hanno reso quasi indispensabile questa scelta. In un incontro del 21 aprile organizzato da Formath Project dal titolo Da dove ripartire dopo la pandemia  i relatori  prof. Bolondi [3] e prof. Ricci[4] hanno invitato i docenti a non utilizzare l’ultima parte dell’anno per valutare pensando alla pagella ma a valutare per individuare quali siano le competenze effettivamente acquisite dagli studenti così da capire come ripartire nel successivo anno scolastico.  Ovviamente i docenti devono anche mettere voti, ma chiara è stata l’indicazione di preoccuparsi di più di quel che effettivamente è stato assimilato dai ragazzi e di prendersi poi il giusto tempo per colmare il divario creato tra il prima pandemia e la ripresa.

 

L’esame di maturità

Ultima riflessione è sull’esame di maturità. Lo scorso anno la scelta di non svolgere le prove scritte è stata dettata dalle difficoltà sanitarie in cui ancora eravamo immersi e la prova orale che lo studente doveva svolgere si avviava con la discussione di un elaborato che avrebbe in qualche modo sostituito la seconda prova scritta[5]. Quest’anno l’indicazione del Ministro e dell’ordinanza ministeriale hanno aperto nuovi scenari: «discussione di un elaborato concernente le discipline caratterizzanti per come individuate agli allegati C/1, C/2, C/3, e in una tipologia e forma ad esse coerente, integrato, in una prospettiva multidisciplinare, dagli apporti di altre discipline o competenze individuali presenti nel curriculum dello studente, e dell’esperienza di PCTO svolta durante il percorso di studi».[6] Perché non avviare un dibattito sulla possibilità di eliminare le prove scritte dall’esame di Stato eliminando così alcune delle resistenze più forti al rinnovamento metodologico nella scuola superiore? In più di 30 anni di scuola mi sono sempre sentita io stessa, che insegnavo matematica in un Liceo scientifico, prigioniera non delle indicazioni nazionali sui curricula ma della prova di matematica unica nazionale che i ragazzi dovevano svolgere. Le prove scritte all’esame di Stato hanno sempre ‘dettato’ i programmi di italiano, storia, filosofia e le specifiche materie di indirizzo dei diversi percorsi scolastici impedendo uno sviluppo degli argomenti ‘a misura della classe’ pur nel rispetto delle indicazioni nazionali.

[1] https://www.educazioni.org/wp-content/uploads/2021/01/Documento_educAzioni-1.pdf

[2] Stefano Vicari, Silvia Di Vara (a c. di) , Bambini adolescenti e Covid 19,edizioni Erickson

[3] Giorgio Bolondi professore di Matematica alla »di Bolzano

[4] Roberto Ricci responsabile delle prove Invalsi

[5] Si veda art. 17 dell’O.M. Esami di Stato del 2020

[6] art. 18 dell’O.M. Esami di Stato 2021

Giovanna Mayer Già docente di matematica nella scuola secondaria superiore