La scuola diffusa

In questi tempi difficili e problematici di scuola aperte, scuole chiuse, scuole distanti, vicine, digitali, senza zaino, voti, banchi, reclusioni e compiti a casa mi viene in mente l’inizio dell’idea di scuola diffusa. Ne è passato di tempo dai primissimi miei articoli su Education 2.0  che prospettavano l’idea di una scuola diffusa, nuovo paradigma radicale educativo come forme e contenuti, preludio al mio incontro con il prof. Paolo Mottana docente di filosofia dell’educazione alla Bicocca di Milano. Da qui è nato il Manifesto della educazione diffusa e un progetto di sperimentazione concreta in parte già avviato e che si avvarrà oggi anche  di una sorta di breviario a uso di scuole, sindaci, associazioni, cittadini impegnati nel cambiamento: Educazione diffusa. Istruzioni per l’uso edito da Terra Nuova edizioni di Firenze nel marzo 2020. 

Un cambio radicale di paradigma educativo, un senso del tutto nuovo di cosa possa significare insegnare e apprendere, una formula declinata anche nei suoi risvolti pratici e fattivi per diventare una guida preziosa per chiunque voglia avvicinarsi a questo approccio –siano educatori, insegnanti, pedagogisti, genitori e tutta la società civile – per incoraggiare una sensibilità differente e un differente modo di intendere l’educazione. 

Oggi hanno chiuso le scuole, le chiese, gli stadi, i mercati, i cinema, i musei e i teatri. E ci hanno imposto solo un filo tra noi. Ma la mente è ancora libera e il corpo anche. Le forze dell’aere ci vengono in soccorso. Parliamo, ci vediamo, ascoltiamo ancora. L’eco e il vento sono con noi. Diffondiamoci e diffondiamo. Sparpagliati ma legati negli spiriti, muoviamo passi leggeri da soli ma non soli. Uno verso il bosco, l’altro a qualche metro in radura. E sulla riva del mare, dentro l’anfiteatro, la corte e la via, in mezzo alla piazza vuoti ma visibili dagli altri occhi lontani che la forza ci consente. Questa ci fa parlare, dialogare, vedere, scambiare, suonare insieme anche se un po’ distanti proprio come le danzatrici del tiaso che appena si sfiorano le dita ma riescono a muoversi all’unisono in mosse leggere.

Vengono evocati tanti pensieri illustri, da Fourier a Freinet, da Montessori a Pestalozzi, da Milani  a Illich e Freire fino a Colin Ward, in un virtuoso repertorio di affinità che si è posto il difficile obiettivo di cogliere il meglio futuribile di tanti maestri spesso relegati alle esperienze effimere d’élite o ai diffusi settarismi pedagogici.  Approfittiamo del fatto che i muri non contengono più a forza frotte di bimbi e giovani, per immaginare un graduale ma deciso e mirabile ritorno tra campi e giardini, piazze, teatri e cortili,  non trovando  più aule, corridoi, banchi tondi quadrati, in giro e in quadrato, ma tanti altri spazi e tanti altri luoghi sparsi per le stesse città e campagne, ripensati dopo questa triste pausa di riflessione indotta da un pericoloso ma forse non del tutto inutile deus ex machina. Superare l’idea della scuola come mondo confinato tra mura, distaccato dal resto della realtà e della società, in modo che il bambino e il ragazzo siano messi nelle condizioni di fare esperienze dirette nel mondo, quello vero, di ogni giorno, è  la visione, fortemente innovativa, attorno alla quale Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli hanno formulato la loro proposta di educazione diffusa e di città educante. Che non è solo un concetto astratto, tutt’altro. È una logica, pianificabile e organizzabile, una nuova modalità per aprire ai giovani le porte dell’apprendimento e del sapere.

Giuseppe Campagnoli Architetto, ricercatore e saggista, opera nel campo dell’educazione, dell’architettura per l’educazione e la cultura, nonché della formazione in campo artistico. Già responsabile dell’Ufficio Studi dell’USR per le Marche dal 2001 al 2006.