I giovani e la troppa tecnologia: l’apporto che può dare la scuola
Prima di tutto dovrebbero favorire un utilizzo funzionale e corretto degli strumenti tecnologici da parte dei ragazzi, prevenendo l’abuso e facendone ridurre il tempo di utilizzo domestico.
I genitori dovrebbero seguire più da vicino la crescita fisica e intellettuale dei propri figli mentre i docenti dovrebbero accompagnare i giovani e adattare l’azione didattica al nuovo contesto. Applicare maggiore flessibilità didattica e superare l’uso smodato della lezione frontale. Immettere massicce dosi di situazioni concrete e problemi reali, didattica e pratica laboratoriale, anche utilizzando materiale povero, favorendo il protagonismo dei ragazzi e l’emergere dei talenti, in tutte le discipline.
La nostra società è sempre più pervasa dalle “nuove” tecnologie. I nativi digitali ci sguazzano come un girino in uno stagno. La nostra scuola, pervicacemente inerziale, stenta a mettersi al passo sia con i ragazzi sia con l’evolversi di nuovi software e hardware. Ma, lentamente e inesorabilmente, finalmente qualcosa sta cambiando.
Raccolgo il grido di dolore emesso da numerosi docenti, prevalentemente di materie letterarie nella scuola secondaria di II grado e proverò a riflettere sull’entità del fenomeno, che tuttavia è radicato a partire fin dalle prime classi di scuola primaria.
Le segnalazioni relative a ragazzi che non riescono a completare correttamente un periodo, fanno errori elementari di punteggiatura e di grammatica, per tacere della sintassi, ormai non si contano più. Il dato è trasversale a tutti i ceti sociali e alla provenienza degli allievi. Il denominatore comune è uno solo: i ragazzi, soprattutto maschi – ma non in via esclusiva – appaiono spesso presenti fisicamente, ma mentalmente assenti alle lezioni.
Perfino incapaci di partecipare o di avere una qualsiasi reazione alle sollecitazioni didattiche dei docenti. Lo spirito critico è quasi scomparso, la richiesta di approfondimenti sempre più rada.
La causa sarebbe, da quanto riportano sia i genitori sia gli stessi allievi – seppure ammessa a denti stretti e solo dietro numerose sollecitazioni–, l’abuso di telefonini, playstation, tablet, PC e social, durante i pomeriggi, le sere e, sempre più spesso, anche le notti. Sempre connessi, sempre all’erta.
Tutto è cominciato con il lasciare i bimbi soli davanti alla TV.
La lettura di un libro, la visione di un documentario o di un buon film, magari in compagnia di almeno un genitore, è prerogativa di un numero sempre minore di ragazzi. Ormai è la norma che i ragazzi passino gran parte del proprio tempo “libero” connessi virtualmente con qualcuno o con qualcosa. Sempre soli.
Poco di questo tempo dedicato è funzionale all’acquisizione di un bagaglio di competenze utilizzabili in futuro; competenze di cittadinanza e tali da consentire scelte consapevoli. Certamente una forma diversa di cultura, ma non sempre spendibile.
Per tacere del fatto che spesso l’interazione nei videogiochi è mediata da situazioni virtuali impregnate di violenza o di relazioni distorte. Si dirà che non fanno nulla di male e che non corrono rischi – e questo è in realtà tutto da dimostrare – ma ciò che spaventa è l’enorme numero di ore sottratte alla socializzazione reale e alla riflessione con le sollecitazioni che l’esterno ci riserva. In buona sostanza, tempo sottratto all’interazione con l’ambiente, all’osservazione attiva della natura, dei fenomeni e delle relazioni fisiche e sociali proprie della vita reale.
Tanti ragazzi, brillanti e capaci, rinunciano ad affrontare ed eventualmente approfondire tematiche che proprio grazie alla rete e alle nuove tecnologie, se ben incanalate, porterebbero a scoprire e a coltivare il talento che c’è in ognuno. Ma si fermano in un’aurea superficialità, diffusa e melensa di finta conoscenza, che raramente sfocia nella competenza e nella rielaborazione personale.
Talvolta accade che, a causa d’intere notti passate su videogiochi online, i ragazzi si assopiscano in classe. Terribile.
Ma quel che è peggio è lo stato di quasi catalessi che mostrano questi ragazzi di fronte al tentativo, lodevole da parte dei docenti, di coinvolgerli durante una lezione partecipata. Reazioni scomposte, lunghi silenzi, risposte con ritardo, come se la loro mente fosse altrove, quasi in un mondo virtuale, parallelo. E non mi sorprenderei, visto il tempo che vi dedicano. Sono abilissimi nel messaggiarsi, ma scarsi nel dialogo. Le conversazioni tra loro sono emblematiche: battute feroci e velocissime, monosillabi, ricerca – il prima possibile – della soluzione nei confronti. Tutto ciò si riversa, inevitabilmente, anche nel rendimento scolastico.
Anche per il tempo in una giornata vale il principio di conservazione. Mai come ora i genitori si sentono dire dai docenti: “è intelligente ma si applica poco” oppure “non sembra interessato alla disciplina, ma quando si mette d’impegno ottiene dei buoni risultati”.
Il punto è quindi che i ragazzi, semplicemente, preferiscono passare molto tempo nei videogiochi, nei social o nei telefonini a messaggiarsi, piuttosto che non a fare i compiti o studiare, in quanto da questi contatti riescono a trarre soddisfazione. Per questo vi eccellono.
Fanno invece molta fatica nelle prove orali o nelle prove scritte con risposte aperte, dove cioè devono rielaborare e collegare le conoscenze. Costruire qualcosa.
La scuola, che con il piano di diffusione delle LIM e il PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale) del MIUR, si è dotata di numerosi strumenti di didattica multimediale, ha provato, non senza difficoltà, a stare al passo con questo nuovo approccio e su quanto i ragazzi fanno nel quotidiano, adottando il loro linguaggio e le metodologie comunicative.
Credo di poter dire che i risultati non siano sempre positivi.
L’eccesso di virtualità dei ragazzi, non imputabile certo alla scuola, ha portato a questi fenomeni diffusi di scarso impegno domestico, ma soprattutto scarsa continuità nell’attenzione e nella cura per ciò che si fa.
La curva dell’attenzione si è molto modificata in questi ragazzi: picchi numerosi e frequenti, intervallati a momenti di quasi catalessi. Esattamente come accade nei
videogiochi, con risposte veloci e precise, alternate a momenti di pausa. Il tempo, ecco ciò di cui hanno bisogno i ragazzi. Più tempo. Per fare, pensare, ragionare e rielaborare la sempre maggiore quantità d’informazioni che li investe. Assimilare ciò che rielaborano. Far sedimentare i contenuti e le competenze raggiunte e che risiedono spesso solo nella memoria temporanea.
Sempre più informazioni, sempre più veloci, esasperate e ripetute, con percorsi mnemonici iterativi, tuttavia debolmente acquisite. È questo che caratterizza l’era del digitale. Dovremo quindi invertire o, per lo meno, governare questa tendenza in atto.
La scuola e i docenti possono fare molto, modificando e adattando l’impostazione della didattica al nuovo contesto. Il grido di dolore di tanti docenti deve essere raccolto, ma nel contempo occorre proporre delle soluzioni. Queste avranno tanto maggior peso quanto maggiore sarà la consapevolezza del problema, che per molti è più comodo nascondere sotto il tappeto piuttosto che affrontarlo, seriamente.
Tutti, le famiglie e la scuola, devono concorrere, per la parte di tempo di propria competenza, a che i ragazzi non abusino delle tecnologie. Come sempre il troppo stroppia.
La didattica laboratoriale, intesa nella sua essenza e globalità, quindi estesa a tutte le discipline, dovrebbe migliorare la connessione dei nativi digitali con la realtà. Provare a coinvolgere i ragazzi, affinché possano ottenere soddisfazioni maggiori rispetto a quelle che riserva il mondo virtuale.
Proporre nuove e più interessanti sfide, renderli protagonisti.
Messi alla prova mostrano capacità e potenzialità assolutamente straordinarie. Anche in settori o discipline in cui mai e poi mai avrebbero pensato di raggiungere grandi risultati. Non solo, per compensare quest’eccessiva virtualità, si rende sempre più necessario proporre dosi sempre maggiori di realtà, di esempi e problemi mutuati da situazioni concrete e di pratica laboratoriale.
L’utilizzo frequente del laboratorio, anche povero, e del “ lavoro manuale” e pratico, dovrebbe favorire il nascere della passione e l’acquisizione delle competenze nelle discipline scientifiche.
Materiali e strumenti in rete, didattica alla LIM, percorsi multimediali sono utilissimi e importantissimi. Ma non possono e non devono impedire la risoluzione, rigorosamente manuale, se si vuole – per carità anche alla LIM – di una sana espressione matematica, un’equazione o un problema di fisica o di chimica. Evitando meccanicismi. Si favoriscano gli appunti, anche su tablet o su quadernone cartaceo, ma scritti a penna e frutto di rielaborazione personale e non sotto dettatura.
Occorre rimettere in moto il pensiero e la capacità di riflettere nei ragazzi.
Tornare alle ricerche, personali, in tutte le discipline. Sapendo che però occorre esercitare un controllo continuo, per impedire che gli allievi – come sempre più spesso fanno – abusino del “copia e incolla” e di wikipedia, fingendo, anche solo per comodità o pigrizia, la rielaborazione personale. Utilizzare la rete e i suoi immensi contenuti, ma “cum grano salis”.
Non ci resta altro da fare che setacciare le informazioni e i contenuti. Per aprire la mente e far sì che tutti sviluppino i propri interessi e scelgano quale strada percorrere. Modificare il ruolo dei docenti, sempre più orientato a essere come un misto di vigile urbano, nel senso di far la parte di coloro che smistano il traffico, e di direttore d’orchestra, piuttosto che di grande solista com’era in passato. Accompagnare e guidare gli allievi, non imporre.
È giunto il momento di superare la lezione frontale. Rimodularla, non eliminarla. Farne un uso funzionale e mirato, necessario ma non esclusivo, integrato con le diverse modalità didattiche, da adoperare con grande abilità e flessibilità a seconda del contesto e del gruppo classe. Perché tutti divengano finalmente protagonisti della propria crescita non solo fisica, ma anche intellettuale.
Solo con queste premesse sarà possibile integrare i saperi, sia scientifici sia umanistici, e far sviluppare nei giovani l’immenso potenziale di cui ciascuno può disporre, con le proprie peculiari caratteristiche.
Ma questa è un’altra storia.
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Fabrizio Floris